Per una riabilitazione del termine
Convenzionalmente, etichettare qualcuno come “eretico” non è certamente fargli il migliore dei complimenti: nell‟accezione gergale, o meglio comune, il termine assume un significato del tutto poco felice, certamente poco elogiativo. Questo lo dobbiamo – innegabilmente, a secoli (pensiamo al „3-„400, „500 ed al „600[1 ) dove, l‟eresia, veniva religiosamente combattuta in modo violento, senza scrupoli; era eretico colui il quale non aveva alcuna rettitudine ed alcun valore religioso-morale, e pertanto doveva essere combattuto. Anzi: soppresso. Non tutti – “tutti” eufemisticamente, dovremmo dire “pochi”, sono consapevoli di come, etimologicamente soprattutto, il termine “eresia” – da cui “eretico”, non porti con sé alcun tipo di spregevole accezione ed indichi solamente – in modo del tutto non stigmatico – una scelta alternativa.
Basta consultare qualsiasi vocabolario al lemma “eresia” per accorgersi di come, etimologicamente, il termine denoti colui il quale, molto semplicemente, sceglie[2]. Eretico, quindi, è colui che sceglie, e solitamente sceglie alternativamente, senza che questo significhi scegliere qualcosa di sbagliato, o profano, tutt‟altro: il significato originale pare essere completamente laico ed epurato da qualsiasi sovrastruttura cristianizzante. In un‟epoca laicissima come la nostra, credo fortissimamente che un termine come questo, il quale ancora sembra possedere un‟aura antiquata, colmo di ragnatele semantiche e pestifero per quanto aberrante, debba essere riabilitato e riposizionato: non perché – certamente, vogliamo battagliare contro le cristianizzazioni lessicali, quanto, piuttosto, perché il termine, in-sé-e-per-sé, non ha alcun tipo di accezione negativa e, soprattutto, ad oggi siamo circondati da eretici nel senso estensivo del termine; l‟alternativa che prima veniva ostracizzata e giudicata, oggi è la norma.
Pensandoci, se un tempo l‟omologazione era vista in senso tecnicamente ortodosso, ad oggi è vista esattamente all‟inverso: quanto prima era – appunto, ortodosso, ad oggi è aborrito, e si tende ad un‟eterodossia d‟opinione e di pensiero, ad una divergenza intellettuale, che non si ritiene che foriera di acume, intelligenza e unicità. Se prima, ancora, era colui il quale meglio aderiva ad una canonizzazione stereotipica ad essere encomiato e socialmente ricompensato, ad oggi vige una idolatria dell‟eterodossia che vede in colui che alternativamente sceglie ed opina il canone da seguire. Di fatti, sociologicamente, autori come Zygmunt Bauman, hanno ben teorizzato le aberranti problematiche celate con magistrale circospezione dietro una omogeneizzazione feroce: un discioglimento dell‟io che porta ad una liquefazione del pensiero ed alla disgregazione della personalità.[3]
Con placida sicurezza, suppongo che a Bauman sarebbe piaciuto l‟eretico: colui il quale si pone nella condizione di scelta alternativa, che non replica canoni sociali – e di consumo, seguendoli pedissequamente, colui che decide di intraprendere quanto gli sembra più disinteressatamente giusto rispetto a quanto più apparentemente conveniente. Non voglio, al contempo, esaurire – o ridurre, il discorso entro la perimetrazione sociologica, dove l‟eretico sarebbe contestualmente colui il quale sfonda la stereotipizzazione dilagante, anzi, credo che il discorso sia estendibile ad un campo più generale che riguarda l‟individuo in-sé-e-per-sé.
Kierkegaard, filosofo danese attivo nella prima metà dell‟800, basa interamente la sua riflessione sulla dinamica della scelta: la scelta consapevole porta con sé l‟io nella misura in cui ci si pone seriamente nella condizione di scegliere quanto si ritiene più opportuno; viceversa, colui il quale sceglie esteticamente[4] – al contrario dell‟etico di cui sopra, non fa che farsi scegliere dal desiderio e dal piacere, e quindi, kierkegaardianamente, non sceglie neanche:
“La tua scelta è una scelta estetica; ma una scelta estetica non è una scelta . Scegliere è soprattutto una espressione rigorosa ed effettiva dell‟etica” (S. Kierkegaard, Aut-Aut/Enten-Eller, Mondadori, Milano, 2016, p.14).
Il sistema kierkegaardiano è interamente basato sull‟eresia – nell‟accezione da noi datagli: tutto è strutturato a misura dello scegliere, e la scelta stessa non solo (come fosse poco) ci porta l‟io, eticamente, ma anche – seppure kierkegaardianamente aborrito per motivazioni ai fini della trattazione in oggetto non importanti, il piacere stesso. Ciò solleva un evidente problema: se scegliere ereticamente significa soprattutto scegliere alternativamente, bisogna anche concepire l‟alternativa sulla base di un dato sistema che la ponga. Se sono un esteta considerò alternativo l‟etico, se sono etico considero alternativamente l‟esteta.
In altre parole: trovandomi entro il campo dell‟eretico, considererò certamente alternativo colui il quale sceglie diversamente da me, e quindi, necessariamente, colui che rispetta canoni preconfezionati; viceversa, seguendo la sterotipizzazione sociale, penserò alternativo colui il quale sceglie “ereticamente”. Il problema è quindi il seguente: appurata l‟importanza dell‟eresia in quanto pulita da quelle scorie cristianizzanti che avevano imbevuto il termine di negativo sentore, è necessario comunque accorgersi di quanto, in ogni caso, affinché un eretico possa esserci, è necessario lo schema sociale che tanto vorrebbe superare. Se tutti superassero l‟omologazione, diventerebbe omologante l‟eresia stessa, pertanto si sarebbe al punto di partenza.
Concludendo, la necessità eretica è chiara nella misura in cui vi sia uno schema che necessita di essere superato, eppure il superamento dello schema stesso riporta ad un nuovo paradigma che verrà rappresentato da quello nuovo ereticamente impostosi: il superamento eretico è un superamento quindi più utopistico che concreto, nella misura in cui si auspica l‟abbandono di uno schema dilagante per poi affermarne un altro che semplicemente sostituirà il precedente ma che comunque sarà stereotipizzante. E quindi, l‟eretico ha senso d‟essere non tanto nella sua iconoclastica – ed ora evidentemente impossibile, abolizione dello schema, ma nel simbolico avvertimento di una alternativa, spesso migliore[5] , allo schema preconfigurato.
NOTE
[1] Anni dove l‟Inquisizione cominciò a tiranneggiare ed a “giustiziare” violentemente – mi chiedo quale “giustizia” potesse quindi esserci, coloro i quali venivano reputati eretici. E‟ necessario far notare come, soprattutto, nel 1545, col Concilio di Trento – seppure nella terza ed ultima fase di poco successiva, a causa – o grazie direbbe qualcuno, di Paolo IV, venne istituito l‟Indice dei Libri Proibiti, dove confluivano tutti quei testi ritenuti ecclesiasticamente eretici e quindi doverosi di censura. Pensiamo solamente a come la Chiesa abbia infastidito il processo di Rivoluzione Scientifica sottoponendo a processo, prima nel 1611 poi nel 1633, Galilei; o ancora, la messa a rogo di Giordano Bruno nel Febbraio del 1600.
[2] Dal Treccani, “eresia”: gr. αἵρεσις, propr. «scelta», der. di αἱρέω «scegliere».
[3] Sul tema, si consiglia caldamente la lettura di lavori baumaniani quali “Modernità Liquida”, “Vita Liquida” & “Paura Liquida”.
[4] Tecnicamente, colui il quale sceglie dimodoché i suoi sensi ne siano appagati (αἴσθησις, che significa “sensazione”, dal verbo αἰσθάνομαι, che significa “percepire attraverso la mediazione del senso”): affinché lo siano, appagati, è chiaro che debbano essere colpiti da qualcosa di piacevole, e quindi è necessario che il desideratum, l‟oggetto del proprio appetito, sia perseguito e finalmente riscosso.
[5] Storicamente, bisogna sempre tenere a mente come le grandi rivoluzioni di pensiero, culturali e scientifiche, siano sempre state iniziate da coloro i quali alternativamente si sono posti nei confronti di uno schema social-culturale, tanto dilagante quanto dilaniante, per il pensiero stesso. Alcuni nomi: Giordano Bruno, Galileo Galilei, Copernico, Kant et cetera. Ancora, ritengo che sia emblematico, soprattutto per coloro che volessero approfondire la questione da un punto di vista prettamente epistemologico, il saggio “La Struttura delle Rivoluzioni Scientifiche” del 1962 di T. Kuhn, dove viene fatto notare come la rivoluzione scientifica sia dia grazie ad una nuova rosa di paradigmi sostituenti gli obsolescenti vecchi e – soprattutto, alla percezione di un‟anomalia in questi specialmente notata da coloro che pensano alternativamente, ereticamente; kuhnianamente, i giovani(vedi p. 117, Einaudi, Torino, 1995).
Simone Santamato
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