di Emilio Giuliana
In un umido 2 giugno trentino, mi sono soffermato ad approfondire un articolo pubblicato su di un quotidiano locale, che argomentava in merito, alla necessità della memoria storica, non impedendo però, la libertà di pensiero. Il pezzo scritto da Manuela Pellanda, prende spunto da una conferenza tenuta presso la Facoltà di Giurisprudenza di Trento, alla quale hanno partecipato come relatori, Siobhan Nashmarhall, docente di filosofia al Manhattanville college, la scrittrice Antonia Arslan e il professor Andrea Pugiotto, docente di Diritto costituzionale presso l’Università di Ferrara.
L’articolo riporta delle affermazioni condivisibili, come ad esempio il pensiero del professor Pugiotto, quando asserisce che <<non è né col codice penale né con i “giorni della memoria” che si fa fronte alla pulsione a ripetere gli errori del passato o addirittura farne l’apologia. Per quanto non sovrapponibili, la negazione e la ritualizzazione retorica si rivelano due modi opposti di abusare della memoria>>. Posizione condivisa dalla scrittrice Arslan.
La scrittrice Arslan, prendendo spunto dal tema per la quale è stata invitata a partecipare, rilancia sulla spinosa questione del genocidio armeno. Genocidio scomodo, declassato, snobbato o se tirato in ballo trattato con superficiale indifferenza. La scrittrice argomenta sull’ignobile sterminio, con dovizia di particolari molto interessanti, come ad esempio quando mette in evidenza Henry Morgenthau senior (padre di Henry Mergenthau jr, già Segretario del Tesoro degli Stati Uniti durante la presidenza di Franklin D. Roosevelt, passato alla storia perché ideatore del famoso quanto inumano “piano Morgenthau”, con il quale inflisse ai tedeschi civili reduci dalla apocalittica seconda guerra mondiale, delle sanzioni mostruose, tant’è che indusse Il ministro della Guerra americano Stimson a dire: <<devo ancora incontrare un uomo che non sia stato terrificato dall’atteggiamento Cartaginese del Ministro del Tesoro. Si tratta di Semitismo divenuto selvaggio per vendetta e lascerà i semi di un’altra guerra nella prossima generazione) Ambasciatore americano di origine ebraica a costantinopoli, che come altri ebrei, cercò di proteggere gli Armeni dal massacro! Al particolare messo in risalto dalla Arslan, vanno aggiunte altre peculiarità poco note. Ad esempio, quando si parla di genocidio Armeno, si colpevolizzano i turchi (pensando agli islamici), ma questa equazione è scorretta, in quanto i fanatici fautori che capeggiarono ed alimentarono il massacro armeno erano turchi di dato ma non di fatto. Dell genocidio degli armeni non è colpevole – come ripete la disinformazione – l’impero Ottomano. Quando avvenne, tra il 1915 e il 1918, l’imperatore ottomano, il sultano Abdul Ahmid era stato esautorato, e si trovava agli arresti domiciliari a Salonicco, «nella residenza dei banchieri ebreo- italiani del Comitato Unione e Progresso», come scrisse Sir Gerard Lowther, l’ambasciatore britannico presso la Porta, nella sua relazione al Foreign Office del 29 maggio 1910. I banchieri ebreo-italiani erano i dirigenti della Banca Commerciale Italiana, probabilmente il capo della filiale di Venezia e Trieste, quel Toeplitz ebreo- polacco, e del suo maneggione in Turchia, il futuro «conte» Volpi di Misurata. Quanto al Comitato Unione e Progresso di cui parla Lowther, era la giunta militare che aveva preso il potere mettendo agli arresti il legittimo monarca. Si tratta dei Giovani Turchi, i quali turchi non sono, precisa l’ambasciatore: vengono tutti da Salonicco, «che conta una popolazione di 140 mila abitanti, di cui 80 mila sono ebrei spagnoli (espulsi dalla Spagna nel ‘500), e 20 mila della setta di Sabbatai Zevi o cripto-giudei, che professano esternamente l’Islam. Molti di questi ultimi hanno acquisito la nazionalità italiana e sono affiliati a logge massoniche italiane. (Ernesto) Nathan, il sindaco ebraico di Roma, è un alto grado della Massoneria, e i primi ministri ebrei (Sidney) Sonnino e (Luigi) Luzzatti, come altri senatori e deputati ebrei, sembra siano parimenti massoni». L’ambasciatore fa i nomi dei capi della giunta golpista: «(D)Javid Bey, deputato per Salonicco, un astutissimo cripo-giudeo e massone, ministro delle Finanze, mentre Talaat Bey, altro massone, è diventato ministro degli Interni (…). Il dottor Nazim, uno dei membri più influenti del Comitato di Salonicco e di cui si dice che sia di origine ebraica, in compagnia di un certo Faik Bey Toledo, cripto-giudeo di Salonicco», nonché il direttore di «l’Aurore, un giornale sionista aperto un anno fa a Costantinopoli, (che) non si stanca mai di ricordare ai suoi lettori che il dominio dell’Egitto, la terra dei Faraoni che obbligarono gli ebrei a costruire le piramidi, è parte della futura eredità di Israele». Di un altro giornale appositamente creato, «Le Jeune Turc», era fondatore e direttore Vladimir Yabotinski, il capo della destra sionista fanatica, accorso da Odessa per dare manforte ai Giovani Turchi. Scrive Lowther: «L’ispirazione del movimento di Salonicco sembra essere stato soprattutto ebraico (…). Carasso ha cominciato a giocare una parte importante (…) è notato che ebrei di ogni colore, locali e stranieri, sono sostenitori entusiasti del nuovo governo; fino al punto, come un turco mi ha detto, che ogni ebreo sembra diventato una spia potenziale dell’occulto Comitato (Unione e Progresso)». E’ questa la giunta che ha sterminato gli armeni, macchiandosi di atrocità e crudeltà mai viste prima nella storia. Ma perchè, domanda il disinformato, gli ebrei e i dunmeh turchi (i seguaci del falso messia Sabbatai Zevi) avrebbero voluto uccidere la minoranza armena nell’impero ottomano? La risposta è nella Enciclopédia Judaica edizione 1971, volume 3, colonne 472-476. Alla voce «Armennia», si legge: «L’Armenia è anche chiamata Amalek, e gli ebrei spesso si riferiscono agli armeni come ad Amaleciti».E la Universal Jewish Enciclopédia, New York, 1939, alla voce Armenia è ancora più precisa: «Siccome gli armeni sono considerati discendenti degli Amaleciti, essi sono anche chiamati, fra gli ebrei d’Oriente anche Timheh’ (che significa ‘sarai cancellato’, come in Deuteronomio 25:19, riferito agli Amaleciti». «Amalek», nella Torah (Genesi, 36,9-12) è il mitico popolo nemico di Israele, che per ordine di YHVH viene sterminato fino all’ultimo uomo. Una delle tante fantasia genocide degli estensori sacerdotali della Bibbia: in realtà, l’antico popolo di Giuda non ebbe mai la forza di compiere tanti stermini; si limitava ad immaginarli. Sotto la giunta dei cosiddetti Giovani Turchi, la loro fantasia potè diventare realtà. Prima gli uomini armeni tra i 16 e i 45 anni furono arruolati nell’esercito, assegnati a battaglioni logistici – disarmati – e massacrati. Poi ci si occupò di donne, vecchi e bambini. Uccisi per abbruciamento, per annegamento nel Mar Nero, per inoculazione di tifo o con iniezioni di morfina. Avviati nel deserto della Siria in «marce della morte», alla mercè di bande curde che violentavano le ragazze e i bambini, rapinavano, brutalizzavano gli altri. Quelle marce che finivano nel nulla riducevano i superstiti a scheletri ambulanti, che cadevano morti di fame e di percosse. Il New York Times scriveva il 18 agosto 1915: «Le strade e l’Eufrate sono piene di corpi di esiliati, e quelli che sopravvivono sono condannati a morte certa. C’è il piano di sterminare l’intero popolo armeno». Il dottor Tevfik Rushdu, medico dunmeh, organizzò l’eliminazione scientifica dei cadaveri, con tonnellate di calce viva. Mehmet Nazim e Behaeddin Chakir, due esponenti del Comitato, sicuramente dunmeh (si noti il nome «Beha»; quanto a Nazim, era cognato di Rushdu), allestiscono una «Organizzazione Speciale» per lo sterminio sistematico: migliaia di delinquenti comuni vengono arruolati in questo corpo speciale.
Il comitato centrale dei Giovani Turchi, che turchi non erano, emanò, nel settembre 1915, la legge sulle «proprietà abbandonate», che dichiarava la confisca delle case, terre, bestiame ed altri beni «abbandonati» dai deportati armenti: una legge del tutto simile è vigente in Israele, dove gli ebrei confiscano le case di palestinesi dichiarati «assenti», perchè espulsi. Fuggiaschi, prigionieri, esiliati senza possibilità di ritorno. Talaat Pascià, uno dei tre dunmeh della giunta «Comitato Progresso e Unione», diede di suo pugno i seguenti ordini:
«Tutti i diritti degli armeni di vivere a lavorare sul territorio turco sono abrogati. La responsabilità è assunta dal governo, il quale ordina che non siano risparmiati nemmeno gli infanti nella culla. Nonostante ciò, per ragioni a noi ignote, un trattamento speciale viene accordato a ‘certi individui’ che, invece di essere portati direttamente nelle zone di deportazione, vengono tenuti ad Aleppo, causando con ciò nuove difficoltà al governo. Non si ascoltino le loro spiegazioni o ragioni: siano espulsi, donne e bambini, anche quando non sono in grado di muoversi… Anziché i mezzi indiretti usati in altre zone (ossia la messa alla fame e l’espulsione dalle case, l’avvio verso campi di concentramento, eccetera) si possono usare metodi diretti, se con sicurezza. Informare i funzionari designati per la bisogna che possono adempiere al nostro vero scopo senza timore di essere chiamati a risponderne». E ancora, sempre Talaat: «E’ stato già riferito che in base agli ordini del Dkemet, il governo ha deciso di sterminare, fino all’ultimo uomo, tutti gli armeni in Turchia. Chi si oppone a questo ordine non può mantenere la sua carica nell’Impero». E ancora: «Stiamo stati informati che a Sivas, Mamouret-al-Aziz, Darbeikir ed Erzurum, alcune famiglie musulmane hanno adottato, o tenuto come servi, dei bambini di armeni… Ordiniamo con la presente di raccogliere tutti questi bambini nella vostra provincia e di spedirli nei campi di deportazione». Ed ancora un altro ordine:«Abbiamo udito che certi orfanatrofi da poco aperti ammettono bambini armeni. Ciò vien fatto perchè le nostre volontà non sono a loro conoscenza. Il governo ritiene il nutrire questi bambini e prolungare la loro esistenza un’azione contraria alla sua volontà, in quanto ritiene la vita di questi bambini dannosa», (dalle «Memoirs of Naim Bey, Londra 1920). La giunta del Comitato Unione e Progresso commise un errore: entrò nella Grande Guerra a fianco degli imperi centrali. Sconfitti insieme ai tedeschi e agli austriaci, fu restaurato al potere il sultano, Mehmet VI, che nel 1919 fece aprire un processo contro i membri della giunta; ormai erano tutti fuggiti all’estero, per lo più in Germania. La sentenza condannò a morte, in latitanza, Talat, Enver Pascia, il dottor Nazim, Cemal.