(una recensione a cura di Luca Valentini)
Siamo lieti di recensire una nuova “fatica” filosofica dell’amico Giandomenico Casalino, che continua il proprio processo di ricerca e di conoscenza nell’ambito dell’intima connessione tra Idealismo e dimensione sapienziale, che è stata acclarata col testo di Glenn Alexander Magee, Hegel e la Tradizione Ermetica, di cui lo stesso Casalino ha curato la postfazione. A tale correlazione è dedicata l’interessante e profonda prefazione a cura di Giovanni Sessa, che analizza, non solo le diverse componenti germaniche del panlogismo, le diversità essenziali tra le correnti di Jena e di Heidelberg, ma anche come, specie la seconda, in riferimento ad un città a cara non solo al Romanticismo ma soprattutto ai cultori del movimento rosicruciano (come ci indicano gli studi di F.A. Yates), lo stesso possa essere declinato in chiave teosofico, cioè non come espressione sistematica e razionale, ma come avvicinamento filosofico al Divino, di cui, rammentando il titolo dell’opera del Casalino, ha colto dialetticamente il Fondamento. “Pensare l’Assoluto come Risultato” è il sottotitolo dell’opera, che esplicitamente ne indica la direzione ermeneutica verso concezione cosmicamente ciclica dell’Essere, che dissolve ogni vacuità duale, per ricomprendere l’Inizio con la Fine, il Basso (il Fondamento inerziale e realizzante) con l’Alto (il Risultato realizzato), in cui l’immagine ermetica del serpente Uroboros sintetizza, in un solo istante fulmineo, l’intera ricerca casaliniana sul Circolo e sull’Intero. Tale è il senso di quel pensiero, che l’autore definisce “abissale”, grazie al quale è possibile comprendere tutta la transitorietà del gioco cosmico, come divenire che non svela la propria illusione, se non quando l’esperienza interiore, a seguito di un rivolgimento verso la propria origine prenatale, sappia riconoscere, sappia platonicamente rimembrare l’assoluto, che è simultaneamente fondamento e realizzazione.
In tale riconoscimento maieutico, Casalino ricomprende anche l’esperienza filosofica di Spinoza, nel quale ravvede la prima manifestazione istantanea di causa – effetto – risultato, che in Hegel rivive nella sintesi fenomenologica: “Per causa di sé intendo ciò, la cui essenza implica l’esistenza; ossia ciò, la cui natura non si può concepire se non esistente” (da una citazione di Spinoza a p. 24). In ciò l’autore di discosta dalle valutazioni che Evola esprime, in un suo saggio sugli Ebrei e la Matematica, in merito allo stesso Spinoza, che, lungi dal considerarlo come esprimente una visione in linea con la sapienzialità ermetica e platonica, lo inquadra in una dimensione che esplicita “…l’antico spirito lunare-panteistico e fatalistico già manifestatosi nel Mediterraneo semita… Nello Spinoza la considerazione sub specie aetemitatis s’identifica alla considerazione more geometrico… E’ una espressione dello spirito “lunare” e deterministico che, nella sua compiutezza, rappresenta una antitesi all’attitudine solare quale mai la storia della cultura ne presentò di simile”. [1]
Il condivisibile approccio del Casalino, che non è modernamente sistemico o razionalmente filosofico, lo si ritrova nella esplicitazione demiurgica del mondo come Teogonia, come manifestazione nel divenire dell’Essere, tramite un processo dialettico che si sublima in un ritorno a sé autocosciente, come un processo alchimico di espansione attiva e di centripeto riassorbimento lunare, che ritrovano ciò che sempre permane, cioè la presenza androginica del Numen: “E’ manifesto, quindi, l’Oro dei Filosofi! Esso è il Pater Aeternus, è il sempre luminoso, il sempre verde di una Natura che (ri)nasce ritualmente e ciclicamente dalla oscurità e dal freddo dell’inverno…”(p. 50). Si evince, da ciò, il traghettamento da una visione filosofica, arcaicamente intesa, ad una visione ermetica, in cui la molteplicità sostanziale riconquista la primordiale Unità essenziale del Cosmo, nel senso che la rivede, la rivive per ciò che è sempre, è sempre stata e che solo illusoriamente si frammenta.
Qui, subentra una problematicità dello scritto di Casalino, che, come in altri suoi precedenti scritti, non trova un’adeguata soluzione. L’autore che intuitivamente comprendere l’Intero e la dinamica circolare ad esso connessa, non si pone l’interrogativo del perché ciò che è Unità venga umanamente percepito come Molteplicità, dando per scontato che sia parte di un processo di autoriconoscimento. Qui si evidenzia, a nostro parere, un limite nella concezione ermetica dell’autore, che pone la stessa su di un livello intuitivo-ideale, al pari dell’Idealismo hegeliano. La dimensione trasmutativa della dottrina ermetico-alchimica, al contrario, necessita di un completo abbandono della sfera ideale, perché si applica operativamente a ciò che è il perno cruciale di ciò che manifesta la frammentazione del cosmo, cioè l’uomo, perché in esso tale frammentazione è assolutamente reale, assolutamente attuale, se ci si riferisce alla modernità. I riferimenti alla Tradizione Ermetica risultano a volte essere vaghi, con assenza colpevole di note adeguate, che giustifichino alcune affermazioni a noi apparse al quanto dubbie. “Rito cultuale iniziatico” (p. 42), come espressione tecnica dell’Opus Magicum è una contraddizione palese, in quanto ciò che è iniziaticamente Rito e quindi evocazione, non può essere accostato al Culto, che è invocazione e pertanto di dominio religioso e non ermetico. “L’Uomo cosmico indoeuropeo, pertanto, attivamente supererà e negherà in guisa risolutoria (tale è il significato del solve alchemico…) tutte le scorie, i detriti…” (p. 91), rappresenta un altro riferimento fuorviante rispetto a quello che è l’Arte Metallica, in quanto il processo purificatorio si attua tramite un solvente lunare ed acquatico, per nulla attivo e identificativo, ma tramite un particolareggiato processo di incantamento degli elementi terrosi, che, se messi a contatto col Fuoco, possono irrimediabilmente ustionarsi. Tutto ciò denota l’esigenza di comprendere che Sapere, pur non solamente erudito, e Conoscenza effettiva, cioè trasfigurante l’operatore, non sono la medesima cosa, come la dimensione religiosa e cultuale è gerarchicamente inferiore all’Arcano del Rito e dell’Iniziazione: ciò che si intuisce non si realizza automaticamente in sé, ma necessità di un lavoro introspettivo, di cui la Filosofia arcaica, idealista ed ermetica, come concepita da Casalino, fornisce la giusta predisposizione, ma non gli strumenti pratici di palingenesi interna. Tali riferimenti, purtroppo, non solo non vengono indicati, ma si nega – elemento ancor più grave –, la valenza sapienziale di un’operatività ascetica e trasmutatoria, che possa render viventi le indicazioni ideali invocate giustamente. Non è casuale, infatti, come nel testo nessun alto riferimento al Cosmo, all’Intero, all’Essere sia ricondotto alla meccanicità frammentaria del microcosmo, all’unico vero Athanor che un operatore ermetico dovrebbe considerare, cioè la propria interiorità, la propria caducità ed i vincoli che la condizionano.
E’ da riconoscere, però, all’autore un’assoluta onestà intellettuale, perché, a differenza dei testi precedenti, tale dimensione inizia gradualmente a riconoscerla come indispensabile, come realtà che va oltre l’aspetto mistico e speculativo, che i riferimenti ad Aristotele, a Spinoza ed Hegel evidenziano. Per tale motivo, l’impegno posto in essere da Casalino lo reputiamo assolutamente meritorio, nell’ambito di un’assoluta efficacia di una direzione ideale a cui aderire, ad una visione ideale da assumere come Stella Polare, in un cammino di riconoscimento noetico, che non poche imboscate può riservare a chi smarrisce il senso della ricerca, che l’autore ha ben presente e che indica ai propri lettori, in maniera assolutamente pregevole e dotta, seppur in maniera limitatamente teoretica: “La filosofia stessa è vita religiosa, rituale di coabitazione gioiosa con e nella Natura…”(p. 87).
Giandomenico Casalino, Sul Fondamento, Edizioni Arya, Genova 2014, p. 96.
[1] Scritto apparso su “La Difesa della Razza”, anno III, n.8, 20.2.1940 ed ora ripubblicato in diverse edizioni come Sentinella d’Italia o Edizioni di Ar.