Scrivo queste note domenica 31 maggio, quando in Italia si è appena iniziato a votare per il rinnovo di alcuni consigli regionali. Non ho, quindi, contezza dei risultati, che invece saranno noti quando questo numero di “Social” sarà in edicola. Comunque, non mi aspetto novità sconvolgenti: sono consultazioni fortemente condizionate da scelte localistiche (pro o contro De Luca in Campania, pro o contro Zaia in Veneto, eccetera) e sarà quindi difficile che gli elettori diano libero sfogo alla loro esasperazione antieuropea ed antiimmigrazione. Renzi, d’altro canto è stato bravo a gabellare i “rimbalzi tecnici” del Job Act per una inversione di tendenza (lo avevo anticipato su queste stesse colonne lo scorso febbraio) e quindi non assisteremo ancora ad un crollo del PD parallelo a quello di Forza Italia.
Il crollo parallelo degli eurodipendenti di destra e di sinistra c’è stato invece – domenica scorsa – in Spagna. Popolari e socialisti sono stati fatti a fettine dagli elettori, che hanno premiato gli euroscettici di sinistra (Podemos) e di destra (Ciudadanos). Certo, nessuno dei due nuovi partiti si dichiara favorevole ad un’uscita della Spagna dall’Unione Europea, ma la loro connotazione radicalmente antirigorista li porta su una rotta che è di sicura collisione con le direttive comunitarie. A meno che, non si lascino intimidire dalla campagna di terrorismo mediatico che è già iniziata: l’euro fa schifo – sintetizzo al massimo – ma fuori dall’euro (e dall’Unione Europea) la Spagna rischierebbe il tracollo.
È la stessa campagna – bugiarda – che ha fin’ora tarpato le ali di Tsipras e del nuovo governo greco, portandoli ad accettare quasi tutte le condizioni-capestro della troika (o come diavolo la chiamano adesso). In questi giorni anche il fronte greco è in movimento: assistiamo all’ennesimo braccio-di-ferro, con oggetto le due ultime porcherie che Tsipras – fino ad ora – si è rifiutato di fare: una riforma delle pensioni (modello Fornero) ed una riforma del mercato del lavoro (modello Job Act). Il giovane premier ateniese è costantemente sulla difensiva, e sembra non avere la lucidità per comprendere che, così facendo, ha fin’ora assicurato il pagamento di altri interessi alla speculazione finanziaria, ma mantenendo inalterato il debito pubblico ellenico. Cedere ancora qualche cosa – oltre a fargli perdere la faccia – servirebbe soltanto a pagare altre rate ai creditori, per ritrovarsi allo stesso punto fra quattro mesi. Soltanto riappropriandosi del diritto di creare il proprio denaro (e non facendoselo prestare dalle banche) la Grecia potrà battere la crisi economica. E ciò vale anche per la Spagna. E ciò vale anche e soprattutto per l’Italia. Ma questo è un aspetto che vorrei approfondire con maggiore calma, in una prossima occasione.
Torniamo al variegato fronte elettorale europeo. Domenica scorsa si è votato anche in Polonia, per il ballottaggio delle presidenziali. Due i candidati rimasti in lizza: il Presidente uscente Bronislaw Komarowski, espressione del partito centrista Piattaforma Civica (in vantaggio di oltre 10 punti), e il giovane sfidante Andrey Duda, leader del partito Legge e Giustizia, nettamente nazionalista, populista ed euroscettico. Ebbene, sovvertendo tutte le previsioni, ha vinto il secondo. Questa volta, il campanello d’allarme squilla nell’Europa Orientale, al confine con la Russia di Putin (che di questo risultato è certamente contento). Se le elezioni parlamentari (che si terranno in autunno) dovessero confermare questa tendenza, l’Unione Europea vacillerebbe anche ad est, con due grandi nazioni – l’Ungheria e la Polonia – saldamente in mano ai populisti, e con una terza – l’Ucraina – che non è ancora esplosa soltanto perché gli americani l’hanno riempita di miliardi per far dispetto alla Russia.
Ma a preoccupare l’Unione Europea (e le banche americane che per essa fanno un tifo da stadio) è oggi soprattutto il fronte nord, con l’Inghilterra che – entro il 2017 – terrà quel referendum che, con ogni probabilità, deciderà l’abbandono britannico dell’Unione.
E non è tutto. Perché il 2017 sarà anche l’anno delle elezioni presidenziali in Francia, con Marine Le Pen che – ad oggi – partirebbe favorita sia su Hollande che su Sarkozy.
Come scrivevo qualche settimana fa, le sorprese non sono finite.