(alla fine dell’articolo, prima delle Note, è presente il link dell’articolo precedente)
7 – Dall’Atlantico all’Europa: substrati e superstrati
7.1 – Fomori, Giganti, Cro-Magnon
L’aspetto che ora ci sembra più opportuno evidenziare, è che questi primi Fomori sarebbero sorti in area atlantica soprattutto attraverso articolati processi di meticciamento intervenuti tra i Prenordici provenienti da aree più nordatlantico-boreali e le popolazioni eurasiatico-continentali di substrato (471) delle quali diremo più sotto.
Furono dunque le “mistovariazioni” ricordate anche da Julius Evola (472), che portarono alla nascita di queste popolazioni sudatlantiche da Wirth accostate alla razza di Cro-Magnon, anche se il pensatore romano, in particolare sui Fomori, esprime piuttosto l’idea di una loro vicinanza ai ceppi neandertaliani (473) probabilmente nelle ultime fasi, come già accennato, della loro esistenza.
Il tema generale della “mistovariazione” delle stirpi boreali è ben presente sia in Wirth che in Evola, e spesso si appoggia su considerazioni connesse alla questione dei gruppi sanguigni, anche in quadranti geografici distanti da quello atlantico. Se ad esempio ricordiamo il precedente accenno al fatto che il gruppo ritenuto primordiale sarebbe lo “O”, idea che in verità non sembra esclusiva di Wirth (474), è a partire da questo che dovettero derivare gli altri (tranne forse, ma in un’ottica poligenista, il gruppo “AB” – 475); tale, per il Nostro, sembra il caso del gruppo “B” che sarebbe sorto in Asia – dove ad oggi risulta maggiormente diffuso (476) – a seguito della mistione di gruppi artici più recenti probabilmente con, aggiungiamo noi, le popolazioni equatoriali derivanti dalla primissima fissione umana indotta dal Primo Pleniglaciale di 50-55.000 anni fa. Genti che, a loro volta, dovevano essere già state interessate da importanti fenomeni di deriva genetica e forse anche da non trascurabili episodi ibridatori con ceppi come ad esempio quelli denisoviani, probabilmente verificatisi tra 59.000 e 44.000 anni or sono ed oggi rintracciabili soprattutto nelle popolazioni australasiane, neoguineane e papua-melanesiane (477): tra le quali, infatti, il relativo genoma sembrerebbe contenere fino al 6% di frequenze non Sapiens (478).
Secondo Evola (479) è probabilmente a tali eventi che potrebbe essere ricondotta anche l’origine delle razze asiatico/mongoliche, o almeno di buona parte di esse: quanto meno di quelle più meridionali, se così possiamo interpretare il nettissimo gradiente genetico che, nel gruppo più numeroso appartenente alla cosiddetta “razza gialla” – ovvero i Cinesi – Cavalli Sforza ha rilevato in senso nord-sud, concludendo che fin da tempi paleolitici dovettero sussistere due analoghe fonti di popolamento per l’area estremo-orientale (480). Per inciso, tale dicotomizzazione in seno alle popolazioni mongolidi pare confermata anche da una chiara differenza morfologica riscontrata a livello dentale, con i gruppi settentrionali che sono in larghissima maggioranza “sinodonti” e quelli meridionali invece “sundadonti” (481).
Va inoltre rilevato anche il fatto che Herman Wirth, diversamente da Evola, sembra ritenere questi processi meticciatori del ceppo prenordico risalenti a tempi più antichi rispetto a quelli intervenuti “senza mescolanza” (le cosiddette “idiovariazioni”, cioè per via autonoma), anche se, come vedremo più avanti, riteniamo che pure le “idiovariazioni” possano aver implicato, in una certa misura, alcuni fenomeni di meticciamento seppure tra attori geneticamente molto più vicini fra loro. Ovviamente non è semplice capire quale possa essere stato l’ordine cronologico di queste diverse modalità di variazione del gruppo originario, se non comunque rilevare come, in un ambito più largo, la stessa pluralità delle componenti autosomiche segnalate possa già di fatto alludere a un’evidente azione di tali processi di deriva endogena, ad esempio inquadrando, se vogliamo, la “ANE” come una “idiovariazione” della “ANS” che ad essa fu ancestrale.
Comunque, nel più ristretto campo dei gruppi sanguigni, secondo Herman Wirth un’idiovariazione dell’originario “O” avrebbe generato il gruppo “A” (482), che è presumibile sia entrato in gioco soprattutto nelle fasi più tarde, “nordatlantiche”, delle migrazioni boreali; ma l’aspetto significativo che ci interessava porre in evidenza già adesso, è che tale mutazione sarebbe stata causata dall’influsso ambientale al quale alcuni gruppi artici rimasero esposti durante la loro millenaria permanenza nelle aree più boreali, climaticamente sfavorevoli, e ciò anche in rapporto, come vedremo, con il tema della pigmentazione cutanea. L’anzidetta mutazione ematica, invece, non sarebbe stata necessaria per i sudatlantici che invece erano precocemente migrati a sud, e tra i quali infatti il gruppo “O” rimase prevalente e dovette connotare in particolar modo le popolazioni cromagnoidi (483).
Le implicazioni di questo punto ci sembrano piuttosto importanti in quanto, a nostro avviso, confermano le deduzioni fatte più sopra in merito alle condizioni edeniche – da “Eterna Primavera” – sussistenti a Nord nel Krita Yuga e sulle quali Wirth non pare spingere le sue riflessioni fino in fondo: ovvero, che se il gruppo “O” sembra riuscire a mantenersi relativamente intatto anche nel contesto climatico delle latitudini tropicali (si badi bene, non esclusa addirittura l’Africa), ciò significa che non eccessivamente diversa dovette essere l’originaria situazione artica nella quale sorse. Una condizione climatica che, da un lato, non sarebbe molto compatibile con il ricordo del lungo inverno dell’Airyana Vaējah (ma, piuttosto, rimandante ad una fase a questa precedente) e, dall’altro, peggiorando indusse quella idiovariazione del gruppo “O” verso il gruppo “A” che prima, evidentemente, non aveva avuto alcuna necessità di emergere. Sotto tale luce, inoltre, potrebbe trovare almeno una parziale spiegazione il fatto che le genti atlantiche, pur passando attraverso una serie di meticciamenti e re-incroci fra genti, come vedremo, uscite in tempi diversi dalle sedi artiche, non dovettero comunque allontarsi eccessivamente dall’iniziale fenotipo caucasoide semi-indifferenziato, tanto appunto da mantenere l’iniziale gruppo “O” e costituire quello che secondo Schuon fu un elemento che sembrò “anteriore alle grandi differenziazioni razziali” (484): quasi una sorta di “punto medio” antropologico che, in un modo o nell’altro, erano infine andati ad occupare.
In ogni caso, per ora è utile soffermarci ancora sulla razza Cro-Magnon e sulla sua origine derivante dall’incontro di popolazioni precedenti, che anche in termini storico-tradizionali si era in qualche modo già anticipato nel discorso sui “figli di Dio” e sulle “figlie degli uomini” – soggetti per i quali avevamo avanzato l’idea di un’identificazione plurima e fluida – e la cui prole, i mitici Giganti, spesso è stata significativamente accostata proprio ai gruppi cromagnoidi (485): ma è anche interessante rilevare come l’idea del Cro-Magnon sorto essenzialmente per mistovariazione, sia stata sostenuta in tempi più recenti e da parte di ricercatori di impostazione più prettamente accademica (486).
Per quanto riguarda le popolazioni di substrato continentale che Wirth definisce “finno-asiatiche”, e la cui mistione con i ceppi prenordici artico-atlantici avrebbe portato alla genesi cromagnoide nell’occidente eurasiatico, dovrebbero corrispondere a quelle riconducibili al primo popolamento Sapiens del nostro continente: in termini razziali collegabili alla linea “capelloide” ed in termini genetici, ipotizziamo, connesse alla componente autosomica “basale eurasiatica” ed a quel marcatore M130 del cromosoma Y che appare ben attestato nella Siberia nord-orientale (487). Sarebbe stata coinvolta, cioè, almeno la propaggine più occidentale del primissimo popolamento Sapiens partito dalla Beringia ed archeologicamente attestato nei reperti europei indicati in precedenza; e non è impossibile che tale sottoinsieme della stratificazione Sapiens “capelloide” più antica sia stata interessata, come ipotizza Evola, anche da una certa mistione con gli ancora precedenti gruppi neandertaliani, dai quali avrebbe “traghettato” ai successivi Cro-Magnon alcune frequenze molecolari che in qualche caso – come nei gruppi più direttamente identificabili con i summenzionati Fomori – si sarebbero evidenziate fino nei caratteri visibili a livello fenotipico. Ma, appunto, tale dinamica probabilmente interessò solo un sottoinsieme della prima ondata extra-artica, dal momento che nel lignaggio “basale eurasiatico” individuabile oggi non sembra riscontrarsi traccia di DNA neandertaliano, che quindi dovette entrare principalmente in quel troncone che dalla linea basale si era già separato almeno 35-37.000 anni fa (488): una stima che però è da considerarsi come limite temporale minimo per non allontanarci troppo dal tempo in cui i neandertaliani erano ancora in grado di meticciarsi con i primi Sapiens, quindi ovviamente prima della loro estinzione avvenuta circa 40.000 anni fa.
7.2 – Lapponi e Liguri
Il fatto che questo primo popolamento, in termini linguistici, come già detto in precedenza dovrebbe essere relazionabile al dispiegarsi della famiglia dene-caucasica, di cui il Basco rappresenta oggi una delle ultime testimonianze, può far sorgere qualche interrogativo sulla correttezza della denominazione di tale popolazione come “finno-asiatica”, dal momento che il mondo finnico è notoriamente connesso alla famiglia uralica e non a quella dene-caucasica. La nostra idea è che tale denominazione in effetti sia fuorviante e possa dipendere dall’interpretazione wirthiana del tema, già precedentemente accennato, relativo al primo popolamento di tradizione sciamanica e di tipologia “lapponoide” del continente europeo che, come visto, alcuni antropologi avevano significativamente accostato a quello sardo-ligure (489).
Ma appunto, come dicevamo, quello “lapponoide” potrebbe essere stato solo uno dei vari tipi umani – seppur sempre afferenti alla generale morfologia gracile-capelloide (490) – ad aver remotamente popolato l’Europa apparendo come substrato letteralmente “aborigeno”, ma non per questo meno riconducibile al Nord, anche se precocemente abbandonato rispetto ad ondate più recenti: e, a titolo di esempio, è interessante notare come nell’etimologia proposta da Licofrone di Calcide, il nome degli “Aborigeni” italici deriverebbero da “Boreigonoi”, cioè “uomini boreali” (491), elemento che acquisisce ulteriore interesse nell’accostamento di questi, riportato da Dionigi di Alicarnasso, nei confronti proprio di quei Liguri (492) che un tempo avrebbero avuto un’estensione geografica enormemente più ampia rispetto ai tempi protostorici, proprio nel summenzionato quadro “sardo-ligure-lapponoide”. Un quadro nel quale, come per i Lapponi, anche nei Liguri è infatti riscontrabile una lontanissima radice preneolitica (493) e con i quali – ma sono tutti concetti sui quali torneremo più avanti – evidenziano un ulteriore tratto in comune, ovvero quello della particolare tipologia cranica definita “brachicefala” (meno allungata), che prima dell’arrivo delle popolazioni indoeuropee “storiche” dev’essere stata massicciamente presente proprio tra i “lapponoidi” ed i Liguri (494): elemento, tra l’altro, piuttosto incongruente con l’ipotesi di Giuseppe Sergi, dal quale invece vengono incasellati nella stirpe mediterranea (495) ma che appunto stride con la netta dolicocefalia (cranio allungato) di quest’ultima.
Un altro curioso ma non trascurabile nesso “ligure-lappone” può forse essere intravisto nella particolare importanza rivestita dalla figura del Cigno, animale dai chiari rimandi solari e boreali, che ha grande rilevanza sia tra i Lapponi (496) che tra gli antichi Liguri (497), nel Mito dei quali, come “Cicno”, ne assume addirittura la funzione di sovrano, presente nella vicenda della morte di Fetonte caduto nell’Eridano (498).
Inoltre il collegamento tra le genti lapponoidi e quelle “finno-asiatiche” di Herman Wirth potrebbe essere ulteriormente indebolito anche nell’ipotesi che la lingua originale dei Sami non sia stata sempre quella attuale, di ceppo uralico, ma che sia stata acquisita solo in un secondo momento (499), quando fece il suo ingresso in Europa, come vedremo più avanti, diversi millenni dopo; ciò, in quanto i loro attuali dialetti sembrerebbero contenere espressioni riconducibili al periodo in cui gli antenati dei Lapponi erano probabilmente insediati in aree diverse da quelle odierne, e che testimonierebbero sopravvienze di un substrato linguistico sia preindoeuropeo che preuralico (500).
Se quindi ci muoviamo nella prospettiva che i Lapponi possano in qualche modo essere collegati al primo popolamento Sapiens del nostro continente, può avere una certa logica la presenza in essi di frequenze molecolari che ne attesterebbero una certa affinità, però a livello più profondo, con popolazioni sicuramente arcaiche come i Baschi ed i Caucasici, similarità che in effetti emergono soprattutto nelle componenti principali di ordine inferiore, come la quinta e la sesta individuate da Cavalli Sforza (501), e quindi denotando una relazione lontana ma significativa, molto probabilmente preneolitica. Con i Baschi, in particolare, i Lapponi mostrerebbero un rapporto forse più stretto nell’analisi di alcune frequenze geniche di linea femminile: da queste emergerebbe infatti come larga parte degli attuali Europei deriverebbe da una popolazione originaria pre-glaciale e strettamente imparentata con gli attuali Baschi, ma evidenziando l’interessante dato che alcuni marcatori caratteristici di tale antichissimo gruppo sarebbero comunque presenti in ancora maggior misura, rispetto ai Baschi, proprio nei Lapponi e in generale nella Scandinavia settentrionale (502). Ed in effetti, osservando la loro dislocazione attuale, è interessante il fatto che i Baschi, i Caucasici ed i Lapponi si trovino in tre aree piuttosto marginali del nostro continente, quasi ai tre vertici di un ideale triangolo: estremo ovest, estremo est, ed estremo nord.
Un altro elemento che potrebbe forse andare nella direzione di questo lontanissimo collegamento è l’attestazione, riscontrata sia tra i Baschi (503) che tra i Lapponi, della più bassa frequenza fra tutti i popoli europei, di sangue del gruppo B (504): se ricordiamo le ipotesi di Wirth sull’origine est-asiatica di questo gruppo sanguigno, ciò potrebbe ridimensionarne il peso dell’apporto orientale nel genoma lappone – che invece Cavalli Sforza ipotizza essere stato rilevante (505) – o, piuttosto, suggerire l’idea che gli “orientali” del tempo non erano ancora quelli che sarebbero diventati in seguito con l’enucleazione del tipo mongolide, il quale, come già accennato in precedenza, è di genesi relativamente recente. Ma se comunque non escludiamo qualche mescolamento del gruppo ancestrale agli attuali Lapponi con genti del nord-ovest siberiano, come accennato forse l’effetto finale più evidente di questo episodio andrebbe cercato soprattutto a livello linguistico, cioè con l’uralizzazione dei Sami ad opera di gruppi proto-finnici il cui tipo fisico, comunque, non era certamente mongolide ma sostanzialmente “pre-europide”, tanto da non portare assolutamente il tipo lappone al di fuori del contesto antropologico continentale (506).
Va comunque anche rilevato che, sempre a livello ematico, tra Lapponi e Baschi è osservabile un ulteriore dato eclatante ma dal significato più controverso: si tratta della distribuzione del gene Rh- che, in Europa, presenta il suo picco più alto nella zona pirenaica (507) e i suoi valori più bassi proprio in quella lappone (508), ora quindi non avvicinando, ma collocando i due gruppi ai due poli opposti della scala. A nostro avviso, questo elemento potrebbe suggerire una storia filogenetica nella quale il gruppo ancestrale agli attuali Lapponi, partendo dall’antichissima “meta-popolazione” Sapiens condivisa con Baschi e Caucasici, se ne distaccò con una ramificazione molto remota forse a causa dell’area geografica particolarmente settentrionale che rimase ad occupare, nel tempo rarefacendo progressivamente lo scambio genico con i gruppi più meridionali. Le particolari condizioni ecologiche e culturali nelle quali fu immerso per millenni (509) probabilmente lo portarono a sviluppare dapprima alcune mutazioni interne soprattutto a livello ematico, oggi appunto riscontrabili nel picco negativo del fattore Rh- ma anche – elemento molto importante – con la nascita del gruppo A, che infatti nel quadro della distribuzione mondiale è particolarmente importante in Europa (510). Hermann Munk ipotizzò infatti che il gruppo A era anticamente sorto proprio in area scandinava, o ad essa contigua (511) ed infatti ancora oggi esso si rileva nei Lapponi con percentuali nettamente superiori a tutte le altre popolazioni del nostro continente (512) – mentre, all’opposto, in Europa i valori tra i più elevati del gruppo O sono attestati tra i Baschi (513) – quindi rafforzando l’idea che tale mutazione del primordiale gruppo O (o sua “idiovaziazione”, come già segnalato in precedenza), può aver avuto la sua ragion d’essere nelle particolari condizioni artiche dove ancora oggi, quasi unici fra tutti gli Europei, i Lapponi mantengono la loro sede.
Forse è solo nei periodi successivi che questa popolazione consolidò anche la sua particolare brachitipia e molto probabilmente i Lapponi che conosciamo oggi sono fisicamente piuttosto diversi dai “proto-Lapponi”, ad esempio, di 30.000 anni fa; una direzione morfologica condivisa con i brevilinei Eschimesi – ai quali sono analoghi, pur nel diverso contesto razziale al quale appartengono – che dovette consolidarsi sempre a causa delle estreme sollecitazioni ambientali (514) e della marginalità geografica che da tempo immemore li ha contraddistinti. Ma, d’altro canto, tale marginalità potrebbe essere stata determinante proprio per il mantenimento di quelle frequenze molecolari paleoeuropee – come dicevamo sopra, in misura anche superiore agli stessi Baschi – se ad esempio consideriamo che soprattutto in area scandinava, a livello di DNA mitocondriale (linea femminile), risulta particolarmente ben attestato l’aplogruppo “U”, che è stato stimato risalire fino a circa 40-45.000 anni fa (515). E magari una sensibile impronta genetica paleo-caucasoide potrebbe anche essere alla base della particolare vicinanza rilevata sempre tra il genoma scandinavo e quello del reperto russo di Kostenki risalente a circa 37.000 anni fa (516), forse anche a causa di una non trascurabile quota importata in Svedesi e Norvegesi proprio dai più antichi lapponoidi, come è pure ipotizzato da Cavalli Sforza (517).
Il genoma di Kostenki oltretutto è molto interessante perché, da quanto emerso (518), sembrerebbe contenere già tutte le principali componenti molecolari oggi riscontrabili tra gli Europei (con una particolare vicinanza, come detto, a quelle scandinave) oltre ad evidenziare un sensibile collegamento con l’anzidetto substrato “basale eurasiatico”, al quale tra l’altro si stima sia riconducibile circa un quarto del nostro attuale genoma continentale (519); quindi rafforzando l’idea di una vasta meta-popolazione relativamente omogenea, connessa anche ai Nativi Americani, e di fatto depotenziando le teorie di incontro in Europa di popolazioni troppo diversificate: quindi in definitiva anche quella wirthiana fondata su una netta separazione tra Prenordici artico-atlantici e Finno-asiatici / lapponoidi.
Link articoli precedenti:
Note
471. Arthur Branwen – Ultima Thule. Julius Evola e Herman Wirth – Edizioni all’insegna del Veltro – 2007 – pag. 42; Julius Evola – Il mito del sangue – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 154
472. Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizioni Mediterranee – 1988 – pag. 244
473. Julius Evola – Preistoria mediterranea – in: Julius Evola, Il mistero Iperboreo. Scritti sugli Indoeuropei 1934-1970, a cura di Alberto Lombardo, Quaderni di testi evoliani n. 37, Fondazione Julius Evola, 2002, pag. 42
474. Luigi Brian – Il differenziamento e la sistematica umana in funzione del tempo – Marzorati Editore – 1972 – pag. 309; Claudio Pogliano – L’ossessione della razza. Antropologia e genetica nel XX secolo – Edizioni della Normale – 2005 – pag. 90; Tiziana Pompili Casanova – Pelasgi stirpe divina – Drakon Edizioni – 2017 – pag. 218
475. Julius Evola – L’ipotesi iperborea – in: Arthos, n. 27-28 “La Tradizione artica”, 1983/1984, pag. 7
476. Luigi Luca Cavalli Sforza – Geni, popoli e lingue – Adelphi – 1996 – pag. 39; Louis Charpentier – Il mistero Basco. Alle origini della civiltà occidentale – Edizioni L’Età dell’Acquario – 2007 – pag. 74
477. David Reich – Chi siamo e come siamo arrivati fin qui. Il DNA antico e la nuova scienza del passato dell’umanità – Raffaello Cortina Editore – 2019 (copia in pdf) – pagg. 91, 235
478. Il ménage à trois dei nostri antenati – in: Le Scienze – 19/09/2011 – http://www.lescienze.it/news/2011/09/19/news/incrocio_genetico_sapiens_neanderthal_denisova-744081/; In Melanesia le tracce viventi della terza specie di Homo – in: Le Scienze – 23/12/2010 – http://www.lescienze.it/news/2010/12/23/news/in_melanesia_le_tracce_viventi_della_terza_specie_di_homo-553626/; Giorgio Manzi – L’allegro passato di Denisova – in: Le Scienze – Marzo 2011
479. Julius Evola – Ricerche moderne sulla tradizione nordico-atlantica – in: Julius Evola , I testi di Ordine Nuovo, Edizioni di Ar, 2001, pag. 65; David Reich – Chi siamo e come siamo arrivati fin qui. Il DNA antico e la nuova scienza del passato dell’umanità – Raffaello Cortina Editore – 2019 (copia in pdf) – pag. 91
480. Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pagg. 435-436
481. Fabio Calabrese – Alla ricerca delle origini – Ritter – 2020 – pag. 182; Christy G. Turner II – Una ricerca sulle migrazioni preistoriche in Asia – in: Le Scienze – Aprile 1989 – pag. 86; Nicholas Wade – Una scomoda eredità. La storia umana tra razze e genetica – Codice Edizioni – 2015 – pag. 90
482. Julius Evola – L’ipotesi iperborea – in: Arthos, n. 27-28 “La Tradizione artica”, 1983/1984, pagg. 7, 8
483. Louis Charpentier – Il mistero Basco. Alle origini della civiltà occidentale – Edizioni L’Età dell’Acquario – 2007 – pag. 71
484. Frithjof Schuon – Caste e razze – Edizioni all’insegna del Veltro – 1979 – pag. 60
485. Gaston Georgel – Le quattro Età dell’umanità. Introduzione alla concezione ciclica della storia – Il Cerchio – 1982 – pag. 145
486. Frank C. Hibben – L’Uomo preistorico in Europa – Feltrinelli – 1972 – pag. 37; Francisco Villar – Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa. Lingua e storia – Il Mulino – 1997 – pag. 195; Claudio Pogliano – L’ossessione della razza. Antropologia e genetica nel XX secolo – Edizioni della Normale – 2005 – pag. 233
487. Spencer Wells – Il lungo viaggio dell’uomo. L’odissea della nostra specie – Longanesi – 2006 – pag. 235
488. David Reich – Chi siamo e come siamo arrivati fin qui. Il DNA antico e la nuova scienza del passato dell’umanità – Raffaello Cortina Editore – 2019 (copia in pdf) – pagg. 112, 121, 122
489. Luigi Brian – Il differenziamento e la sistematica umana in funzione del tempo – Marzorati Editore – 1972 – pag. 315; Roberto Bosi – I Lapponi – Il Saggiatore – 1969 – pagg. 32, 170, 173
490. Louis Charpentier – Il mistero Basco. Alle origini della civiltà occidentale – Edizioni L’Età dell’Acquario – 2007 – pag. 73
491. Giano degli Albenghi – Riflessi primordiali alle origini di Roma: il Palatino – in: Arthos, n. 27-28, “La Tradizione artica”, 1983-1984, pag. 55
492. Renato Del Ponte – I Liguri. Etnogenesi di un popolo – ECIG – 1999 – pag. 137
493. Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pag. 557; Eurialo De Michelis – L’origine degli indo-europei – Fratelli Bocca Editori – 1903 – pag. 538
494. Onorato Bucci – Gli Indoeuropei: il percorso della dottrina – In: AA.VV. (a cura di Onorato Bucci), Antichi popoli europei. Dall’unità alla diversificazione, Editrice Universitaria di Roma-La Goliardica, 1993, pag. 16; Eurialo De Michelis – L’origine degli indo-europei – Fratelli Bocca Editori – 1903 – pagg. 529, 533, 538; Giacomo Devoto – Origini indeuropee – Sansoni – 1962 – pag. 47; Luigi Schiaparelli – Le stirpi ibero-liguri nell’occidente e nell’Italia antica – Arnaldo Forni Editore – 1989 (ristampa anastatica dell’edizione del 1880) – pag. 83
495. Giuseppe Sergi – I Britanni – Settimo Sigillo – 1987 – pag. IV
496. Andrew Collins – Il mistero del cigno. In cerca degli antichi segreti sull’origine della vita nel Cosmo – Libri per evolvere – 2011 – pag. 141; Renato Del Ponte – I Liguri. Etnogenesi di un popolo – ECIG – 1999 – pag. 129
497. Antonio Bonifacio – La via polare dei cigni. I destrieri di Apollo tra preistoria e Roma Augustea – Tratto da Internet, sito Simmetria, e pubblicato in 4 parti – Parte 4: http://www.simmetria.org/images/stories/pdf/rivista_30_2013_a5.pdf , pag. 13; Elvira Mercurio Bennici – Atlantide. Analisi storica di un mito – Libreria Dario Flaccovio Editrice – 1982 – pag. 48
498. Eurialo De Michelis – L’origine degli indo-europei – Fratelli Bocca Editori – 1903 – pag. 529; Renato Del Ponte – I Liguri. Etnogenesi di un popolo – ECIG – 1999 – pag. 132; Luigi Schiaparelli – Le stirpi ibero-liguri nell’occidente e nell’Italia antica – Arnaldo Forni Editore – 1989 (ristampa anastatica dell’edizione del 1880) – pag. 86
499. Renato Biasutti – Razze e Popoli della terra – UTET – 1967 – vol. 2 – pag. 231; Roberto Bosi – I Lapponi – Il Saggiatore – 1969 – pag. 16; Claudio Mutti (a cura) – Kantele e Krez. Antologia del folklore uralico – Edizioni Arthos – 1979 – pag. VI; Federico Prizzi – Ahnenerbe in Finlandia. Le ricerche antropologiche sul fronte della Carelia – NovAntico Editrice – 2019 – pag. 160
500. Harald Haarmann – Storia universale delle lingue. Dalle origini all’era digitale – Bollati Boringhieri – 2021 – pag. 147
501. Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pag. 556
502. Elisabeth Hamel, Theo Vennemann, Peter Forster – La lingua degli antichi europei – in: Le Scienze, Luglio 2002, pag. 71
503. Tiziana Pompili Casanova – Pelasgi stirpe divina – Drakon Edizioni – 2017 – pag. 218
504. Renato Biasutti – Razze e Popoli della terra – UTET – 1967 – vol. 1 – pag. 383
505. Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pag. 567
506. Renato Biasutti – Razze e Popoli della terra – UTET – 1967 – vol. 2 – pagg. 232, 302
507. Tiziana Pompili Casanova – Pelasgi stirpe divina – Drakon Edizioni – 2017 – pag. 218
508. Luigi Luca Cavalli Sforza – Geni, popoli e lingue – Adelphi – 1996 – pag. 162
509. Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pag. 567
510. Luigi Luca Cavalli Sforza – Geni, popoli e lingue – Adelphi – 1996 – pag. 39
511. Gianfranco Drioli – Iperborea. Ricerca senza fine della Patria perduta – Ritter– 2014 – pag. 118
512. Renato Biasutti – Razze e Popoli della terra – UTET – 1967 – vol. 1 – pag. 383; Louis Charpentier – Il mistero Basco. Alle origini della civiltà occidentale – Edizioni L’Età dell’Acquario – 2007 – pagg. 72, 73
513. Renato Biasutti – Razze e Popoli della terra – UTET – 1967 – vol. 1 – pagg. 382-384 (tabella); Alain Danielou – La Fantasia degli Dei e l’Avventura Umana – CasadeiLibri Editore – 2013 – pag. 63; Tiziana Pompili Casanova – Pelasgi stirpe divina – Drakon Edizioni – 2017 – pag. 218
514. Renato Biasutti – Razze e Popoli della terra – UTET – 1967 – vol. 1 – pagg. 313, 497
515. Guido Barbujani – Europei senza se e senza ma. Storie di neandertaliani e di immigrati – Bompiani – 2008 – pag. 165; Bryan Sykes – Le sette figlie di Eva. Le comuni origini genetiche dell’umanità – Mondadori – 2003 – pag. 231
516. Rasmus Kragh Jakobsen – Scandivians are the earliest Europeans – ScienceNordic.com – 19/11/2014 – http://sciencenordic.com/scandinavians-are-earliest-europeans?fbclid=IwAR18gHgREQafbOrgX8LZjV-5BXz0b4xWFrWlgjMLWbbKA1-BoUdrLBvlN1Y
517. Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pag. 511
518. AA.VV. – Genomic structure in Europeans dating back at least 36,200 years – Science – 06/11/2014 – https://science.sciencemag.org/content/346/6213/1113?fbclid=IwAR3AXmLbnmlPrtJnm2HMj3XMdk6nKE86yU73zdPbu8rkJSFxvkfOhbSL-p4
519. David Reich – Chi siamo e come siamo arrivati fin qui. Il DNA antico e la nuova scienza del passato dell’umanità – Raffaello Cortina Editore – 2019 (copia in pdf) – pag. 121