8 Ottobre 2024
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Spirito prussiano e Rivoluzione conservatrice: un nuovo inizio per l’Europa – Giacomo Rossi

In un’Europa sempre più in forte crisi di identità, l’esempio degli uomini e degli Stati, artefici della storia continentale, potrebbe fungere da monito e stella polare, illuminando un percorso per quei volenterosi che non si arrendono alla tecnocrazia imperante di Bruxelles. Al riguardo, è senz’altro meritorio il lavoro di Oaks Editrice per la sua recente pubblicazione, Lo spirito prussiano di Hans-Joachim Schoeps (Per ordini: info@oakseditrice.it, euro 18,00, pp. 274). L’opera fu pubblicata per la prima volta in Germania nel 1964 con il titolo Das war Preussen e l’anno successivo in Italia, tradotta dal filosofo romano Julius Evola, per la casa editrice Volpe. L’edizione che ci apprestiamo a recensire è completata da una organica e chiara introduzione, Spirito Prussiano e Germania segreta. La rivoluzione conservatrice di un ebreo, firmata dal professor Giovanni Sessa, che, oltre a collocare storicamente l’autore e il testo, offre notevoli spunti di riflessione.

Lo spirito prussiano è una raccolta antologica di brevi testi letterari, di saggistica, di cronaca, di lettere private, di memorie, di frammenti testamentari, e, in definitiva di riflessioni le più svariate, volte a far luce e a inquadrare storicamente la categoria dello spirito prussiano che rappresenterebbe, nell’ottica dell’autore, un ideal-tipo dell’uomo europeo. Si badi, nel testo il termine “cittadino”, caro alla vulgata dominante e sbandierato oggi a destra e manca, è stato volutamente omesso, preferendogli quello di “uomo”. Da un secolo a questa parte, al nobile concetto di civis, è subentrata l’idea di un soggetto portatore di un certo numero di diritti, garantiti dal sistema liberale, volto alla conservazione di se stesso e della sua anima più propria, il mercato. La bilancia dei diritti-doveri tende a pesare sul’unico piatto dei diritti e le menti più acute dovrebbero chiedersi se questi, in assenza della loro controparte, siano davvero tali o siano, piuttosto, vacue illusioni che sottomettono gli “pseudo-cittadini” alle volontà del capitale. Lo Stato prussiano, e, potremmo aggiungere, “ogni vero Stato” che non voglia essere un contenitore vuoto costituito da numeri-persona e acquirenti, e che si identifica “con ognuno dei suoi membri […]. Si basa interamente sul dovere, sul dovere dei suoi cittadini verso lo Stato e sul dovere dello Stato verso i suoi cittadini. Questo sentimento dello Stato implica un alto grado di responsabilità da entrambe le parti, quindi anche in ogni singolo” (p. 8). Responsabilità che solo un uomo libero, coraggioso e che sappia fare affidamento sulla propria statura intellettuale e spirituale può assumersi. In definitiva, lo Stato è quella istituzione che fornisce il senso esistenziale alla comunità di uomini che lo compongono e, per converso, può essere costituito solo da siffatti uomini.

Lo stato prussiano, descritto nei brani antologici che compongono il volume, non appare come un’entità astratta e vuota, bensì quale forza spirituale che è linfa della Tradizione che scorre nei suoi uomini, sin dai tempi dei primissimi cavalieri dell’Ordine Teutonico. Lo stato è dunque Archè, tanto nel senso di origine, quanto in quello di forza primigenia e, ancor più, nel senso di meta da raggiungere e a cui far ritorno; è quella tensione alla realizzazione che ogni uomo-cittadino avverte nel proprio percorso di vita, è quel dovere che, solo, rende propriamente libero l’uomo nel suo realizzarsi in termini comunitari e politici. Proverbiale il senso del dovere dei prussiani e il loro spirito di abnegazione, ma un senso di abnegazione del tutto differente da quello tipico della modernità che connota il lavoratore-schiavo. Questi, propriamente, subordina la propria esistenza al richiamo degli impulsi subpersonali; al prussiano e alla disciplina militare che lo determina, invece, “sono proprie sia la dirittura che la certezza che esiste qualcosa di più grande della propria persona. Esser prussiani significa semplicemente: vivere in modo nobile e subordinare la propria vita a valori superpersonali” (p. 90).

Tra i diversi motivi di interesse che l’opera presenta, vi è anche il suo far pienamente parte, sotto più aspetti, dell’orizzonte ideale della cosiddetta Rivoluzione conservatrice tedesca. Innanzitutto, il curatore H. J. Schoeps, esponente dell’ebraismo conservatore del Novecento, opera all’interno delle coordinate cruciali di tale movimento di pensiero, volto ad opporsi tanto al liberalismo quanto al comunismo, direzioni politiche che nascono da uno stesso seme e si nutrono della “distruzione dei legami spirituali e comunitari degli individui” e della “loro sottomissione a una presunta etica universalista e utilitarista”, come sostenuto da Vincenzo Pinto, studioso dell’ebraismo conservatore tedesco. Inoltre, il centro nevralgico della direttiva politica prussiana, risiede in quel socialismo nazionale e comunitario per cui, come affermato da Dilthey: “Il bene pubblico pone ad ognuno il dovere di tendere alla propria perfezione e di collaborare alla perfezione degli altri” (p. 117). Dalla tradizione comunitaria la politica prussiana trae lo spirito che ne orienta l’azione sociale a sostegno di ogni singolo membro, poiché ogni singolo prussiano è la Patria stessa: “la Prussia è stata uno Stato sociale nel senso migliore del termine […]. Lo Stato non deve essere assistenziale nel senso che esso tolga al cittadino la libertà del lavoro e l’autoresponsabilità trasformandolo in un impiegato dello Stato. Il compito dello Stato è sostenere i deboli, sorvegliare l’attività dei forti e far servire gli uni e gli altri al bene comune, ossia allo Stato […] avendo in vista l’elevazione e il mantenimento del benessere di ognuno” (p. 10). Preoccupazioni di tipo sociale sono presenti anche in alcuni passaggi testamentari, riportati nell’opera, dei sovrani prussiani; in essi si sottolinea come la regalità, fondamento essenziale dello Stato prussiano, sia innanzitutto servizio e sacrificio. Il re, che è lo Stato, deve essere anche il suo primo servitore e deve garantire che ognuno possa adempiere ai propri compiti, a quei doveri che di fatto realizzano l’uomo e lo rendono libero. Come non cogliere un’affinità con il modello di Stato buono e perfetto, teorizzato ne la Repubblica di Platone?

L’opera potrebbe essere letta, dunque, come invito a riattualizzare le direttive che animarono gli sguardi di quanti intesero la politica quale unica forma di realizzazione dell’individuo. Direttive di marcia nobili, che poco si confanno alla vista miope di quanti riducono l’arte del saper ben vivere ad una questione meramente economica. Lo spirito prussiano, spirito di quella terra posta al centro del Continente, in cui hanno convissuto l’ attitudine nordica e quella mediterranea (si pensi alle imprese dei Cavalieri dell’Ordine), può divenire il faro che illuminerà un nuovo cammino, un nuovo inizio per l’Europa e i suoi uomini.

Giacomo Rossi

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