Era tempo che non si assisteva sui media mainstream al ritorno in grande stile di un antifascismo becero e pretestuoso, stile anni ’70, come quello che s’è visto in occasione delle recenti elezioni amministrative.
Ci ha pensato Formigli nel suo programma, Piazza Pulita, uno dei più indecenti e schierati tra quelli trasmessi su La7, a dare la stura alla sentina dei miasmi antifascisti, mandando in onda un servizio di spionaggio giornalistico organizzato dalla testata Fanpage ai danni di Fratelli d’Italia. Tre anni di dossieraggio, organizzati mediante un infiltrato nel partito di Giorgia Meloni, utilizzati per documentarne presunti legami con frange estreme e finanziamenti illeciti da poter spiattellare in prima serata, prima del voto.
A seguire, al termine di una manifestazione contro il Green Pass, organizzata a Roma sabato 9 ottobre, un corteo di dimostranti guidato da elementi di Forza Nuova s’è diretto verso la sede nazionale della CGIL che è stata oggetto di un assalto.
Ce n’era abbastanza per resuscitare i cascami dell’antifascismo, il risveglio dei sindacati, l’isteria e il parossismo dei democratici à la carte, sempre pronti a denunciare il pericolo di un risorgente regime.
Il centro destra ha reagito a suo modo a questa aggressione politica e mediatica, riaffermando la propria distanza dal fascismo, esigendo la condanna di ogni violenza, accusando il ministro dell’Interno, Lamorgese, di incapacità e addirittura di subdola tolleranza nei confronti degli assalitori del sindacato marxista.
Emergono in questo scenario due elementi costanti della vita politica nazionale: l’antifascismo strumentale della sinistra e la debole reazione della destra.
Il primo è l’arma propagandistica costantemente utilizzata, da oltre 70 anni, dal PCI e dai suoi eredi, col cinismo che è loro proprio, ogniqualvolta s’è resa utile per mostrificare l’avversario ovvero per ricattare e paralizzare le altre forze politiche nella gabbia dell’arco costituzionale e, per questo, non stupisce né richiede ulteriori commenti.
La debolezza della destra, invece, dev’essere attentamente valutata e commentata, perché rappresenta ad un tempo un grave elemento di debolezza strategico politica nonchè la dimostrazione di una esiziale involuzione ideale.
Il continuo ricatto costituzionale a cui è sottoposta l’area di destra trae origine dalla XII Disposizione transitoria e finale della Carta e dalle successive leggi emanate in applicazione della stessa.
E’ bene sottolineare, in premessa, che tali norme non sono comunque né immutabili né espressione di una volontà divina, ma rappresentano solo il frutto di una coalizione politica combattuta dal fascismo che, in questo modo, ha voluto blindarsi contro il paventato ritorno di un’idea a lei tenacemente avversa. Ci sarebbe da chiedere quanto di “democratico” ci sia in tutto ciò, in questo atteggiamento che, semplicemente a parti invertite, ricalca esattamente quanto il fascismo aveva attuato in precedenza.
Ma, anche volendo dare per scontata l’accettazione del dettato costituzionale, le previsioni di legge impongono limiti e divieti, a comportamenti, atti ed esternazioni, solo in caso di un evidente e concreto tentativo di “riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista”.
Ne discende che le speciose polemiche sollevate tutte le volte che la sinistra si imbatte in qualche “saluto romano”, sono destituite di ogni fondamento giuridico.
Così come lo sono tutte le grottesche battaglie, avviate in questi anni da un patetico parlamentare del PD, contro statuette, immagini, calendari e gadget vari del Ventennio.
E tuttavia, se tali ridicole questioni possono essere sollevate è perché si è arretrato da troppo tempo da una linea di fermezza e di dignità politica, è perché un vergognoso documento è stato sottoscritto al passaggio dal MSI ad AN da un’intera classe dirigente guidata da un Segretario politico che sarebbe indecente persino nominare.
La rinuncia, da quel momento, a narrare una contro-storia rispetto alla vulgata democratico resistenziale, l’accettazione supina di una versione adulterata e manipolata degli eventi della prima metà del XX secolo, ha consegnato un’intera comunità umana e politica alla mercé del suo nemico mortale. E i risultati si colgono ancora oggi, a distanza di oltre 100 anni dalla fondazione dei fasci di combattimento, nel continuo riemergere dell’odio, della discriminazione e del ricatto operato dalle sinistre contro ogni oppositore.
Nella guerra delle parole, ad esempio, l’egemonia marxista ha caricato di negatività il termine “squadrista” e tutto ciò che a esso è riconducibile, sicchè lo sconsiderato assalto alla sede della CGIL è stato subito ricollegato alle spedizioni fasciste del primo dopoguerra. Al contrario, andrebbe riaffermato come lo squadrismo fascista non solo salvò il Paese da una deriva sovietica, ma fu sempre utilizzato come reazione contro le violenze social comuniste e indirizzato verso beni materiali piuttosto che persone. Le devastazioni delle Case del Popolo erano conseguenti ai crimini social comunisti ed erano indirizzate non verso luoghi di ritrovo, ma contro centri di sovversione e illegalità.
Ridare dignità politica all’azione fascista sarebbe solo un modo di riaffermare la verità storica.
Altrimenti non ci si può neppure stupire della protervia e della oscenità di certe pretese, come quella che vorrebbe imporre la giornata del 25 aprile come una festa di tutti gli italiani. Si vorrebbe che una parte di italiani rinnegasse se stessa e la propria memoria, tradisse e oltraggiasse i propri morti, plaudisse ai propri carnefici. Si vorrebbe che gli eredi dei martiri delle foibe o degli eccidi partigiani si inchinassero a quelli che, nella loro infame bestialità, inneggiano ancora a Piazzale Loreto. Si vorrebbe accreditare la turpe menzogna di un “male assoluto” contro un sodalizio di democratica e umana solidarietà universale.
Riconquistare il proprio passato è il primo passo per ribattere e confutare ogni mistificazione, a cominciare da una chiara definizione della nostra area come quella di una comunità politica “non-di-destra”, ma piuttosto sociale e nazionale capace di farsi interprete delle istanze popolari, del lavoro e della famiglia con uno spirito interclassista.
Quante volte abbiamo sognato una netta presa di distanze da quella destra in cui non ci riconosciamo e con la quale poco abbiamo in comune a cominciare dalla stessa definizione nella quale ci hanno “ghettizzato” per anni. Noi non apparteniamo né alla destra né alla sinistra, siamo altro e siamo più. Noi siamo la sintesi dei principi e degli ideali di Nazione e socialità, lavoro e comunità. Ideali che vivono nel cuore di una Tradizione millenaria e sempre nuova e che si servono con fedeltà e onore. Di certo non abbiamo nel nostro dna i miti del proletariato e del progressismo né quelli dell’azienda e del denaro, ma in altri tempi abbiamo saputo far sviluppare il nostro Paese in un modo incredibile, conciliando il lavoro col capitale e fornendo al popolo un’assistenza e una protezione sociale che solo oggi sono messe in pericolo dai paladini della globalizzazione e del libero mercato.
Questa realtà vive in profondità nell’animo del Paese, non sono riuscite a scalzarla né una guerra perduta né 76 anni di sudice menzogne e assillante propaganda, non si piegherà al ricatto del pensiero unico e del globalismo livellatore e meticcio.
Di questa realtà occorre tenere conto e fornirle adeguati spazi di espressione e rappresentanza, piuttosto che ricorrere a condanne inappellabili o manovre di palazzo, già tentate in passato con l’utilizzo spregiudicato di servizi e magistratura.
Chi volesse tornare alla ghettizzazione e alla demonizzazione di una intera comunità dovrà assumersi una grave responsabilità ed essere consapevole delle conseguenze di una scelta del genere.
Non accettiamo lezioni da questo regime, neppure quando dalle nostre fila possano provenire esecrabili comportamenti. Noi sappiamo condannare i nostri errori, ma saremo sempre in credito nei confronti di chi contempla nella propria legislazione fondante il diritto a distruggerci e a considerarci dei fuori legge.
E ci vorrebbe proni e consenzienti. Ma noi siamo differenti.
6 Comments