La strage di Sant’Anna di Stazzema, in provincia di Lucca, è certamente da annoverare tra i crimini più efferati commessi dalle truppe germaniche in Italia tra il 1943 e il 1945. Di questo drammatico episodio si è tornato a parlare in questi ultimi tempi in molti Consigli comunali, perché legato ad una proposta che, partendo da valori condivisibili, vorrebbe imporre limiti alla libertà di pensiero ed espressione altrui, violando, tra l’altro, l’articolo 21 della Costituzione, quella che si vorrebbe difendere contro gli “assalti” del nuovo fascismo (?). É il progetto della cosiddetta “anagrafe antifascista”, quella della “gendarmeria del pensiero unico” che vuole – speculando sul sangue di tanti innocenti – chiudere la bocca a chi la pensa diversamente, elevandosi nella crociata contro… la vendita degli accendini, dei calendari e dei portachiavi “fascisti”…
Che la strage di Sant’Anna non c’entri nulla con siffatte crociate liberticide e neopartigiane è ovvio. Ma ben poche voci si sono levate contro un modo di procedere che nasconde malamente il vizio genetico proprio della sinistra italiana: la vocazione al totalitarismo, alla supponenza e all’annientamento dell’avversario e della realtà storica. In tutta Italia, un solo Consigliere comunale ha avuto il coraggio di fare obiezioni contro tale “bando antifascista”, la Prof.ssa Maria Teresa Merli che, ad Imola, ha zittito la maggioranza, ponendola in ridicolo davanti l’intera cittadinanza e – dopo la scomposta reazione del Sindaco e delle associazioni neopartigiane – davanti all’intera Nazione.
La combattiva e coraggiosa Merli, per nulla impaurita dallo sbarramento di odio antifascista montato ad arte dai “gendarmi della memoria”, è entrata nel merito della strage di Sant’Anna, di cui tutti parlavano contorcendosi nel dolore per siffatto crimine, ma di cui nessuno sapeva in realtà nulla. È bastato qualche richiamo all’inchiesta di Giorgio Pisanò per scatenare un terremoto che, lungi da sfiorare il Consigliere comunale, ha finito per seppellire tanti “gendarmi della memoria”.
Ma cosa sappiamo di questo crimine contro l’umanità?
Secondo la vulgata – che ha all’attivo 70 anni di studi, centinaia di milioni investiti nella “ricerca” e nella propaganda e svariati processi ai protagonisti veri e presunti della strage – il 12 Agosto 1944, un Battaglione della 16a Divisione SS “Reichsführer”, in azione di rastrellamento a Sant’Anna di Stazzema, provocò il massacro – deliberato e senza motivo – di 560 civili, in gran parte donne, vecchi e bambini, i cui corpi vennero distrutti con i lanciafiamme, aggiungendo orrore ad orrore e “gemellando”, di slancio, Stazzema con Auschwitz… Ed è questo quello che, ancor oggi, viene detto alle centinaia e centinaia di visitatori – in gran parte scolaresche – che raggiungono il paese.
Tuttavia, questa ricostruzione fu revisionata dal noto giornalista Giorgio Pisanò nei primi anni ’60, quando a scrivere certe cose si rischiava ancora la vita…
Pisanò, dopo una spregiudicata inchiesta, accusò i partigiani di aver creato le condizioni per un rastrellamento, abbandonando la popolazione durante l’intervento germanico e, dopo il massacro, li accusò di essere tornati sui luoghi per “ripulire” le vittime dei propri averi. Le vittime non sarebbero state 560 – o settecento (!!!) come si sosteneva da più parti in uno squallido gioco al rialzo – ma 300, al massimo 350. Non solo. Il giornalista evidenziò come la popolazione fosse stata costretta a convivere con i ribelli, taglieggiata in continuazione per il sostentamento delle bande armate. In quell’Estate 1944, la situazione si era fatta preoccupante, perché, all’aumentata pressione partigiana contro singoli fascisti (o presunti tali) “scomparsi nel nulla” – prelevati, torturati ed assassinati – e contro isolate pattuglie germaniche, si aggiunse l’avanzata delle Armate angloamericane nel Centro Italia. Dal 4 Luglio la provincia di Lucca venne dichiarata “Zona di Operazione” e, quindi, sotto la diretta e completa giurisdizione delle Forze Armate germaniche. Data la situazione in atto fu necessario costruire nuove linee difensive e sfollare la popolazione dai luoghi ove si sarebbero dovuti affrontare gli eserciti avversari. Sant’Anna di Stazzema rientrava tra le zone da sfollare, ma i partigiani dissero alla popolazione di non andare via, che ci avrebbero pensato loro a rispondere alle imposizioni germaniche, anzi si armasse e iniziasse a combattere, visto che gli Alleati erano a pochi chilometri (?). In realtà, Firenze fu raggiunta solo l’11 Agosto – e la battaglia per la conquista della città contro i franchi tiratori fascisti durò un mese – mentre Lucca fu occupata solo il 4 Settembre successivo. Infine, quando purtroppo a Sant’Anna arrivarono le SS per sfollare la popolazione, i partigiani si volatilizzarono, ed iniziò un’assurda, barbara e criminale mattanza di innocenti.
Quanto evidenziato da Pisanò, ovviamente, gettò nel panico gli “architetti della memoria a senso unico”, che cercarono in tutti i modi di annichilire la portata storica della ricostruzione del noto giornalista, come oggi qualcuno vorrebbe fare con “anagrafi antifasciste” o quant’altro. «Tappare la bocca al nemico», fu un ordine perentorio. Tanto Pisanò era un fascista e, secondo alcuni, i fascisti non hanno diritto alla vita, figuriamoci se possono avere diritto di parola. E si continuò come se nulla fosse accaduto, fino al recente processo (La Spezia, 2005), con il quale sono stati posti in stato d’accusa una decina di SS ultraottantenni. Tutti condannati all’ergastolo… solo in Italia, in quanto la Germania ha ribaltato l’esito della sentenza, affondando una manovra politica dove la giustizia e la storia, per alcuni, non si sono incontrate.
La realtà di quanto avvenuto si narrava da tempo, ma la coltre di nebbia che si cercava di addensare su quel piccolo e disgraziato paese persisteva, tanto che, nel 1962, il Presidente Vittime Civili di Guerra di Sant’Anna di Stazzema si sentì in dovere di scrivere al Papa, al Presidente della Repubblica, al Governo, a tutti i Parlamentari e ai Segretari dei massimi partiti politici perché fosse almeno costruita una strada per porre fine al secolare isolamento della frazione “dimenticata da Dio”. Il commento fu consequenziale: “Il povero e piccolo paese dell’Appennino toscano ha avuto il grosso torto di farsi distruggere dai Tedeschi per corrispondere ad un calcolo, feroce e spregiudicato, dei partigiani comunisti; e perciò la Repubblica Italiana, fondata sull’antifascismo, non vuole sentire parlare delle ‘vittime civili di guerra’ di Sant’Anna di Stazzema. Noi non sappiamo se vi sono stati Parlamentari che hanno risposto al Signor Duilio Pieri. Ci permettiamo tuttavia di dargli un consiglio: prenda esempio da Pietro Nenni. Guardi con quanta abilità il vecchio uomo politico socialista, pure essendo soltanto una vittima civile di villeggiatura, è riuscito ad ottenere dallo Stato assistenza e comforts di ogni genere. Perché Nenni è amico di Togliatti. Dunque, il Signore Duilio Pieri non ha che da convincere i pochi superstiti di Sant’Anna a dimenticare quello che videro il 12 Agosto 1944, a strage finita; a cancellare dalla memoria il ricordo dei partigiani comunisti, che prima abbandonarono il paese al massacro, e poi tornarono per spogliare i morti. I superstiti sostituiscano nel loro ricordo questi partigiani con altrettanti militi delle Brigate Nere, e avranno subito tute le soddisfazioni che meritano. A scapito della verità, s’intende: ma gli antifascisti di questa repubblica dimostrano ogni giorno che il fine giustifica i mezzi” (“Il Borghese”, 30 Agosto 1962, Guida d’Italia, pag. 699, in archivio ANFCDRSI).
Questo è quanto si sussurrava su Sant’Anna. Fantasie? Ricordiamoci intanto il passaggio sulle Brigate Nere…
In Italia, si sa, quando la realtà è diversa dalla propaganda politica, si cancella la prima e si leva a religione la seconda, con i suoi dogmi e, soprattutto, con le sue pene per gli eretici. E così, quando un regista del calibro di Spike Lee ha voluto fare un film ambientato durante la strage di Sant’Anna (2008), un altro siluro ha colpito la “nave della propaganda” antifascista. Un’“insurrezione neopartigiana” si è scatenata contro il lungometraggio che, incredibile ma vero, oggi è proiettato in Italia solo con una introduzione che avverte lo spettatore che il film non è “reale” e la storia – quale storia? – è diversa. Un modo di procedere che nemmeno negli Stati comunisti si era mai visto: lì almeno avevano la decenza di effettuare direttamente la censura, non di camuffarla da avvertimenti (cfr. P. Cappellari, Miracolo a Sant’Anna. Un’“apparizione” davvero eccezionale, Maggio 2009).
È la stessa Italia ove si continua a trasmettere il film di propaganda antifascista dei fratelli Taviani La notte di San Lorenzo (1982), che attribuisce ai Tedeschi la strage americana di San Miniato, senza specificare il grossolano falso storico e la speculazione politica della pellicola. Del resto, la lapide traboccante d’odio del 1954 che accusava i Germanici della strage rimase al suo posto sulla facciata del Comune anche quando si seppe la realtà dei fatti e, addirittura quando, nel 2008, gli venne affiancata un’altra “moderatissima”, in cui si specificava l’evento attribuendogli la reale paternità statunitense. Un modo grottesco per riaffermare, comunque, un falso storico che, nel 2015, ha trovato una soluzione di “compromesso”. Non essendo più una strage tedesca, la sua memoria non era più funzionale alla speculazione politica che da oltre mezzo secolo si era fatta. Entrambi le lapidi, quindi, sono state rimosse! Ma l’assurdo, quando si tratta di vulgata antifascista non ha limiti: nel 2018, entrambi le lapidi – tutte e due! Anche quella falsa! – sono state riposizionate sulla facciata del Museo della Memoria. A questo punto, aggiungere altro è superfluo.
Il castello della vulgata clamorosamente costruito sullo sfondo del “processone ai criminali nazisti” per la strage di Sant’Anna di Stazzema ha subito un nuovo e conclusivo colpo da un ricercatore del calibro di Paolo Paoletti, autore di inchieste e di studi rigorosi che hanno riscritto intere pagine di storia; il primo ad evidenziare che il “grande accusato”, il Magg. Reder, non c’entrava nulla con la strage. Il vero responsabile era lo Standertenführer Karl Gesele.
Paoletti ha avuto il coraggio di chiamare in causa i giudici del processo di La Spezia e tutti i consulenti, i “professoroni” (con stipendio statale) che pontificano sui fatti da 70 anni, facendo chiarezza in modo “totalitario” sugli errori commessi, sulle strumentalizzazioni effettuate, sui falsi avallati, come il teorema della “guerra ai civili” – vero e proprio totem della vulgata – che vedrebbe i Tedeschi ammazzare innocenti senza nessun motivo per precisi ordini superiori. Nulla di più inventato.
In un monumentale volume di oltre 750 pagine (S. Anna di Stazzema una strage “aggiustata”, Edizioni Agemina, Firenze 2015), Paoletti ha ripercorso “pesantemente” i fatti, smontando una ad una convinzioni sedimentate negli anni da una volontà politica che voleva, fin dal 1945, sfruttare i morti innocenti – che mai nulla avevano avuto a che fare con la Resistenza – per mere esigenze di odio e propaganda; ricordando come, il 12 Agosto 1945, malamente i santannini accolsero le bandiere rosse dell’ANPI che marciavano sul paese per “ricordare” il massacro, accusandoli di averli abbandonati e di essere tornati in seguito a compiere atti di sciacallaggio, fino ad arrivare – loro! non i Tedeschi! – a dar fuoco ai cadaveri per coprire l’infame gesto (Paoletti, pagg. 55-56).
Un disprezzo che affondava nel periodo della guerriglia quando i santannini – come dovette ammettere un partigiano – vedevano “come fumo negli occhi” la presenza in quelle contrade dei ribelli. La stessa Corte de La Spezia ha sentenziato: “La popolazione si doveva difendere prima di tutto dai partigiani”. La presenza tedesca era vista invece di buon grado, allontanando la probabilità di saccheggi da parte dei ribelli (Paoletti, pagg. 493-494).
Che a Sant’Anna di Stazzema la popolazione nulla aveva voluto a che fare con i partigiani era solo una delle tante realtà evidenziate da Paoletti. Del resto, i sentimenti fascisti della zona erano consolidati da anni se si pensa che nella frazione di Mulina “fu costituita la prima o la seconda sezione del PNF nella Versilia storica” (Paoletti, pag. 138).
Tra le novità eclatanti di questo studio emergeva quella dei fascisti uccisi dai Tedeschi durante la strage, cosa che per anni era stata occultata: il Segretario del Fascio Rinaldo Bertelli, l’ex-Segretario del Fascio Duilio Pieri, l’ex-Centurione della Milizia Natale Pieri, il Capo Frazione di S. Anna Italo Farnocchi, il Capo Ammasso Aspasio Pellegrini, l’operaio della Todt Aldo Pierotti, con tutte le loro famiglie!
Insomma, sembra che i Germanici avessero ammazzato quel maledetto giorno più fascisti che antifascisti nella strage!
Paoletti si sofferma sull’inizio della campagna di soppressione intrapresa in quell’Estate 1944 dai partigiani, che costituì il precedente per “attenzionare” S. Anna di Stazzema da parte delle Autorità militari germaniche. “Don Romeo Borghi scrisse: ‘Si afferma che sul Gabberi ben 48 fossero le salme di coloro che appartenevano al Fascio e alla Repubblica’” (Paoletti, pag. 537).
Si ricorda il caso del giovane Emanuele Bottari, ucciso dai ribelli vicino alla Foce di Compito di Stazzema, disseppellito dalle mani pietose della mamma, della moglie Alfonsina Timpani e di alcuni santannini.
Tra i fascisti torturati ed assassinati (Paoletti, pag. 538): Umberto “Goffredo” Luisi (di Canal di Giannino, 5 Luglio); Pio Terigi (di Mosceta, 8 Luglio); Giuseppe Silicani (di Querceta, 13 Luglio); Giuseppe Donati e l’Avvocato Aldo Lasagna (di Pietrasanta, 4 Agosto).
A questi si aggiunse, il giorno dopo la strage, l’omicidio del fascista Francesco Marcello Casella (di Viareggio, 13 Agosto).
Anche Paoletti riduce drasticamente il numero delle vittime, circa 300, dando ragione a Pisanò, evidenziando la stoccata fatta dai giudici di Stoccarda all’Italia: “Il tribunale tedesco bacchettava tutte le amministrazioni comunali di Stazzema che in 70 anni non si erano mai preoccupate di calcolare il numero esatto delle vittime”. Altro che 500-600-700 vittime… Un dato che si sapeva da tempo, ma non era funzionale alla battaglia politica dell’orrore: non a caso nella relazione conclusiva sull’operazione di “bonifica” su Sant’Anna i Germanici avevano parlato di 270 “banditi uccisi” avvicinandosi alla realtà più di tanti “professoroni” (con stipendio statale), istituti della Resistenza ed associazioni partigiane (Paoletti, pag. 433)…
La tesi di Paoletti sul perché della strage è dirompente per l’“ordine costituito”: si trattava di una semplice operazione di sfollamento di civili, tramutatasi in uno spaventoso massacro per colpa dei partigiani che avevano eseguito alcune imboscate contro i reparti in azione, ferendo alcuni soldati e fuggendo sui monti, salvo poi ritornare a mattanza conclusa per depredare i cadaveri e dar loro fuoco. Del resto, il bando di Kesselring parlava chiaro ed ottuse menti criminali presenti in alcune unità germaniche hanno fatto il resto.
Se questa fosse l’unica tesi di Paoletti, bisognerebbe accettare la realtà dei fatti come abilmente ricostruita, considerando quella del ricercatore come la tesi più seria mai elaborata in 70 anni. Tuttavia, tutto l’immenso lavoro fatto di Paoletti crolla – o, almeno, è inficiato – quando in campo scendono dei “fantasmi”, evocati dal ricercatore sulla scena come chiave di volta per la comprensione di tutto quanto avvenuto in quel drammatico 12 Agosto 1944 e cercare artificialmente di tenere insieme testimonianze contraddittore e punti oscuri.
Secondo Paoletti a compiere la mattanza – con esclusione, però, del mitragliamento sul piazzale della chiesa, dove trovano orrenda morte 130 innocenti – non furono le SS… ma addirittura la Brigata Nera di Lucca! E tutto questo senza esibire nemmeno un documento… ma facendo degli “algoritmi” su alcune testimonianze che parlano della presenza di Italiani tra le truppe in rastrellamento.
Che la 36a Brigata Nera “Mussolini” di Lucca fu estranea a questa strage lo si era sempre saputo, anche perché in 70 anni – nonostante gli sforzi e le ricerche – non si era trovato nessun documento a proposito, anzi i documenti chiaramente smentivano la presenza di altre unità che non fossero il II Battaglione del 35° Reggimento della 16a Divisione “Reichsführer”, le cui quattro Compagnie operarono su Sant’Anna di Stazzema: una a far da “filtro” e le altre tre separate in colonne.
Tutto molto chiaro e molto semplice. Un totale di circa 120 SS in azione, su un organico di 200 uomini. In questo contesto, Paoletti inserisce incredibilmente l’intera 36a Brigata Nera (100-150 uomini), ossia quanti, se non più, delle stesse SS germaniche mobilitare per l’azione?
Una quarta colonna quindi? O altre colonne? No, gli Squadristi erano frammischiati alle SS, cui strappavano i civili per fucilarli!
Secondo Paoletti, infatti, i “fascisti” – mobilitati dai Tedeschi per un semplice sgombro di popolazione – erano stati attaccati dai partigiani nelle prime fasi dell’operazione ed avevano subito diverse perdite, tra cui sei caduti. Allora si erano trasformati improvvisamente in belve assetate di sangue, sfogando la loro rabbia sugli innocenti, strappandoli dalle mani delle SS che, invece, volevano solo trasferirli fuori dalla zona. Una scena irreale.
Nessun testimone parlò di Squadristi della Brigata Nera in operazione e tra le centinaia di sopravvissuti – si ricordi che ben 600 persone furono semplicemente sgombrate, senza subire violenze – solo otto parlarono della presenza di “Italiani” tra le SS. Perché, magari, sentirono pronunciare qualche parola in italiano dai soldati, oppure riconobbero alcuni paesani reclutati sul posto come portamunizioni. È chiaro che, in questo caso, parlare di Brigate Nere – ma anche genericamente di fascisti – è del tutto fuori luogo.
Tutti i soldati in operazione portavano la stessa divisa, ossia la mimetica, e quindi, di logica, dovevano appartenere alla stessa unità, il II Battaglione SS per l’appunto. Invece, no. Per Paoletti, la sera precedente l’intera 36a Brigata Nera era stata rivestita da capo a piedi dalla “Reichsführer”: i fascisti si sarebbero così camuffati per agire indisturbati. Ora, se la tesi principale è che si trattasse di una semplice ed incruenta operazione di sfollamento e la strage era stata un “atto di pazzia” non preventivato causato dalle perdite subite negli attacchi partigiani, per quale motivo gli Squadristi si sarebbero dovuti camuffare da SS il giorno precedente?
Per Paoletti, tutte le SS che avevano il volto coperto, che pronunciavano parole in italiano o che non parlavano affatto… erano chiaramente “fascisti”.
Sappiamo benissimo che anche i Tedeschi parlavano in italiano, tanto è vero che la Divisione SS “Reichsführer” era giunta in Italia nella Primavera precedente ed aveva avuto modo di ambientarsi, anche linguisticamente ovviamente. Oltretutto, in questa Grande Unità erano arruolati soldati di diverse nazionalità, tra cui volontari altoatesini che, altrettanto ovviamente, conoscevano bene la nostra lingua, essendo cittadini italiani. Senza contare il centinaio di Italiani arruolati come ausiliari (guide, interpreti, autisti, meccanici, cuochi, ecc.) nei servizi logistici divisionali.
Era del tutto ovvio che vi fossero delle guide locali, ma queste, per l’appunto, erano spesso reclutate forzosamente sui luoghi, come i portamunizioni. Il fatto che alcuni di questi fossero fascisti – simpatizzanti del Fascio o presunti tali – non ha alcuna rilevanza storica, se si pensa che anche loro vennero ammazzati o, se riuscirono a scampare al massacro, ebbero i loro cari assassinati. Ma guide e portatori, anche se fascisti, rimangono “elementi accessori”, per giunta coatti, e non certo chiara prova della presenza dell’intera Brigata Nera di Lucca sulla scena dei crimini.
Nessuna SS che partecipò all’operazione parlò mai di reparti italiani e la cosa sarebbe stata fondamentale, ad esempio durante il processo, per scaricare le proprie colpe su altri. Invece, nulla. I reparti italiani non c’erano e non li potevano inventare… almeno loro.
È accertata la dinamica della strage sul piazzale della chiesa, 130 civili barbaramente mitragliati dalle SS dopo un’ora di “colloqui” con il locale Sacerdote e dopo aver avuto il via libera dai superiori Comandi germanici. Per le altre stragi il contesto dovrebbe essere simile, perché inventarsi, invece, le SS che vorrebbero sfollare pacificamente la popolazione e le Brigate Nere che si avventano sui civili strappandoli dalle mani tedesche e massacrandoli senza pietà, magari di nascosto?
Il fatto che, come abbiamo visto, vennero assassinati anche i fascisti repubblicani dovrebbe essere risolutivo a tal proposito e non regge davvero la soluzione che nell’improvvisa “licantropia criminale” che colpì gli Squadristi di Lucca si decise di ammazzare anche i fascisti di Sant’Anna perché conniventi con i ribelli e non ligi alle disposizioni germaniche. Come è assodato, non c’era nessuna accusa del genere, né connivenza.
Se vi fosse stato qualche esponente della RSI colpevole di questa strage, nel primissimo dopoguerra sarebbe stato colpito dalle famigerate Corti di Assise Straordinaria, dove venivano accettate come realtà incredibili ricostruzioni dei fatti elaborate direttamente dalle Sezioni del PCI per odio politico e vendetta. Invenzioni che, ancor oggi, “fanno storia”. Nonostante la buona volontà antifascista, non si riuscì a trovare nulla per incolpare i reparti della RSI della strage di Sant’Anna, neanche ad inventarsela. E, ricordiamolo, i comunisti erano maestri della falsificazione, specialmente se serviva per mettere al muro il nemico di turno innocente. I processi a carico degli Squadristi lucchesi si conclusero, con sconcerto e rabbia degli antifascisti assetati di vendetta politica, “di fatto in una sostanziale assoluzione” (G. Fulvetti, G. Gemignani, C. Giuntoli, Fascismo, guerra, violenza. Lucca 1943-1944, Scuola per la Pace, 2010, pag. 9).
Pensare, nel primissimo dopoguerra, in quel clima di caccia alle streghe e di odio militante, che fascisti e partigiani toscani si fossero messi d’accordo stringendo un patto di “mutua assistenza” è del tutto fantasioso. Secondo questa tesi, gli uomini della RSI avrebbero taciuto sulle imboscate subite durante il rastrellamento, salvando i ribelli dall’accusa di aver scatenato la strage; gli antifascisti avrebbero ricambiato il favore tacendo sulla presenza della Brigata Nera a Sant’Anna. Ma su quali basi si fanno queste affermazioni?
Il fatto che alcuni testimoni videro uno o due uomini in mimetica tra gli innocenti massacrati vuol dire tutto e nulla. Erano Germanici uccisi dai propri commilitoni perché si erano rifiutati di sparare sui civili? Erano partigiani soliti operare con parti di divise altrui? Chi erano? Vi erano? Nessuno può dirlo. Ed affermare che certamente erano Italiani e, quindi, della Brigata Nera di Lucca, rasenta l’assurdo.
Così per la storia del piastrino di un internato militare in Germania che sarebbe stato ritrovato da un Sacerdote tra i cadaveri e, poi, arrivato, per altre mani, nel 1991, al museo di Sant’Anna. Una storia del tutto “complicata”, che non certifica assolutamente la presenza di un Italiano – ex-deportato e, in quell’Estate 1944, rientrato in Italia – sui luoghi della strage… figuriamoci se tale piastrino può essere legato in qualche modo alla Brigata Nera di Lucca! Cosa c’entra? Nulla.
La storia della 36a B.N. “Mussolini” è ben nota, per anni al centro delle indagini della Magistratura e degli organi di polizia della Repubblica Italiana, sviscerata da storici organici al PCI ed oggi sotto gli occhi dei nazibuster contemporanei che, se avessero trovato un solo timido indizio per accusare questo o quel fascista di un crimine – fosse anche di “libero pensiero” -, avrebbero mobilitato la stampa – e non solo – in una campagna inquisitoriale da far invidia a Torquemada. E, invece, nulla. A tutt’oggi questa Brigata Nera è accusata direttamente solo della rappresaglia di Castelnuovo Garfagnana (Lucca) del 23 Settembre 1944, quando, in seguito all’ennesimo attentato subito, compì un rastrellamento durante il quale vennero uccise otto persone, tra cui un partigiano accertato. Sinceramente un curriculum “criminale” piuttosto scarso per una unità protagonista di una strage del tipo di quella di Sant’Anna di Stazzema. A differenza della 16a Divisione SS “Reichsführer”, per la quale azioni vergognose del genere erano abituali, tanto che, nel dopoguerra, la HIAG (Hilfsgemeinschaft auf Gegenseitigkeit der Angehörigen der ehemaligen Waffen-SS), l’associazione che riuniva tutti i reduci delle Waffen SS, rifiutò l’iscrizione agli appartenenti di questa Grande Unità macchiatasi nel corso della sua storia di orrendi crimini. Una sfilza di stragi che lasciano sbigottiti: Nozzano (11 Agosto 1944, 59 morti); San Terenzo ai Monti (17-19 Agosto, 159 morti); Vinca (24 Agosto, 162 morti); ecc. fino ad arrivare a Marzabotto con i suoi 700 morti. Insomma, non sembra che Sant’Anna di Stazzema possa “sfigurare” in questo elenco dell’orrore…
Così come escludiamo la presenza a Sant’Anna della 36a Brigata Nera, escludiamo anche la presenza di unità della GNR del Comando Provinciale di Lucca. Non si sa mai qualcuno volesse cercare altri attori…
La 36a B.N. “Mussolini”, oltretutto, ha anche il primato di essere stata oggetto di ben tre narrazioni, non certo tenere con l’esperienza fascista, e in queste mai si è parlato di azioni criminali.
Marcello Venturi, nel suo romanzo Dalla parte sbagliata (De Agostini, 1985), a pag. 111, etichetta le Brigate Nere toscane come “le più feroci”, salvo poi non riportare nemmeno un crimine di cui si siano macchiate.
Più profonda la riflessione di Piero Sebastiani che, in ben due volumi, ha voluto narrare la sua storia di “redenzione” da diciassettenne volontario Ufficiale della 36a B.N. “Mussolini” a cittadino modello dell’Italia antifascista, amante dell’Internazionale e, ovviamente, della pace fra i popoli. In Misi l’elmo (Mursia, 1996), dove sprona i suoi ex-camerati rimasti fedeli all’Ideale a “svegliarsi” e rinnegare quel terribile passato, non compare nulla di eclatante a carico della Brigata Nera di Lucca. Più articolato ed interessante è, invece, il successivo La mia guerra (Mursia, 1998). Nel libro, ancora una volta, si evidenzia come questa unità non commise delitti, tanto è vero che nel processo di cui lo stesso Sebastiani fu vittima nel primissimo dopoguerra l’accusa principale fu solo quella di “collaborazionismo” (La mia guerra, pag. 20). E gli assassini? Le stragi? Nulla di tutto questo. Neanche gli antifascisti, nel clima di caccia alle streghe dettato dall’agenda politica del momento, con decine di fascisti condannati a morte con accuse false elaborate post factum nelle Sezioni del PCI, riuscirono a trovare qualche cosa da affibbiare ai “famigerati” Squadristi di Lucca. Davvero molto strano.
Interessante il profilo che Sebastiani fa del suo Comandante Utimperghe “uomo affascinante, personaggio composito, lunatico, imprevedibile, capace di assoluta ferocia quanto di estrema generosità, ma pericolosamente eccessivo” (La mia guerra, pag. 45). Ovviamente, nel libro non sono citati casi di “assoluta ferocia” da addossare ad Utimperghe, mentre si evidenzia il suo comportamento davanti ad un improvviso rastrellamento di manodopera da parte delle SS a Lucca. Il Comandante della Brigata Nera intervenne prontamente minacciando di fucilazione l’SS Gruppenführer Simon con tutti i suoi Ufficiali se non si fosse interrotto subito il rastrellamento, riuscendo a far liberare alcuni cittadini già catturati (La mia guerra, pagg. 44-45).
Di là dell’episodio in sé, possiamo dire che Utimperghe non era certo un subordinato ai Comandi germanici che, da allora, mal tollerarono la presenza degli Squadristi, agendo sempre autonomamente. Lo stesso Sebastiani ha dovuto ammettere chiaramente: “Delle canagliate perpetrate dalle SS, una parte importantissima non ci fu mai nota (gli eccidi della certosa di Farneta, gli impiccati ai Pioppetti sulla strada di Camaiore, le stragi di Sant’Anna e di Vinca)” (La mia guerra, pag. 55). Una pietra tombale su ogni speculazione in merito alla presenza della Brigata Nera di Lucca durante le varie stragi germaniche.
Come sempre, la storia si fa con i documenti ed affidarsi alle testimonianze – magari ad alcune testimonianze ben selezionate! – per riempire i “vuoti” e riscrivere i fatti per quelli che non sono stati è sempre un’operazione avventata. Soprattutto se queste testimonianze sono di persone travolte dagli eventi, che hanno subito un’assurda ed inimmaginabile tragedia… senza contare il valore delle deposizioni fatte dopo 50 o 60 anni, dopo adeguato “ricondizionamento ideologico”, da individui che all’epoca erano poco più che bambini… Insomma, un vero e proprio campo minato.
Paoletti lamenta la scomparsa di un documento, secondo lui, fondamentale: il settimanale “Brigata Nera Mussolini” del Partito Fascista Repubblicano della Lucchesia, che conterrebbe chissà quali rivelazioni.
Ora, non sappiamo se i numeri mancanti dell’Agosto 1944 sono stati occultati appositamente dai “gendarmi della memoria” – magari militanti di Lotta Continua, Potere Operaio o semplici agit-prop del PCI – infiltratisi negli archivi pubblici nel corso degli anni, ma citiamo l’esperienza di uno dei maggiori studiosi della RSI in Italia, il Prof. Stefano Savino, impegnato molti anni fa in una ricerca proprio sulla 36a B.N. “Mussolini”. Trovati in un archivio pubblico toscano dei documenti, fu interdetto alla consultazione perché vi era il rischio che egli ne potesse fare un “uso politico”… e, per oltre 70 anni, cosa hanno fatto gli antifascisti con i documenti della Repubblica Sociale Italiana?
Questa esperienza motivò il Prof. Savino ad intraprendere una ricerca “parallela” di documenti sulla RSI, al di fuori degli archivi pubblici, che ne hanno fatto uno dei più importanti custodi della memoria della Repubblica di Mussolini. Guarda caso, quello che è stato “occultato” in Toscana, il Prof. Savino possiede nel suo archivio! Ha la collezione del settimanale della Brigata Nera di Lucca, con particolare riferimento al numero 5 del 12 Agosto 1944 (giorno della strage) e del numero 6 del 19 Agosto seguente, quei pezzi che – secondo alcuni – proverebbero la partecipazione degli Squadristi al massacro di Sant’Anna di Stazzema!
Secondo la versione “partecipazionista”, l’intera Brigata Nera sarebbe stata mobilitata almeno fin dal giorno precedente (11 Agosto) per l’ingiustificato “cambio d’abito” presso un magazzino della “Reichsführer”, forse a Nozzano (al quale, quindi, sarebbe ritornata dopo il massacro per restituire il vestiario?). Quel giorno, in quello stesso luogo, mentre gli Squadristi si svestivano delle proprie caratteristiche divise nere e si rivestivano con le mimetiche germaniche, elementi della SS massacravano 59 persone in precedenza catturate durante i rastrellamenti. Insomma, una giornata piuttosto “movimentata”… Una divisa qui, un fucilato lì… Ordinaria amministrazione, vero?
Bisogna subito evidenziare che un ordine di mobilitazione per cento e più uomini, cui si devono aggiungere ordini di vestizione/svestizione (per giunta presso un altro ente, dipendente da altro Comando e di un altro Stato), ordini di trasporto andata/ritorno, di vettovagliamento, ecc. avrebbero richiesto talmente tanti “timbri” che ancor oggi ne faremo collezione, oltre ad essere impossibili da occultare agli occhi delle popolazioni e alle “antenne” delle spie partigiane e angloamericane. Non a caso il giornale “Brigata Nera Mussolini” del 12 Agosto non riporta nessun “stato di emergenza” in atto.
In prima pagina compare un articolo sulla lotta al mercato nero e il comunicato ufficiale della militarizzazione del Partito Fascista Repubblicano, che si trasformava così in Corpo Ausiliario delle Squadre d’Azione delle Camicie Nere. Quest’ultima comunicazione evidenzia come, al 12 Agosto, la Brigata Nera era un’entità ancora in formazione, non certo quel granitico “maglio d’acciaio” che qualcuno vuole dipingere. Tanto è vero che un articolo sulla collaborazione tra gli Squadristi della B.N. e l’Esercito germanico era firmato da un Tenente del Corpo dei Pionieri… insomma un’unità certamente di seconda linea.
È vero che la 36a Brigata Nera poteva vantare il fatto di essere stata la prima ad essere costituita in Italia e, già il 3 Agosto 1944, aveva effettuato un rastrellamento a San Lorenzo a Vaccoli – dopo che un Ufficiale della B.N., il S.Ten. Sante Barbieri, era stato ferito in un agguato partigiano -, ma le difficoltà organizzative erano enormi.
La seconda pagina del settimanale conferma quanto detto. Si riporta il rapporto tenuto dal Comandante di Brigata Idreno Utimperghe agli Squadristi il 10 Agosto a Palazzo Littorio, alla presenza del Vicecomandante Ten. Col. Burchi. Il tono dell’intervento non dà il minimo segno di una mobilitazione. Anzi, si scorge tra le righe il fatto che siamo ancora in una fase di formazione, dove la B.N. ancora non è completamente organizzata: il Cap. Gino Vivarelli, Sottocapo di Stato Maggiore della 36a, ad esempio, parla della costituzione di una Brigata Nera “di secondo bando”, dove convogliare gli anziani e gli inabili.
La chiusura di Utimperghe – che era anche Comandante Militare della Provincia – non lascia assolutamente presagire toni apocalittici, né impegni immediati: “In questo triste periodo della storia di Lucca e d’Italia, la Brigata Nera ‘Mussolini’ si è assunta tutte le responsabilità di questa provincia ed in forza di ciò, impone a tutti una disciplina ed un ordine. I risultati, date le enormi difficoltà, saranno certamente inferiori al sacrificio e all’attività svolta. Ma i lucchesi dovranno ricordare questi giorni perché, se anche avremo sbagliato, era in noi la sola intenzione di poter riuscire ad eliminare qualche dolore, ad asciugare qualche lacrima, a dare a Lucca, cioè, ogni aiuto sincero e fraterno, per rendere meno ardua la dolorosa realtà che attraversiamo con il cuore stretto, anche se la volontà più ferma ci spinge ad agire con ogni energia e con la più grande decisione”. Non ci sembrano parole di assassini che si stanno mobilitando per andare a massacrare donne e bambini…
Come è possibile che l’intera Brigata Nera – ancora in formazione – al termine dell’adunata fosse poi mobilitata per il famoso “cambio d’abito”? E, poi, mandata tutta in operazione… senza il suo Comandante che, infatti, quel maledetto 12 Agosto 1944, se ne stava tranquillamente a Lucca a presiedere la riunione del Consiglio Provinciale dell’Economia Corporativa! Riunione durante la quale disse: «Oggi, bisogna soltanto andare incontro al dolore, alla fame, alla disperazione, portando tutto quello che le nostre braccia e il nostro cuore possono offrire. Questo è stato le spirito delle intenzioni con cui la Brigata Nera ha assunto il Comando e questa è l’intenzione con cui noi vi chiediamo la collaborazione in questa opera di bene che conduciamo»…
Parole piuttosto strane se si vuole sostenere che, nello stesso momento, a Sant’Anna i suoi uomini stavano trucidando donne e bambini, non sembra?
Sempre durante la riunione del Consiglio Provinciale dell’Economia Corporativa venne evidenziata la cronica mancanza di mezzi di trasporto che paralizzava la vita dell’intera provincia, questione che ci introduce ad una riflessione: con quali automezzi – e con quale carburante – l’intera Brigata Nera venne mobilitata, portata alla svestizione, in operazione, alla svestizione e di nuovo a casa?
Come hanno fatto a percorre più di 100 chilometri gli Squadristi di Lucca quel 12 Agosto? A piedi? In bicicletta? Fermo restando che nemmeno c’erano tutte queste biciclette per rendere mobile la Brigata Nera.
Il giornale del 12 Agosto 1944 terminava così, con l’elenco delle nomine di nuovi Commissari prefettizi in provincia e l’elenco delle somme date in beneficenza dal “famigerato” e “feroce” Utimperghe agli istituti sociali e alle popolazioni locali, tra cui spiccavano le 10.000 Lire elargite a Don Sirio Nicolai per l’assistenza ai rastrellati della “Pia Casa di Beneficienza” di Lucca, dove i Tedeschi concentravano i lavoratori coatti. Non sarà l’unica donazione, sia chiaro.
Veniamo, quindi, al numero del 19 Agosto 1944, quello che dovrebbe assolutamente riportare l’impiego della Brigata Nera nella settimana precedente. Neanche su questo compare la ben che minima traccia di attività. In prima pagina si rileva solo un bando di Kesselring contro la guerriglia fomentata dal Gen. Alexander e da Badoglio, un bando – con le disposizioni emanate il 17 e il 20 Giugno precedente – che inasprisce le sanzioni a carico dei collaboratori della Resistenza, ma anche a carico della popolazione civile delle zone dove si registravano azioni dei ribelli: “Come uomo condanno […] l’invito a uccidere alle spalle [del Gen. Alexander], immenso sarebbe il lutto portato nelle famiglie italiane che non hanno colpa in seguito alle nostre rappresaglie. Finora [ho] dimostrato con i fatti che il rispetto dei principi umani è per me una cosa di logica normale. Come capo responsabile, però, non posso più esitare a impedire con i mezzi più repressivi questo spregevolissimo e medioevale sistema di combattimento. Avverto che userò immediatamente questi mezzi e ammonisco badogliani e sovversivi a non continuare nel contegno tenuto sinora”. E via ad una serie di drastiche disposizioni, come la formazione di una scorta di ostaggi da passare per le armi a seguito di ulteriori atti di sabotaggio; distruzione delle case dalle quali si fosse sparato contro reparti germanici; impiccagioni pubbliche degli assassini e dei capi di bande armate; responsabilità diretta della popolazione del luogo ove si verificassero azioni partigiane. Come non pensare a Sant’Anna di Stazzema?
Anche in seconda pagina non compare nulla relativamente all’impiego sul territorio della Brigata Nera, simbolo chiaro che grandi movimenti l’unità non li faceva, limitandosi a compiti locali e di istituto. Unica cosa da evidenziare è la visita, avvenuta il 17 Agosto 1944, di Idreno Utimperghe al Generale Comandante la Divisione SS “Reichsführer”, “giunta recentemente nella zona”. Atto di cortesia d’obbligo essendo Utimperghe il più alto rappresentante della RSI in provincia, in vista di una comune collaborazione “in tutti quei compiti che saranno ritenuti necessari per la tutela dell’ordine nella provincia”. Va da sé che se il Comandante della Brigata Nera di Lucca incontrò per la prima volta il Comandante della “Reichsführer” solo cinque giorni dopo la strage, non poteva avergli affidato l’intera sua unità in precedenza. Oltre al fatto che, con ogni probabilità, ancora al 17 Agosto, nessuno sapeva cosa era avvenuto realmente a Sant’Anna di Stazzema.
Tutto qui, in questo numero. Nessuna notizia di mobilitazioni, di rastrellamenti, di operazioni di ordine pubblico, di feriti o, addirittura, di caduti.
Abbiamo esteso la consultazione al numero 7 del 26 Agosto 1944, nella speranza di trovare qualche impiego operativo di “primo livello” della Brigata Nera. Anche in questo numero, nulla. Qualcuno in malafede potrebbe obiettare che “certe” operazioni non venivano pubblicizzate. Errato. Infatti, le operazioni di rastrellamento erano incarichi speciali dove le Brigate Nere operavano con sprezzo del pericolo e determinazione, spesso con risultati lusinghieri. Erano, quindi, operazioni che – nell’ambito dell’ordine pubblico – giustificavano l’impiego e l’esistenza di queste unità. Senza contare i caduti che si registravano nei rastrellamenti, che erano elevati agli onori degli altari. La realtà della 36a B.N. “Mussolini” è che, nell’Agosto 1944, questa era ancora un’unità in formazione, non avente grandi capacità operative a largo raggio, impegnata sì nella tutela dell’ordine pubblico, ma ancor più nell’aiuto alla popolazione di una provincia “Zona di Operazione”, come tristemente specificato nel numero del 26 Agosto.
Su questo numero è ben evidenziato cosa faceva la Brigata Nera di Lucca, in un articolo importantissimo, perché riporta un grave attacco subito da questa unità, che è necessario leggere e comprendere fino in fondo per l’inchiesta che stiamo conducendo:
Un criminoso attentato dinamitardo a Castelnuovo Garfagnana.
Domenica [20 Agosto] un grave attentato è stato commesso circa le ore 12 in Castelnuovo Garfagnana.
Mentre il Commissario straordinario di quel Comune S.Ten. Turri Silla era intento a svolgere nel proprio ufficio alcune pratiche inerenti l’alimentazione della popolazione insieme agli Squadristi Serg. Battaglini Giovanni, volontario [Tamburri] e ad alcuni funzionari del Municipio, una bomba ad orologeria collocata sotto il tavolo del Commissario stesso, esplodeva uccidendo sull’istante il camerata Battaglini, ferendo gravemente il Tamburri e, in modo più lieve, il Commissario Turri Silla.
La notizia dell’attentato, subito sparsasi, provocava nella cittadinanza, nella quale tanto il Battaglini che gli altri camerati sono conosciutissimi, la più profonda indignazione.
Il Comandante Militare della Provincia sul posto
Non appena a conoscenza del grave fatto, il Comandante Militare della Provincia, Idreno Utimperghe, Comandante della 36a Brigata Nera “Mussolini”, accompagnato dal V.Comandante ed altri camerati del Comando, si recava immediatamente a Castelnuovo Garfagnana per rendersi conto del criminoso attentato.
Giungevano contemporaneamente sul posto due reparti della Brigata comandati dai Capitani Gino Vivarelli e Vittorio Marlia.
Il Comandante ha immediatamente visitato e reso omaggio alla salma del caduto intrattenendosi amorevolmente con la famiglia alla quale ha espresso le condoglianze più vive sia personali che da parte di tutti i componenti della Brigata Nera; ed ha quindi dato disposizioni affinché alla famiglia del caduto, colpita da tanto lutto, pervengano tutti quegli aiuti materiali e morali che il caso richiede.
In seguito il Comandante ha visitato i feriti esprimendo ad essi l’augurio più fervido ed insieme il suo vivo elogio per il loro esemplare comportamento.
Visitato il luogo del delitto ed impartite precise disposizioni all’Autorità inquirente, affinché l’inchiesta per scoprire il dinamitardo si svolga severamente ed al più presto, il Comandante teneva rapporto agli Ufficiali, dava nuove disposizioni ai componenti il Distaccamento della Brigata Nera, che continuano a presidiare la cittadina di Castelnuovo Garfagnana, ed infine faceva affiggere il seguente manifesto:
GARFAGNINI!
La Brigata Nera “Mussolini” aveva inviato alcuni Squadristi a Castelnuovo Garfagnana.
Essi si occupavano di rifornire di viveri la popolazione rimastane sprovvista, di fare corrispondere l’indennità alle famiglie dei richiamati, di fare opere di assistenza onde lenire dolori e difficoltà dell’attuale momento.
Una mano assassina, nascosta nell’ombra, ha compiuto un attentato vilissimo ed esecrando.
La giustizia sarà inesorabile. I responsabili diretti e morali saranno puniti e molti ostaggi condotti a Lucca.
I camerati della “BRIGATA NERA” continueranno la loro opera di bene e gli ostaggi garantiranno con la loro vita lo svolgersi delle attività che compiono a favore del popolo.
Questo è il precedente che porterà alla rappresaglia di Castelnuovo di Garfagnana del 23 Settembre 1944 quando, dopo l’ennesimo attentato al Commissario prefettizio S.Ten. Silla Turi, che rimaneva ferito insieme alla moglie, la 36a Brigata Nera effettuò un rastrellamento, durante il quale trovarono la morte otto persone. Questo è l’unico fatto di sangue di cui si accusa direttamente la B.N. di Lucca. Altro non vi è.
L’articolo citato è molto importante perché riporta il comportamento degli Squadristi che, sebbene esasperati, si limitarono a prelevare ostaggi e non effettuarono una rappresaglia. Un comportamento del tutto in antitesi a quello che si vuole attribuire loro otto giorni prima, a Sant’Anna di Stazzema. Ma non solo. L’articolo è fondamentale perché è esplicitamente evidenziato come il Serg. Giovanni Battaglini fu – ufficialmente – il primo caduto della Brigata Nera!
A lui, non a caso, sarà intitolata la 1a Compagnia della 36a B.N. “Mussolini”.
Con tale documento si smonta tutta la costruzione che, a Sant’Anna, voleva gli Squadristi trasformati in “licantropi assassini” dopo aver saputo della morte di sei di loro durante un’imboscata partigiana. Mai nessuno ha parlato di caduti della Brigata Nera il 12 Agosto: sei martiri sarebbero stati i primi dell’unità e sarebbero stati subito innalzati agli onori degli altari! Appare oltretutto assurdo che gli stessi Squadristi – fattisi massacratori per vendicare i loro camerati – avessero tranquillamente abbandonato sul posto i caduti, che sarebbero quindi stati portati in piazza come trofei dai ritornanti partigiani, che li avrebbero esposti al pubblico ed infine bruciati insieme alle povere vittime depredate degli averi.
È certo che se la Brigata Nera avesse avuto dei caduti non li avrebbe mai abbandonati, né dimenticati, né cancellati dai ruolini. Il fatto è che gli Squadristi di Lucca non ebbero martiri quel giorno, semplicemente perché a Sant’Anna non c’erano.
Sui trentadue caduti/dispersi censiti della 36a B.N. “Mussolini” – poi “Piacentini” – non ce ne è ovviamente nessuno nella zona di Sant’Anna di Stazzema. Il primo in assoluto dovrebbe essere lo Squadrista Sirio Bartolomei, vittima di un incidente il 13 Agosto 1944 a Pavullo nel Frignano (Modena), a più di 120 chilometri da Sant’Anna, tanto per essere chiari.
Il successivo caduto è il citato Serg. Giovanni Battaglini, il 20 Agosto (cfr. www.laltraverita.it).
In realtà, uno Squadrista de iure c’era in quei luoghi e morì quel maledetto 12 Agosto 1944. Se Rinaldo Bertelli era il Segretario del Fascio è ovvio che con la militarizzazione del PFR anche lui era stato inquadrato de iure – come tutti gli iscritti al Partito – nella costituenda Brigata Nera. Ma, come abbiamo detto, la 36a B.N. “Mussolini” nell’Agosto 1944 era un’unità in formazione, per cui gli arruolati de facto nel reparto erano solo quelli di Lucca e di qualche centro ove era stato possibile costituire un Distaccamento. Ma per il resto, la maggior parte degli iscritti rimase “cosa a parte”, tanto che si parlava di costituire una Brigata Nera “di secondo bando”. Nei paesi di montagna, nelle frazioni di provincia, come era ovvio che fosse, non ci fu nessun arruolamento.
Questo è quanto è stato possibile narrare, in un viaggio attraverso i documenti e la logica. Non pretendiamo, però, aver detto l’ultima parola sul caso, lasciando sempre il campo aperto a nuove interpretazioni, a revisioni di quanto sostenuto. Del resto, la storia è “cosa viva”, non certo un dogma da utilizzare nella battaglia politica.
Al termine di questa inchiesta, durante la quale abbiamo utilizzato documenti inediti per la prima volta mostrati al pubblico, un pensiero doveroso vada alle vittime della strage di Sant’Anna di Stazzema che, come si è sempre saputo, nulla hanno a che fare con l’antifascismo e la Resistenza. Solidarietà vogliamo porgere al Consigliere comunale Prof.ssa Maria Teresa Merli che con il suo intervento ha scosso tante coscienze e scritto una pagina di storia che, forse, le future generazioni sapranno ben comprendere.
Pensare che se non ci fosse stato Giorgio Pisanò ancor oggi non sapremo cosa avvenne durante la RSI, ci induce a riflettere come la storia d’Italia sia stata manipolata per fini di propaganda politica dall’antifascismo.
La Prof.ssa Merli ha ispirato questa nostra inchiesta, Pisanò ci ha guidato nella ricerca. Ma quanta fatica ancora costa dipingere la realtà per quello che fu. Speriamo che il futuro ci riservi un’Italia migliore, dove si possa raggiungere una compiuta pacificazione nazionale, senza più odi partigiani, senza più il rischio di essere processati per aver espresso le proprie idee, come vorrebbe qualche “ufficiale di stato civile” in servizio permanente delle varie “anagrafi antifasciste”.
Pietro Cappellari
(“L’Ultima Crociata”, a. LXXI, n. 5, Luglio-Settembre 2021)
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