2.4 – Polarità primordiale e Swastika
I Miti e le suggestioni di matrice nordica che abbiamo rapidamente esposto nei paragrafi precedenti, rappresentano fasi formative piuttosto eterogenee – cioè di carattere più o meno ecumenico e di cronologia più o meno remota – sulle quali in seguito faremo delle analisi più dettagliate. In termini generali potremmo comunque già dire che la loro formulazione sembra andare nella stessa direzione di un altro concetto, ovvero quello relativo alla rapidità del popolamento della Terra da parte di Homo Sapiens. In rapporto a tutti gli altri continenti, infatti, la culla artica appare geometricamente centrale ed è intuitivo che soprattutto partendo da qui, rispetto ad altre aree, gli uomini primordiali avrebbero avuto una certa facilità a raggiungere anche i settori meno accessibili del pianeta (140). Dunque una dinamica grossomodo radiale giunta fino alle più lontane periferie meridionali dove, quasi come in un “cul de sac”, oggi infatti risiedono i gruppi umani contraddistinti dai tratti più primitivi (141), in buona concordanza con le osservazioni dell’etnologo Fritz Graebner (anche se, nella sua visuale, non solo per le aree australi ma in generale per tutti i settori più marginali rispetto ai centri continentali – 142): giungendo quindi al capolinea di un vastissimo movimento partito da quella zona polare che, sola, può legittimamente definirsi l’omphalos geografico del mondo (143).
Ed è questo preciso punto che ci sembra particolarmente importante.
Nella carrellata che nei paragrafi precedenti abbiamo riassunto, infatti, al lettore forse non sarà sfuggito che qua e là è emerso un concetto più specifico rispetto alla generica borealità legata ai tempi antichi: quello – appunto – di una primordiale “polarità”, ovvero di un legame particolare con l’Axis Mundi. In effetti questo è un elemento, molto preciso e non esattamente equivalente al tema di una vaga settentrionalità, che spesso viene rimarcato da René Guénon, in quanto avrebbe connotato la prima super-umanità sia in termini geografici che spirituali: e pare significativo il fatto che nelle sue riflessioni Herman Wirth, oltre al tema delle “origini prime” dell’uomo, non affronti nemmeno quest’importante snodo. Bisogna infatti dire che lo stanziamento della sua “razza prenordica” nelle aree ad alta latitudine viene spiegata non come un fatto primario, ma attraverso la collocazione originaria di tali zone a livelli più meridionali, tanto da aver anticamente rappresentato un habitat ideale per la sussistenza umana, quindi ricalcando le idee di autori quali ad esempio Karl Georg Zschaetzsch (144) sulle origini a latitudini relativamente basse degli “Ariani” (concetto etnico sul quale torneremo più avanti). Herman Wirth ritiene dunque che la posizione di questa culla geografica sarebbe stata inizialmente diversa e si sarebbe modificata a seguito di uno spostamento polare, fenomeno che almeno negli effetti finali appare simile, anche se di non identica genesi geologica, a quello della scorrimento della crosta terrestre ipotizzato da Charles Hapgood (145): in pratica, una rapida “dislocazione” di aree geografiche a latitudini ben più elevate rispetto a quelle occupate in precedenza.
È però evidente come questa prospettiva sia alquanto diversa da quella sostenuta da René Guénon, secondo il quale la posizione della super-umanità dei primordi sarebbe stata – e fin dalla sua nascita – “letteralmente polare”.
Sotto questo aspetto, quindi, più vicine a quelle guenoniane sembrano le analisi di William Fairfield Warren, il quale sottolinea l’enorme diffusione tra le tante mitologie mondiali che abbiamo incontrato (giapponesi, cinesi, tibetano-buddiste, indù, iraniche, mesopotamiche, egizie, elleniche…) appunto del tema – molto specifico – del Polo Nord terrestre quale “sommità del pianeta” e del Polo Nord celeste quale sede del Paradiso ultramondano nonchè dimora divina (e, specularmente, del Polo Sud come “luogo degli inferi”): suggerendo quindi l’idea che ciò rappresenti il ricordo di una precisa osservazione del Cosmo fatta dall’uomo dei primordi in prima persona. Osservazione che, con questi esiti, sarebbe potuta avvenire solo da un particolare punto della Terra, ovvero quello dove il Polo Nord celeste avrebbe rappresentato lo “zenith” ed il Polo Sud il “nadir”: cioè, ovviamente, il Polo Nord terrestre (146).
Una possibile traccia simbolica di tale primordiale localizzazione umana risiede probabilmente in uno dei più antichi, se non il più antico in assoluto (147), segni grafici tramandati dalla Preistoria, ovvero lo Swastika. Simbolo che già Colley March ipotizzò, alla fine del XIX secolo, alludere all’asse celeste attorno al quale ruotano le stelle del firmamento (148), venne considerato in modo similare anche da René Guénon, il quale ne evidenzia un preciso significato legato al Polo (149) in quanto raffigurante un movimento circolare osservato “in soggettiva” e dall’interno, cioè come se l’osservatore si ponesse nel punto centrale di intersezione delle quattro braccia (150): con la logica deduzione che, analogamente, il Polo del pianeta dovette fisicamente essere abitato all’inizio del ciclo. Con la rotazione terrestre da ovest verso est, tale prospettiva visuale produce quindi la sensazione di un movimento sinistrorso ed antiorario dello Swastika. Ma tale movimento, invece, appare destrorso ed orario quando il suo significato non è più polare ma diviene solare (151) perché relativo ad un’osservazione non più effettuata dall’interno della figura ma esternamente ad essa: cioè come di chi, ormai distante dal Polo, si ponesse il nord alle spalle e vedesse davanti a sé il sole “rotolare” dalla sua nascita ad est al suo tramonto ad ovest, in una traiettoria semicircolare procedente da sinistra verso destra.
Il passaggo dalla prima alla seconda prospettiva visuale porta quindi Guénon a ritenere il simbolismo di matrice polare più antico di quello solare (152) e dunque originante, in assoluto, nei più remoti primordi umani, tanto da connettere lo Swastika direttamente alla “Tradizione primordiale” di inizio Manvantara (153). Tale punto pare inoltre confermato dal fatto che la grafia dello Swastika implica una certa elaborazione e certamente non è delle più semplici, in quanto vi sono forme espressive ben più elementari – come il punto, la linea, la croce, il cerchio – che per la loro basilarità non si può escludere possano essere state inventate indipendentemente in diverse aree mondiali; ma la complessità dello Swastika tenderebbe invece ad escludere l’ipotesi dell’origine separata e a sostenere piuttosto quella di una fonte comune ed unitaria di elaborazione (154). Secondo A.K. Coomaraswamy, oltretutto, lo Swastika sarebbe anche più antico del simbolo della ruota (155) e, vista la dinamica eliaca suggerita da questa – l’anzidetto “rotolamento” – crediamo che ciò confermi ulteriormente l’idea dell’anteriorità del simbolismo polare rispetto a quello solare; ed anche nell’ipotesi di un collegamento della ruota alla più elementare figura del cerchio, l’idea di uno Swastika ancora più antico rispetto ad entrambi, di fatto incrina il consueto pregiudizio evoluzionista di una “semplicità” originaria che si sarebbe sempre più articolata e resa complessa anche nell’ambito culturale oltre che biologico (156).
Il tema della fonte unitaria e primordiale dello Swastika pare confermato anche dalla distribuzione su scala chiaramente mondiale di questo simbolo (157) che, oltre ad essere presente nelle aree indoeuropee – nel Mito ellenico ricordiamo che la sua origine viene attribuita a Prometeo (158) – risulta attestato anche ben al di fuori di tale ambito ed in contesti estremamente distanti: dal mondo uralico-lappone al Medio Oriente, in entrambi i continenti americani, nell’Africa settentrionale e nella valle del Nilo (159), ma anche in aree prossime al golfo di Guinea e ben indagate da Leo Frobenius (160), nella civiltà di Harappa del subcontinente indiano ed ancora più ad est, in Cina (161), fino agli Ainu dell’arcipelago giapponese (162). Un simbolo quindi estremamente diffuso e di origine sicuramente paleolitica (163) le cui tracce più antiche giunte fino a noi sono forse rappresentate da un’incisione su una statuetta di avorio di mammut, rinvenuta in Ucraina occidentale e databile tra il 18.000 e il 15.000 a.c. (164), e dal geoglifo di Tiliviche, nel Cile settentrionale, risalente forse a 12.000 anni or sono (165).
2.5 – L’Eterna Primavera
Dicevamo dunque che per la sua razza prenordica Herman Wirth sembra propendere per l’idea di un’originaria sede formativa sita a latitudini temperate e soltanto di una sua incidentale ri-dislocazione geologica più a Nord, ponendo quindi le premesse per il successivo abbandono di tali sedi sulla spinta della conseguente, peggiorata, situazione climatica. Ne consegue che in questo modo vengono implicitamente presupposte anche per i tempi primordiali le stesse, difficili, condizioni ambientali che attualmente connotano le alte latitudini. Si tratta però di un aspetto che pare stridere con un altro mito tradizionale: quello di una perpetuità mono-stagionale e di un “optimun climatico” dei tempi aurorali, al quale, pur in qualche suo altro scritto (166), anche lo stesso Wirth sembra aver alluso ma che, analogamente al parallelo tema polare, non risulta abbia ulteriormente sviluppato.
Quello dell’ “Eterna Primavera” dei tempi edenici (167) è un topos culturale che viene visitato da lunghissimo tempo: menzionato dal latino Ovidio nelle “Metamorfosi” (168) e nel mito ellenico corrispondente al regno di Crono (169), rappresenta quella situazione cosmica primordiale, quasi immobile, che non sfuggì al Platone del “Politico” (170) e che viene ricordata anche nei Purana indù come condizione climatica del Krita Yuga (171). Ricordi e rimandi che arrivano fino al Medioevo e a Dante Alighieri: nel canto XXVIII del Purgatorio, giunto alla sommità della montagna ove giace il Paradiso Terrestre, il Poeta incontra una donna, quella Matelda che ai versi 49-51 viene associata a Proserpina (172) la quale, come la corrispondente Persefone greca, simboleggia chiaramente la stagione primaverile che dunque, in tutta evidenza, doveva connotare quel luogo idilliaco. E tra il declinante Medioevo fino alla Modernità non vi è secolo che non offra analoghi cenni in questa direzione: dal quattrocentesco monaco veneziano Francesco Colonna che menziona l’isola di Citera, paganizzato paradiso terrestre dal perenne e dolcissimo clima (173) al Torquanto Tasso dell’Aminta, ma anche al celebre “Paradise Lost” di John Milton (174), fino alle elucubrazioni settecentesche del già incontrato Jean Sylvain Bailly e di Jean-Jacques Rousseau (175).
E forse il tema dell’Eterna Primavera può essere unito a quello polare (176) anche in via più diretta, attraverso alcuni reperti vegetali rinvenuti nell’Artico che denoterebbero l’assenza di stasi invernale (177): ma su questo – o comunque, più in generale, sulle condizioni climatiche sorprendentemente favorevoli che decine di migliaia di anni fa sembrano aver albergato alle altissime latitudini – torneremo senz’altro più avanti.
2.6 – Problemi di terminologia
A tutti questi elementi, tra le nostre osservazioni preliminari possiamo infine aggiungere anche un ultimo punto legato alla terminologia che Herman Wirth adottò, la quale contribuì non poco a generare qualche equivoco attorno alle varie fasi preistoriche richiamate nelle sue riflessioni: il caso forse più tipico è quello dell’espressione “nordico-atlantici” attribuita alle popolazioni boreali dei primordi. Se infatti, come detto, la storia ciclico-tradizionale ricorda un momento primordiale iperboreo, ecco che l’accostamento lessicale di questo Mito a quello atlantico, cronologicamente successivo, appare senz’altro problematico e foriero di diversi fraintendimenti (178).
Tale tendenza alla sovrapposizione tra il tema nordico-polare e quello atlantico-insulare ha, come già visto, radici piuttosto antiche ma prolungatesi fino alle ultime decadi del XIX secolo, ad esempio con il geologo austriaco Eduard Suess che collocò Atlantide in Groenlandia (179) e, tra gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, ad influenzare diverse analisi elaborate sempre in ambito germanico (180), coinvolgendo non solo Herman Wirth ma ad esempio anche autori quali Rudolf John Gorsleben e Siegrief Kadner (181): un approccio che aveva spinto lo stesso Guénon ad intervenire decisamente nella questione (182), sottolineando come anche la sezione più settentrionale del continente atlantideo non andava assolutamente confusa con la molto precedente terra iperborea primordiale (183). Ma non era solo il tema geografico che il metafisico francese intendeva correggere, vi era anche un discorso di tipo cronologico che andava meglio chiarito: infatti, nella revisione delle bozze di “Rivolta contro il mondo moderno”, Guénon dà atto ad Evola di aver opportunamente separato e distinto, contrariamente ai ricercatori germanici, il momento iperboreo da quello atlantico, ma segnala comunque al pensatore romano l’errore nel rappresentare questi due periodi come succedutisi in modo immediatamente consecutivo, ritenendo invece la civiltà atlantidea essersi sviluppata solo alla seconda metà del Manvantara (184), quindi con la conseguenza che i due momenti dovettero essere separati da uno spazio nel quale trovarono posto fasi e civiltà intermedie (185). Dunque fasi e civiltà di diretta promanazione dall’originario centro iperboreo e senza la mediazione di quello atlantico (186), come ad esempio fu quella lemuriana e più australe, che però non affronteremo nel presente scritto. Ma, in merito a quest’ultima, possiamo comunque dire che l’approccio poligenista di Evola tendeva a considerarla come una fonte del tutto irriducibile alla “Luce del Nord”, associandola anzi a quella “Luce del Sud”” (187), spiritualmente tellurica e culturalmente matriarcale, presentata come sua antagonista assoluta e quindi nemmeno lontanamente derivata dal mondo iperboreo e primordiale di questo stesso Manvantara (concetto che, significativamente, oltre che in Wirth pare assente anche in Evola). La saltuaria ammissione che certi ceppi australi e “selvaggi” a suo tempo avrebbero goduto di un “ben più alto grado di civiltà” ci sembra infatti troppo vaga per non essere interpretabile – secondo quella che probabilmente fu la prospettiva evoliana – come sopravvivenza residuale di un’altra umanità, dalla radice completamente diversa dalla nostra – forse “antartica”? (188) – e quindi, verrebbe da pensare, sorta in un Manvantara precedente all’attuale.
Ipotesi però incompatibile, osserviamo, con il quadro guenoniano che invece postula cicli umani rigidamente “chiusi” e tra loro non comunicanti.
Comunque di passata possiamo già anticipare che, a ben vedere, in Wirth effettivamente si riscontra uno spazio di discontinuità che separa il momento artico-primordiale (o, almeno, quello che nella sua ricostruzione dovrebbe corrispondervi) dalla fase occidentale-atlantica: infatti il Nostro, basandosi soprattutto sulla tradizione iranica, non manca di menzionare la terra di Gava – “dove abitano i Sughdhas” – che avrebbe rappresentato la seconda area di stazionamento dei ceppi prenordici dopo l’uscita dalla sede primaria boreale – la Airyanem-Vaejo – e prima del loro ingresso nella terza terra raggiunta dal flusso migratorio verso sud, cioè quella Mô-uru (189) che egli fa pienamente corrispondere all’Atlantide oceanica. Torneremo più avanti su questi temi e sulla loro particolare interpretazione nell’ottica wirthiana: in ogni caso si può però osservare che, anche in presenza della precisa “tabella di marcia” ripresa dai testi iranici – la quale avrebbe potuto suggerire, in coerenza con le puntualizzazioni di Guénon, una collocazione del Nord e dell’Ovest geograficamente meno sovrapposta e temporalmente più distanziata – lo scrittore tedesco-olandese non si sottrasse mai completamente all’equivoco di fondo dovuto al suo massiccio e pervasivo utilizzo del concetto di “nordico-atlantico”.
NOTE
140. Maurizio Blondet – L’Uccellosauro ed altri animali (la catastrofe del darwinismo) – Effedieffe – 2002 – pag. 117; William F. Warren – Paradise found. The cradle of the human race at the North Pole – Fredonia Books – 2002 (ristampa anastatica dell’edizione del 1885) – pag. 443; Brook Wilensky-Lanford – Il Paradiso ritrovato. Sulle tracce del giardino dell’Eden – EDT – 2012 – pag. 12
141. Umberto Melotti – L’origine dell’uomo e delle razze umane – Centro Studi Terzo Mondo – 1977 – pag. 86
142. Wilhelm Schmidt – Manuale di storia comparata delle religioni – Iduna Edizioni – 2021 – pag. 194
143. William F. Warren – Paradise found. The cradle of the human race at the North Pole – Fredonia Books – 2002 (ristampa anastatica dell’edizione del 1885) – pag. 51
144. Karl Georg Zschaetzsch – Atlantide. La patria ancestrale degli Ariani – Editrice Thule Italia – 2021 – pag. 116
145. Charles H. Hapgood – Lo scorrimento della crosta terrestre – Einaudi – 1965
146. William Fairfield Warren – Paradise Found: the Cradle of the Human Race at the North Pole – Fredonia Books – 2002 (ristampa anastatica dell’edizione del 1885) – pag. 139
147. Rafael Videla Eissmann – Il simbolo sacro del sole – Profondo Rosso – 2022 – pag. 13
148. Thomas Wilson – Lo Svastica – Editrice Thule Italia – 2014 – pag. 38
149. René Guénon – Forme tradizionali e cicli cosmici – Edizioni Mediterranee – 1987 – pag. 32; René Guénon – Il Re del mondo – Adelphi – 1997 – pag. 23
150. René Guénon – Il Re del mondo – Adelphi – 1997 – pag. 24; René Guénon – Simboli della scienza sacra – Adelphi – 1990 – pag. 68
151. Costanza Bondi, Marco Morucci – Svastica simbolo sacro universale – XPublishing – 2018 – pag. 38
152. René Guénon – Il simbolismo della Croce – Luni Editrice – 1999 – pag. 82
153. René Guénon – Il simbolismo della Croce – Luni Editrice – 1999 – pag. 83; René Guénon – Simboli della scienza sacra – Adelphi – 1990 – pag. 70
154. Thomas Wilson – Lo Svastica – Editrice Thule Italia – 2014 – pag. 18
155. Ananda Kentish Coomaraswamy – L’albero, la ruota, il loto – Editori Laterza – 2009 – pag. 102
156. René Guénon – Il Demiurgo e altri saggi – Adelphi – 2007 – pag. 45; René Guénon – Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi – Adelphi – 1995 – pag. 80
157. Rafael Videla Eissmann – Il simbolo sacro del sole – Profondo Rosso – 2022 – pag. 13
158. Robert Graves – I Miti Greci – vol.1 – Il Giornale – pag. 133
159. Thomas Wilson – Lo Svastica – Editrice Thule Italia – 2014 – pag. 191
160. Leo Frobenius – I miti di Atlantide – Xenia Edizioni – 1993 – pag. 9; Leo Frobenius – Storia delle civiltà africane – Bollati Boringhieri – 1991 – pag. 144
161. Harald Haarmann – Sulle tracce degli Indoeuropei. Dai nomadi neolitici alle prime civiltà avanzate – Bollati Boringhieri – 2022 – pag. 20
162. Bernard Marillier – Lo Svastica. Storia, Mito e Simbolo – Ritter – 2007 – pag. 18
163. Rafael Videla Eissmann – Il simbolo sacro del sole – Profondo Rosso – 2022 – pag. 44
164. Gabriella Brusa Zappellini – Archeologia della svastica. Morfogenesi di un simbolo – Arcipelago Edizioni – 2006 – pag. 7
165. Rafael Videla Eissmann – Il simbolo sacro del sole – Profondo Rosso – 2022 – pag. 290
166. Arthur Branwen – Ultima Thule. Julius Evola e Herman Wirth – Edizioni all’insegna del Veltro – 2007 – pag. 29; Federico Filiè – La rivista “Germanien” organo ufficiale dell’Ahnenerbe 1935-1943 – Mursia – 2019 – pag. 35
167. Gaston Georgel – Le quattro Età dell’umanità. Introduzione alla concezione ciclica della storia – Il Cerchio – 1982 – pag. 114
168. Christophe Levalois – La terra di luce. Il Nord e l’Origine – Edizioni Barbarossa – 1988 – pag. 44
169. Publio Ovidio Nasone – Metamorfosi. Libro Primo. Verso 107 – Einaudi – 2011 – pagg. 8, 9; Nuccio D’Anna – Il gioco cosmico. Tempo ed eternità nell’antica Grecia – Rusconi – 1999 – pagg. 22 e 87
170. Jean Delumeau – Alla ricerca del paradiso – Edizioni San Paolo – 2012 – pag. 35; Nuccio D’Anna – Un aspetto del simbolismo della croce: lo “swastika” – in: Arthos, n. 15 (nuova serie), 2007, pag. 114
171. Paolo Magnone – I dadi e la scacchiera. Visioni indiane del tempo – in: I Quaderni di Avallon, n. 34, “Il senso del tempo”, 1995, pag. 79
172. Dante Alighieri – La Divina Commedia. Purgatorio. Canto XXVIII – Mondadori Editore – Biblioteca Treccani – 2005 – pag. 713
173. Jean Delumeau – Alla ricerca del paradiso – Edizioni San Paolo – 2012 – pag. 39
174. John Milton – Paradiso perduto – Mondadori – 1990 – pag. 479
175. Joscelyn Godwin – Il mito polare. L’Archetipo dei Poli nella scienza, nel simbolismo e nell’occultismo – Edizioni Mediterranee – 1993 – pagg. 53, 223
176. Joscelyn Godwin – Il mito polare. L’Archetipo dei Poli nella scienza, nel simbolismo e nell’occultismo – Edizioni Mediterranee – 1993 – pag. 14
177. Antonio Bonifacio – L’Egitto dono di Atlantide – Edizioni Agpha Press – 1998 – pag. 18; Julius Evola – L’ipotesi iperborea – in: Arthos, n. 27-28 “La Tradizione artica”, 1983/1984, pag. 5
178. Nuccio D’Anna – A proposito del rapporto Julius Evola–Hermann Wirth – in: Vie della Tradizione n. 140, Ottobre/Dicembre 2005, pag. 161
179. Davide Bigalli – Il mito della terra perduta. Da Atlantide a Thule – Bevivino Editore – 2010 – pag. 199
180. Alberto Lombardo – Orientamenti evoliani – in: AA.VV. (a cura Marco Iacona), Il maestro della Tradizione. Dialoghi su Julius Evola, Controcorrente, 2008, pag. 396
181. Lyon Sprague de Camp – Il mito di Atlantide e i continenti scomparsi – Fanucci – 1980 – pag. 329; Franz Wegener – Il Terzo Reich e il sogno di Atlantide – Lindau – 2006 – pag. 29
182. Aleksandr Dughin – Continente Russia – Edizioni all’insegna del Veltro – 1991 – pag. 39
183. René Guénon – Forme tradizionali e cicli cosmici – Edizioni Mediterranee – 1987 – pagg. 27, 29
184. René Guénon – Forme tradizionali e cicli cosmici – Edizioni Mediterranee – 1987 – pag. 39
185. Alessandro Grossato – René Guénon e la revisione delle bozze di Rivolta (appendice dell’edizione del 1998 di “Rivolta contro il mondo moderno”) – pag. 415; Alberto Ventura – Evola, Guénon e la “questione d’oriente” – In: “AA.VV. ((a cura di Gianfranco de Turris, Damiano Gianandrea, Giovanni Sessa) – Julius Evola e l’Oriente (Studi Evoliani 2012) – Fondazione Julius Evola – 2014” – pagg. 19, 20
186. Arvo – Sulla tradizione iperborea – in: AA.VV., Introduzione alla magia, Vol. 2, Edizioni Mediterranee, 1987, pag. 366; Antonio Bonifacio – L’Egitto dono di Atlantide – Edizioni Agpha Press – 1998 – pag. 40
187. Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizioni Mediterranee – 1988 – pag. 255
188. Julius Evola – Sintesi di dottrina della razza – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 67
189. Onorato Bucci – Airyana Vaejah. La dimora originaria degli Arii e la formazione storica del principio dell’armonia cosmica – in: AA.VV. (a cura di Onorato Bucci), Antichi popoli europei. Dall’unità alla diversificazione, Editrice Universitaria di Roma-La Goliardica, 1993, pag. 52
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