Il male metafisico esiste? E che cosa s’intende per male metafisico? Queste due domande sono estremamente complesse e interdipendenti, e costituiscono un problema fondamentale per il pensiero filosofico. Il problema del male fu elaborato in particolare dalla filosofia cristiana a partire da Agostino, che fece di questo problema l’assillo precipuo della sua opera, tant’è che egli ne ebbe ben tre visioni contrapposte (manicheismo dualistico, libero arbitrio, predestinazione). Tuttavia la visione cristiana non ha mai colto alla radice il significato profondo del male, nonostante siano state scritte pagine interessanti e notevoli, come quelle dello stesso Agostino, Tommaso, Lutero, Calvino, Pascal, Kierkegaard, fino ad arrivare a Bonhoeffer (il teorico del dio Tappabuchi). Infatti il pensiero cristiano, pur nelle sue differenti o anche contrastanti posizioni ideologiche, è sempre stato fortemente condizionato da una veduta teologica e, di conseguenza, da una teodicea (la giustizia di Dio) in cui Dio è considerato come Persona provvidente. Il cristianesimo è in definitiva un antropocentrismo radicale che contempla l’intervento di un dio infinito buono ed onnisciente (unum, verum ed bonum scriveva Tommaso) nelle vicende umane, da Lui guidate o determinate. Spinoza prima e Nietzsche più tardi, pur con diverse argomentazioni, hanno stroncato in poche pagine questa veduta provvidenzialistica, che è del tutto assurda ed insensata, in quanto l’Infinito Dio non può determinarsi in alcunché, poiché la determinazione implica l’essere parte di un qualcosa: e se Dio fosse parte di qualcosa sarebbe finito e parziale, e quindi in quanto tale non sarebbe più Dio. Inoltre, come si dice a livello popolare, spesse volte i malvagi se la passano assai meglio dei buoni. E sebbene pensatori acuti come De Maistre abbiano cercato di difendere tale veduta (si legga di questi il bel libro le “Serate di S. Pietroburgo”) trovando mille arzigogoli, questi alla fine essa concludeva con il solito invito ad aver fede.
Ora la domanda che ci si poneva era che cos’è il male metafisico. In particolare la parola che si deve esaminare non è tanto la parola “male”, bensì l’attributo “metafisico”. Un attributo che può avere svariati significati, ma che qui usiamo nel senso proprio di ciò che sta al di là della fisica, ossia nel significato di male trascendente e perciò assoluto (ab-solutus, sciolto da qualsiasi vincolo empirico). Se il semplice male può essere definito come ciò che arreca dolore, sofferenza, violenza (tristezza e depressione della propria ed altrui voglia di vivere scrivevano i citati Spinoza e Nietzsche), l’aggettivo metafisico conferisce al sostantivo una qualità che va oltre l’umano e che coinvolge direttamente Dio. Se il male metafisico esiste, si deve ammettere che radice del male stesso sta in Dio stesso. Un Dio malvagio si penserebbe, un “funesto demiurgo”, come riportava il titolo di un famoso libro di E. Cioran. Infatti solo un dio tarato e crudele, scriveva l’autore, avrebbe potuto creare un mondo così feroce e cattivo.
Una risposta originale ed estremamente illuminante a questa domanda la troviamo in un’opera semisconosciuta del filosofo idealista Schelling che, nella sua opera “Ricerche sull’essenza della libertà umana”, affronta il problema del male in modo del tutto nuovo, tant’è che Heidegger scrisse negli anni Trenta un libro su Schelling (anche questo semisconosciuto) (“Schelling”, ed. Giunta), definendo tale opera “…una delle opere più profonde della filosofia tedesca e quindi della filosofia occidentale”.
Il male, secondo Schelling, scaturisce da Dio. Ma in quale modo? In questa opera l’autore per rispondere a questa domanda presenta una distinzione netta fra fondamento (Grund) ed esistenza, all’interno di Dio stesso. Scrive Schelling: “…prima o oltre Dio non c’è nulla. Egli deve essere il fondamento della propria esistenza…questo fondamento della sua esistenza che Dio ha in sé, non è Dio considerato assolutamente, cioè in quanto esiste; è invece solo il fondamento della sua esistenza, è la natura–in Dio: un’essenza certamente inseparabile da Lui, e tuttavia distinta” (1).
Il fondamento e l’esistenza compongono Dio, e nel loro insieme costituiscono la sua unità arcioriginaria: ossia il fondamento non-fondato (Urgrund) e assolutamente indifferenziato: in questo indifferenziato si rivela la distinzione non cronologica (Dio in quanto tale è eterno, senza tempo), bensì dinamica. Dio per poter manifestarsi deve produrre il mondo finito, poichè senza di esso sarebbe assoluto vuoto, un ni-ente. Questa necessità di produzione è propria del fondamento, cioè dell’essenza. Ora sorge la domanda principale: perché il fondamento divino deve produrre il mondo? Schelling, sicuramente influenzato dal teosofo monachese Max Baader, che fu uno dei primi in Europa ad introdurre la cultura induista e buddhista, ritenne che la produzione del mondo era l’espressione di una volontà originaria, che nelle “Upanishad” corrisponde al Brahman: una volontà intesa come appetito, come desiderio primordiale. Un suo brano estremamente significativo lo conferma: “Ogni nascita è nascita dalla oscurità alla luce; il seme deve essere immerso nella terra e morire nelle tenebre, affinchè nasca e si schiuda ai raggi del sole una più bella forma luminosa. L’uomo si forma nel grembo materno; e solo dall’oscurità dell’irrazionale (dal sentimento, dal desiderio, la splendida madre della conoscenza) derivano i pensieri luminosi. Dobbiamo rappresentarci il desiderio originario come qualcosa che si dirige verso l’intelletto, che ancora non conosce…” (2).
Dio è la base, in senso alchemico, cioè la prima essenziale condizione della propria esistenza (il brodo primordiale, in un certo senso) . Da qui la distinzione che Schelling espone fra fondamento ed esistenza: “Il fondamento è la natura di Dio, la natura da cui Dio stesso si trae e diviene…” (3). L’esistenza è la sua derivazione che si esplica con la produzione del mondo finito degli enti. L’Appetito originario produce la realtà finita e con ciò si segna il passaggio circolare fra l’Infinito Dio e il finito mondo. Dio è perciò infinito e finito nell’infinito: tre momenti dinamici e coeterni nella stessa Unità. Si può dire che l’appetito originario corrisponde al Kàos (il baratro senza fondo) dal quale sorge il Kòsmos in cui vi è la messa in ordine, ossia la rivelazione del nòmos e del lògos.
Agli albori del pensiero europeo Anassimandro intuì già tutto questo: nell’infinito migmatico nascono, per separazione, gli enti, che rappresentano l’esistenza spazio-temporale governata dal lògos del contrari contrastanti.
Quello che è oscuro e difficile da comprendere è come sia possibile che da un fondamento caotico e irrazionale scaturisca con necessità la ragione. Dirà Hegel che il cominciamento del divenire, e perciò degli enti, è logico. Tuttavia la ragione si manifesta e deve manifestarsi nel mondo finito proprio perchè la base è irrazionale. I miti Greci ci aiutano ad illuminarci su questo: Dioniso, dio dell’ebbrezza e dell’originario amorfo flusso del vivere si accompagna in una unità complementare con Apollo, dio della intelligenza composta ed armonica. Entrambi gli dei sono pervasi dal lògos, o in modo estatico (Dioniso) o un modo intellettuale (Apollo). Dioniso è quindi quello che Schelling definiva come “…quel desiderio originario che si dirige verso l’intelletto”, cioè verso Apollo. La rivelazione del lògos nel finito è una conseguenza necessaria implicita nell’Appetito stesso. Se, infatti, il finito fosse preda del disordine non potrebbe sopravvivere. Un disordine totale annienterebbe qualsiasi forma di vita: ecco che allora nascono col mondo finito, da sempre, le leggi del mondo fisico e animale; leggi che tendono e sovraintendono alla sopravvivenza stessa degli enti. Il male perciò non è altro che la sovversione di tali leggi. Proprio così: il male è sovversione rispetto al mondo naturale, animale e, aggiungiamo, umano.
Il Dio che diviene è fondamento ed esistenza, Kàos e Kòsmos, infinito e finito, perfetto e imperfetto, in una unità circolare unitaria. Tuttavia Dio, in quanto tale, non può essere né male né bene, poiché male e bene sono manifestazioni pratiche proprie del mondo finito. Il male metafisico non esiste come essenza, ma esiste come possibilità originaria già nella Base, perchè gli esseri viventi sono una derivazione di Dio, ed essi posseggono in diverso grado, per analogia, direbbe Tommaso, sia l’appetito che la ragione. Gli uomini, in particolare, possiedono l’autocoscienza, in quanto sono gli unici nel nostro pianeta ad essere consapevoli di pensare. La scelta fra il bene e il male implica quindi la libertà consapevole dell’agire umano, mentre nel mondo vegetale ed animale il male si esprime istintivamente. La scelta dell’agire malvagio è, ripetiamo, sovversione. La distruzione della famiglia naturale, la pandemia demografica, la volontà di sopprimere le razze e le diversità, l’avidità sconsiderata e folle del capitalismo, l’ipocrisia del “buono” sono manifestazioni del male che trovano in alcuni uomini dal grande “potere” la possibilità concreta di diffondersi sempre più. Essi sono, per usare un termine gnostico, eoni satanici, ovvero incarnazioni temporali del male.
E’ una sovversione, oggi più che mai, estremamente pericolosa, poiché se si estinguono la ragione e il relativo equilibrio, la via verso gli stati inferiori dell’essere (il “tamas” della sapienza induista) sarà inevitabile.
Note:
- F.W.J. SCHELLING, Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana e gli oggetti ad essa connessi, p. 117,ed. Rusconi, Milano 1996.
- IDEM, p. 121.
- G. STRUMMIELLO, Introduzione all’opera citata, p. 30.
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