18 Luglio 2024
Comunismo Controstoria Stalin

Stalin per 5 Minuti! – Gianluca Padovan

«La letteratura su Stalin e la sua era è sterminata. Gli stessi studiosi dello stalinismo ammettono tranquillamente di non averne visionata neppure la metà. In questo mare magnum, ricerche serie e meticolosamente documentate coesistono con sciatte compilazioni di aneddoti, dicerie e montature, raffazzonate alla bell’e meglio»

Oleg V. Chlevnjuk, Stalin, 2015

Ha da venì baffone?

Tanto si scrive e meno si sa. Ma è poi così necessario sapere tanto? Ritengo che i dettagli possano essere utili e talvolta meritino persino il tempo che gli si dedica. In realtà nulla è utile se i punti principali non sono chiaramente esposti.

Oggi la “storia” è fatta di talmente tante parole che l’obiettivo rimane chiaro: non dare le informazioni basilari affinché si sappia che cosa è successo e soprattutto che cosa sta succedendo.

Ma non mi dilungo, perché i cinque minuti che la storia di “Stalin” merita passano in fretta. Faccio scattare il cronometro… mi raccomando leggete in fretta, tutto d’un fiato e… partenza!

La nascita di un nome: Soso.

La prima domanda da porsi è la seguente: quando principia la vicenda? Ma la risposta non è così scontata. Esaminiamone una “rosa”… di queste “possibilità”.

  1. Giuseppe Džugašvili nasce nel 1879 in Georgia (fonte: Nicholas V. Rjasanovskij, Storia della Russia, Garzanti Editore, Milano 1968, p. 564).
  2. Iosif Vissarionovič Dzugašvili, alias “Stalin”, nasce a Gori in Georgia nel 1879 e muore a Mosca nel 1953 (fonte: Rizzoli-Larousse, Enciclopedia, vol. 20, RCS, Milano 2004, p. 359).
  3. Maurice Pinai, invece, così scrive il nome e cognome di “Stalin”: Ioseph David Vissarianovich Djugashvili-Kochha. Anche riportato, ma tra parentesi: Giuseppe Vissarionovic Stalin (fonte: Maurice Pinay, Complotto contro la Chiesa, Linotypia-Tipografia Dario Detti, Roma 1962, p. 19 e seg.). Inoltre: «Djougachvili – che è il suo vero nome – significa figlio di Djou e Djou è una piccola località della Persia, dalla quale emigrarono verso la Georgia molti portoghesi, anticamente colà esiliati a causa della loro onestà tutt’altro che specchiata. È ormai definitivamente provato, però, che nelle vene di Stalin scorreva sangue ebreo, pur non avendo egli né confermato, né smentito le voci che erano cominciate a correre in proposito (in nota: Bernard Hutton: Rivista francese Constellation, n° 167 del marzo del 1962) (Ibidem, p. 31). Secondo altre fonti il significato del suo nome sarebbe “figlio di Giuda”.
  4. Gislero Flesch, studioso messo all’indice, ma indubbiamente più vicino ai fasti di “Stalin” degli altri autori qui citati dal momento che pubblica quanto segue nel 1942, così principia: «La scheda riempita dal colonnello di gendarmeria Sciabelski, il 17 giugno 1902, sul detenuto Josif Vissarionovič Giugašvili, arrestato per provocazione di sanguinosi tumulti, reca i seguenti connotati: “Statura 2 arscin, 4 versciok e mezzo [in nota: circa m. 1,62. L’arscin equivale a cm. 71,119; il versciok a cm. 4,445]. Corpulenza: media. Età: 23 anni. Segni particolari: secondo e terzo dito del piede uniti. Aspetto esteriore: volgare. Capelli: bruno-scuri. Barba e baffi: bruni. Naso: diritto e lungo. Fronte: diritta [?] ma bassa. Volto: lungo, abbronzato, segnato dal vaiolo”, per cui la polizia lo soprannomina il “Butterato”» (fonte: Gislero Flesch, Stalin alla luce della psicologia criminale, Casa Editrice del Libro Italiano, Roma 1942, p. 15).
  5. Lo storico contemporaneo Chlevnjuk dice invece che tal «Ioseb D=uga&vili (così all’anagrafe)» nasce il 6 dicembre 1878 a Gori in Georgia, ovvero un anno prima di quanto ufficialmente dichiarato da tanti (fonte: Oleg V. Chlevnjuk, Stalin. Biografia di un dittatore, Mondadori Editore, Milano 2016, p. 23). Inoltre: «La madre, Ekaterine o Keke (Ekaterina in russo) Geladze, figlia di servi della gleba, era nata nel 1856. Nel 1864, dopo l’abolizione della servitù, la famiglia si era trasferita a Gori dove, all’età di diciott’anni, Keke era andata in moglie a un calzolaio, Besarionis o Beso (Vissarion in russo) Džugašvili, di sei anni più anziano. I loro primi due figli morirono in tenera età; Ioseb (Soso) fu il terzo» (Ibidem, p. 24). In ogni caso le notizie di Chlevnjuk non sono prese direttamente dagli archivi, ma bensì tratte da altri autori. Comunque dal suo libro ne ricaviamo un po’ di più, su questo “Ioseb-Soso-Stalin”.

Un gioco tra compagni.

Qualcheduno afferma che la rivoluzione bolscevica fu un’avventura ben riuscita, un “bel gioco”.

Sarà vero?

Ognuno viva pure con le proprie convinzioni, io per primo.

Posso ricordare che nel 1918 i Membri del Consiglio dei Commissari del Popolo (primo Governo comunista di Mosca) erano 19, di cui probabilmente solo 3 non-ebrei. Ovviamente “Stalin”, che fa parte del Consiglio in qualità di “Commissario delle nazionalizzazioni”, non è tra questi ultimi tre (Maurice Pinay, Complotto contro la Chiesa, op. cit., p. 19).

I Russi, magari, dormivano pure e qualcheduno afferma che il “gioco” fu per loro salutare. Indubbiamente gli Zar non erano tra i governanti più illuminati della Terra e un po’ se la sono andata a cercare. Altrettanto indubbiamente la così detta “rivoluzione russa” è stata innanzitutto un genocidio costato alla sola Russia decine di milioni di morti ammazzati. Da questo gigantesco bubbone pestilenziale gli effetti deleteri nel resto dell’Europa e del Mondo non si sono fatti attendere.

Inoltre, proseguendo nei dati di fatto già pubblicati agli inizi degli anni Sessanta del XX secolo, si ricordi che molti “rivoluzionari” sovietici erano iscritti in Massoneria (https://www.ereticamente.net/2018/02/falce-e-maglietto-gianluca-padovan.html).

Lew Davidovic Bronstein, alias Trotsky.

Sul conflitto Trotsky – Stalin le chiacchiere sono infinite. Ma ecco, ancora una volta, il calzante Pinay:

«È risaputo ormai che l’antisemitismo ostentato da Stalin non era altro che una mascheratura dei suoi veri sentimenti. Lo sterminio di ebrei (trotskisti) da lui ordinato per consolidare e assicurare il potere fu portato a termine da altri ebrei. In realtà, quindi, la lotta tra l’ebreo Trotsky e l’ebreo Stalin non fu altro che una contesa tra bande ebree rivali per assicurarsi il governo comunista, da loro stessi creato; ossia una vera e propria lite in famiglia» (Maurice Pinay, Complotto contro la Chiesa, op. cit., p. 35).

Dai GULag ai Laogai.

Si ricordi che il leitmotiv del XX secolo, nonché di questo XXI, è che Stalin fosse georgiano purosangue e avesse vessato gli ebrei. In realtà Stalin era ebreo e in seno al gruppo ebraico di potere vi erano, come già detto, insanabili lotte. Ragion per cui Stalin riempì anche la Siberia di milioni di ebrei deportati innanzitutto dalle terre russe. Poi fu la volta degli ebrei polacchi quando le truppe sovietiche invasero la Polonia nel corso della Seconda Guerra Mondiale. E via così.

Per quanto riguardano ancora una volta le cifre dei morti ammazzati e l’élan avventuroso e sognatore di taluni “rivoluzionari”, Gianantonio Valli, uno scrittore “nostrano” con i piedi per terra, venuto a mancare da poco, riporta dati, cifre, nomi e cognomi (Gianantonio Valli, Giudeobolscevismo. Il massacro del popolo russo, Edizioni Ritter, Milano 2014, pp. 363-393).

Ecco, comunque, un paio di trascrizioni, utili a porsi leciti dubbi su talune “verità storiche”.

  1. Un gruppo di ebrei conservatori emigra a Berlino dopo il golpe bolscevico e pubblica il lavoro a più mani intitolato “La Russia agli ebrei”: «In essa Levin non cela, correttamente e onestamente, che “l’accertamento delle responsabilità ebraiche per la partecipazione al movimento bolscevico [provoca] solitamente negli ambienti ebraici irritazione e incomprensione» (Gianantonio Valli, Giudeobolscevismo. Il massacro del popolo russo, op. cit., p. 388).
  2. Deportazioni sovietiche dalla Polonia: «la deportazione, oltre agli Urali, in Siberia e nel Kazakistan, di 2.500.000 cittadini polacchi – cioè polacchi etnici, ebrei, bielorussi, ucraini, ecc. – tra i quali 1.000.000 ebrei migrati volontariamente o deportati (…). 400.000 di tali ebrei morirebbe durante il terribile viaggio e 300.000 nei campi» (Ibidem, pp. 415-416).

I “campi” sono i GULag, acronimo di Glavnoye Upravlenye Lagerei (Direzione principale dei campi, ovvero dei così detti “campi di lavoro”). Istituiti nel 1926 in Russia da “Djougachvili-Stalin”, sono rimasti attivi fino agli anni Novanta del XX secolo, “ospitando” milioni di prigionieri, molti usciti solo da morti. Non si dimentichi la favorevole impressione suscitata da questi “luoghi di rieducazione” nel presidente del Partito Comunista cinese Mao Zedong (Shaoshan 1893 – Pechino 1976), il quale a sua volta ha provveduto a istituire i campi di lavoro denominati Laogai. Pare che in essi siano transitati ad oggi circa cinquanta milioni di “birichini da rieducare”. Inutile dire che anche in tale frangente molti sono usciti solo con “i piedi in avanti”.

Attenzione, i Laogai sono ancora in funzione in questo XXI secolo!

Detto questo, ognuno può riconoscere o riscoprire in sé stesso una idea, una ideologia, l’élan giovanile che gli fa propendere per un colore piuttosto che un altro, o una fede religiosa o un semplice sentire. Bene, sfido chiunque a dimostrare che gli esempi del “baffone” (“Stalin”) e del “faccione” (“Mao”) fossero validi e da perpetuare nei decenni o nei secoli. In questo XXI secolo è ora che anche i nostri “storici” o presunti tali comincino a scrivere la Storia per quella che è stata.

Il “pezzo da novanta” Nikola Salomon Chruščëv.

Ma i crimini contro i popoli non cessano con l’esalazione dell’ultimo respiro del “baffone”. Ricordiamo ora il “compagno Salomon” successore di “Butterato-Stalin”. Nikola Salomon Chruščëv (Kalinovka 1894 – Mosca 1971), alias Nikita Sergeevič Chruščëv diverrà niente popò di meno che Presidente del Consiglio dei Ministri dell’U.R.S.S. e Segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Lo ritroviamo ovviamente citato anche da Pinay: «Nicola Salomon Kruscev, attuale capo del Partito Comunista Sovietico, membro del Politburò dall’anno1939 cioè dall’anno in cui Malenkov venne eletto membro dell’Orgburò. È fratello della moglie di Malenkov, ossia dell’ebrea Pearl-Mutter. Kruscev è quindi in realtà ebreo e si chiama Pearlmutter» (Maurice Pinay, Complotto contro la Chiesa, op. cit., pp. 33-34).

Difatti scrive Averardi nella sua Introduzione: «Come conciliare il socialismo con l’arcipelago Gulag? la libertà con i rinoceronti del dogmatismo? le laudi del culto di Stalin con il marxismo? e i milioni di morti ammazzati, comunisti e non comunisti, intellettuali e contadini e operai, con il mito della rivoluzione del ’17? Come spiegare che per altri venti anni questi crimini siano stati giustificati, spiegati, negati non dalle vittime impotenti ma da uomini liberi?» (Giuseppe Averardi (a cura di), I grandi processi di Mosca 1936-37-38, Rusconi Libri, Milano 1977, p. 14).

Passati i 5 minuti (era ora!).

Oggi qualcheduno rimesta sulla fine torbida di “Djougachvili-Stalin”, a cui andò di traverso la bottiglia di vodka, per inscenare l’ennesimo teatrino. Ma, siamo sinceri, a noi che ce ne cala di come morì? Ricordiamolo per quello che è stato: un criminale che ha avuto appoggi (tanti) e fortuna (anche troppa).

Ma, infine, anche un altro “alias” storico è trapassato e ce lo ricordiamo per la morte e la distruzione che portò e per l’intento di fare “terra bruciata” anche dell’Europa: si tratta di Temugin (o Temucin) alias Gengis khān (circa 1167 – 1227). Attenzione: si dice che costui, come “Stalin”, avesse un anello particolare: un rubino con la svastika, ma non per questo era un nazionalsocialista! E tantomeno un “brav’uomo”.

Scrive ancora Ghislero Flesch, a proposito dell’audace inclinazione del “nostro” Djou, alias “Kocha-Stalin”: «Torvo, laconico, incurante della vita (deviazione dell’istinto di conservazione, propria a molti criminali), diviene il predone temutissimo del Caucaso. Rivivono così in lui, operanti e moltiplicati, gli spiriti briganteschi del padre, per forza di una eredità criminale diretta omologa. Svaligiare uffici postali e gioiellerie e banche, assalire e uccidere, per far denaro in ogni modo e trasmetterlo alle casse del partito, sono imprese naturalissime per colui che Lenin, allora entusiasta, chiama il “georgiano leggendario”» (Gislero Flesch, Stalin alla luce della psicologia criminale, op. cit., p. 72).

Ora, sforati i tempi prefissati dei “5 minutini”, passiamo ad altro.

Ad altro di decisamente più pregnante e indubbiamente da ricordare.

Il grande sacrificio.

La “storia” che va per la maggiore è che, regnante “Djou-Stalin”, la Germania del III Reich attaccò fraudolentemente la Russia con la quale aveva stretto un patto. Scellerato per l’appunto? Ma in effetti che cos’è successo?

La realtà dei fatti storici è che la Russia si apprestava a invadere l’Europa. L’obiettivo di “Kocha-Stalin” era di fare di tutt’Europa un mondo slavo. Ma, ricordiamocelo, l’ideale panslavista non era certo suo.

Pertanto si arginò e si stroncò l’invasione russa che mirava a conquistare l’intera Europa.

Vanno ricordati i sacrifici della Germania e con essa l’Austria, del loro popolo, dei Soldati Italiani, nonché di tutti coloro che si batterono contro il bolscevismo anche e soprattutto nelle fila delle Waffen SS.

Non ci credete? Tre libri per tutti scritti dal russo Vladimir Rezun alias Viktor Suvorov parlano del piano di Stalin per conquistare l’Europa: “Il rompighiaccio”, “Il giorno M” e “L’ultima Repubblica”.

Si caldeggia vivamente le lettura dell’articolo «Come i Sovietici “persero” la Seconda Guerra Mondiale. La rivelazione del piano di Stalin per la conquista dell’Europa», pubblicato sul sito web della Federazione Nazionale Combattenti della Repubblica Sociale Italiana, recensito da Daniele W. Michaels e tradotto a cura di Gian Franco Spotti.

(http://fncrsi.altervista.org/La_rivelazione_del_piano_di_Stalin.htm).

Se qualcheduno pensa che oggi le cose siano cambiate perché Vladimir Putin è biondo si ricordi che appartiene alla Loggia massonica Golden Eurasia, mentre Angela Merkel appartiene alle Logge Golden Eurasia, Parsifal e Valhalla.

Se gli americani possiedono parecchi droni, i russi hanno i soldati per raggiungere (almeno sulla carta) Portogallo e Spagna da una parte, Italia (fino alla Sicilia) e Grecia da quell’altra.

Intanto la Russia ci vorrebbero riprovare per l’ennesima volta contro la Finlandia, ma il tenace e valoroso popolo Finlandese ha resistito e ci si augura che in eterno resista!

Il 22 giugno 1941.

Gianantonio Valli ci ha lasciato un libro chiaro e inequivocabile: “Operazione Barbarossa. 22 giugno 1941: una guerra preventiva per la salvezza dell’Europa”.

Dopo aver parlato nel dettaglio delle forze in campo, Valli scrive: «Al proposito già Suvorov (II) aveva concluso, con un certo humor nero: “Se l’operazione ‘Barbarossa’ fosse stata posticipata ancora una volta, per esempio dal 22 giugno al 22 luglio, Hitler non si sarebbe dovuto ammazzare nel 1945, ma prima. Esistono non pochi elementi a indicare che la data d’inizio dell’operazione sovietica ‘Groza’ (Tempesta) fosse il 6 luglio 1941”» (Gianantonio Valli, Operazione Barbarossa. 22 giugno 1941: una guerra preventiva per la salvezza dell’Europa, Effepi, Genova 2009, p. 45).

Per quanto concerne le “considerazioni strategiche” leggiamo serenamente altre informazioni attinte da Suvorov:

«“Non sappiamo dove sia nata la leggenda che il 22 giugno 1941 Hitler ha iniziato la guerra all’Est e costretto l’Unione Sovietica alla guerra. Se, al contrario, ascoltiamo coloro che in quei giorni, ore e minuti furono in effettivo stretto rapporto coi massimi capi sovietici, il quadro è tutt’altro: il 22 giugno Hitler ha scompaginato i piani di guerra sovietici perché ha portato la guerra nel paese nel quale il 19 agosto 1939 era stato partorito un altro piano. Ai capi sovietici Hitler non ha permesso di condurre la loro guerra, come avevano progettato, e li ha costretti a improvvisare e fare ciò cui non erano preparati: difendere il loro paese”» (Gianantonio Valli, Operazione Barbarossa, op. cit., pp. 77-78).

Oggi si taccia di “revisionista storico” chi cerchi di liberarsi dalle menzogne scritte da chi ha il potere del denaro e conseguentemente della carta stampata. In realtà i veri revisionisti sono coloro che hanno scritto a loro uso e consumo (o meglio hanno fatto scrivere a penne prezzolate) una storia artefatta e quindi fraudolentemente falsa.

Hans Rudel: Pilota d’Acciaio!

Il soldato tedesco più decorato della Seconda Guerra Mondiale (e probabilmente il Soldato più decorato sul campo nel XX secolo) è il pilota tedesco Hans Ulrich Rudel. Che cosa fece? Sul fronte russo compì circa 2530 missioni di volo, con circa 500 carri armati sovietici distrutti. E questo senza contare una nave da battaglia affondata e altro ancora.

Ecco che cosa scrive a proposito dei primi giorni dell’attacco tedesco denominato “Operazione Barbarossa” e sulle basi d’aviazione sovietiche piene di bombardieri statunitensi come i Martin.

«Fin dai primi voli notammo innumerevoli opere di fortificazione lungo la frontiera; spesso queste posizioni sono profonde centinaia di chilometri nell’interno della Russia; talvolta i lavori sono ancora in corso. Sorvoliamo aeroporti quasi approntati; su alcuni di essi i russi stanno terminando le piste di cemento; su altri già si vedono velivoli in attesa… non sappiamo bene di che cosa. Così, presso la strada di Witebsk, un vasto campo appare gremito di bombardieri Martin; ma tutti questi apparecchi sono fermi: i russi mancano di benzina o di personale. Vedendo sfilare sotto di noi a perdita d’occhio trinceramenti, strade militari ed aeroporti, non possiamo impedirci di pensare che è stata una gran fortuna l’aver preso l’iniziativa delle operazioni. È evidente come i russi abbiano organizzato le zone di frontiera quali basi per una offensiva contro l’Europa, cioè contro la Germania, che è ormai rimasta l’unica nazione forte da combattere in Europa Occidentale; se il nostro Comando Supremo avesse lasciato loro il tempo di terminare quei preparativi, sarebbe stato senza dubbio molto difficile, e forse improbabile, fermare il famoso “rullo compressore”» (Hans Rudel, Il pilota di ferro, Longanesi & C., Milano 1971, p. 22).

Così Rudel chiude il proprio libro di ricordi epici e dolorosi, con parole decisamente attuali:

«I fatti vi sono narrati per quello che valgono, con scrupolosa verità e con assoluta fedeltà. Dedico il libro ai morti di questa guerra e alla nostra gioventù, che sta soffrendo dell’orribile confusione del dopoguerra. Essa non deve perdersi d’animo. Ma aver fede nella Patria e fiducia nell’avvenire, perché solo chi si dà per vinto è veramente perduto».

NOTE

– Le due immagini di Iosif Vissarionovič Dzugašvili con la manina infilata nel cappotto sono state tratte da:

https://neovitruvian.wordpress.com/2016/02/22/la-mano-nascosta-che-ha-manipolato-la-storia/

– Le immagini d’epoca identificate come fig. 1, 2 e 16, provengono dal citato libro di Gislero Flesch, Stalin alla luce della psicologia criminale.

– Vedere inoltre uno scritto di Maurizio Blondet, dove si riprendono gli studi di Gianantonio Valli:

https://www.maurizioblondet.it/lenin-anche-massone-oltre-ebreo/

1 Comment

  • Rocco 1 Febbraio 2019

    Jugasvili tradotto dal giorgiano significa Juda-figlio,
    Gargano come Dardanelli come Dardo… cioè Punta in Indoeuropeo per esteso promontorio

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