8 Ottobre 2024
Autocoscienza Filosofia

Sul servo

 

Il servo è un uomo che è al servizio di un padrone. “Ciò che fa un servo è propriamente il fare del padrone”(1) scriveva Hegel nella sua straordinaria figura del servo e del signore. L’operare del servo infatti, non è un operare puro, bensì un operare inessenziale, in quanto il suo essere servo, è l‘esistere di un ente in sé, ma che non è per sé. Solo il signore è l’essere-per-sé poiché il signore sa fare, cioè sa progettare, guidare e dirigere. Egli solo ha l’essenza propria del suo esistere. Nel suo capolavoro, “La fenomenologia dello spirito”, Hegel colloca questa figura, intesa come una entità metaforica storico-ideale, all’inizio della storia umana. L’esserci umano, uscito dalla dimensione zoologica della pura coscienza, cioè di un pensiero che non sapeva di pensare, si ritrova ad essere gettato nel mondo degli altri e delle cose. Per dirla con Heidegger, si ritrova ad essere abbandonato nel mondo delle cose (in der-welt-sein) e nel mondo degli altri (mit-sein). Ed è proprio nella sfida con l’ambiente e con lo scontro con gli altri, che l’esserci umano diventa Autocoscienza, ossia sa di pensare. Il principio supremo della ragione, che costituisce l’Autocoscienza, è infatti il principio di identità, col quale lo stesso sa di essere lo stesso medesimo con sé stesso. Tale principio è supremo, come aveva capito per primo Fichte, in quanto la sua supremazia logica è data dalla sua indipendenza rispetto ad alcunché di empirico o di condizionato dai sensi. L’Autocoscienza implica però il sentirsi solo in mezzo al mondo e agli altri e ciò determina necessariamente l’ineguaglianza fra Autocoscienze. Perciò essere riconosciuti ed essere accettati conduce al conflitto e allo scontro in cui, dice Hegel, ogni Autocoscienza, pur di affermare la propria indipendenza, deve essere pronta a rischiare anche la vita; ed è attraverso la conflittualità che si stabilisce originariamente l’ordine dei ranghi. Si ha quindi la nascita dello stato, che comporta una struttura sociale gerarchica. Con tale nascita vi è simultaneamente “l’ingresso di dio nel mondo”, ossia l’ingresso della ragione nel mondo, poiché con lo stato nasce l’organizzazione, il progetto, la finalità delle opere, la cultura e la religione: avviene, in altre parole la “caduta” nel tempo. Non è quindi con l’amore, che unisce “a buon mercato”, che si ha la formazione della società organizzata, ma con “la serietà, il dolore, la pazienza e il travaglio del negativo”. In poche pagine Hegel configura l’unica dottrina del diritto convincente e definitiva. Solo con lo stato vi è l’affermazione di ogni diritto positivo, in quanto in natura può esistere solo la potenzialità del diritto, non la sua conclamazione effettiva. L’ordine dei ranghi originario non proviene né da un consenso, né da un contratto. L’Autocoscienza che si afferma ottiene il suo dominio perché ha superato la paura della morte, perché si è esposta e perché ha saputo operare essenzialmente, risolvendo in prospettiva i progetti. Il vinto, che diverrà servo, ha tremato nel profondo di sé: egli “… non è stato in ansia per questa o quella cosa e neppure per questo o quello istante, bensì per l’intiera sua essenza; essa ha infatti sentito paura della morte, signora assoluta”(2).

Epperò tale figura non è considerata da Hegel come una tappa ideale statica e permanente, bensì come una figura dialettica dinamica all’interno della quale i contrari sono contrastanti, ma anche, e qui si nota l’integrale eraclitismo hegeliano, complementari e combacianti, poiché non può esistere un signore senza servo e un servo senza signore. Vi deve essere perciò una potenziale e continua reversibilità, giacchè il servo può storicamente emanciparsi e diventare signore e il signore diventare servo. Per questo la figura non può essere datata in riferimento ad un particolare momento della storia umana, ma è una figura che attraversa tutta la storia, essendo essenzialmente metastorica. L’eventuale emancipazione del servo comincia proprio dall’accettazione della propria servitù. La paura nei confronti del signore è “l’inizio della sapienza”. Ciò significa che il servo deve accettare di essere servo in quanto tale. Infatti un servo, che è di fatto servo, ma che non accetta tale condizione, non potrà mai superare se stesso in quanto servo, poichè egli non comprenderà il suo vero essere finchè non si concentrerà sulla causa della sua servitù. Il servo perpetuo è colui che non sa di esserlo, ma lo è. Infatti costui non ha l’ambizione, lo stimolo e il fine di modificare il suo status. L’accettazione del servizio è quindi fondamentale per il servo per poter diventare essere per sé, cioè indipendente dal signore. Non c’è nulla di peggio di osservare un servo che si dà delle arie di essere un libero. Questi è infatti la persona più infida e meschina. Ma se un servo si rende conto di essere tale e quindi accoglie dentro di sé il senso profondo del servizio, ebbene egli può superare se stesso, e in quanto tale va rispettato. Mediante il lavoro, dice Hegel, il servo può diventare essere per sé, perchè “… il lavoro è un appetito tenuto a freno, un dileguare trattenuto; ovvero: il lavoro forma…” (3). Il formare le cose, il saper trasformarle e plasmarle dà al servo la forza di superare la paura verso la morte e verso il signore dinnanzi ai quali la sua coscienza servile ha tremato. Dice ancora Hegel in modo illuminante: “… senza la disciplina del servizio e dell’obbedienza la paura resta al lato formale e non si riversa sulla consaputa effettualità dell’esistenza. Senza il formare la paura resta interiore e muta, e la coscienza non diviene mai coscienza per lei stessa…”(4).

Il servo, dunque, così concepito da Hegel, ha in sé una essenza dialettica un quanto egli, come negativo, può superare se stesso e la propria negatività diventando signore. Non si tratta allora di una dottrina della rivoluzione di una classe sociale o politica, bensì di un teoria delle èlite che si succedono nel corso della storia. Come si sa Pareto descriverà il percorso storico come “un cimitero delle èlite”. Gramsci con un linguaggio più chiaro dirà, nell’illustrare il concetto di egemonia, che una classe sociale per emanciparsi deve prima diventare classe dirigente per proporsi come classe dominante. Una classe in sé che appunto deve diventare classe per sé.

Ma al di là di queste citazioni che potrebbero essere di numero indefinito, vista l‘enorme massa di libri sull’argomento, quello che oggi appare davvero inquietante, se non sorprendente, è il fatto che la figura del servo ha perso in sé la capacità dinamica di superare se stesso come servo. Il servo ha cessato di essere figura dialettica. Scriveva profeticamente Nietzsche nello “Zarathustra”: “Nessun pastore e un solo gregge. Ognuno vuole la stessa cosa, ognuno è uguale: chi si sente in modo diverso, entra spontaneamente in manicomio”.(5) Nessuna gerarchia, nessun capo viene considerato come tale. E’ l’illusione creata dalla democrazia, dal suffragio universale. Uno uguale uno, diceva pietosamente Beppe Grillo. E’ un mondo, il nostro, in cui il servo si bea di essere servo, in quanto s’è illuso di non esserlo. Ma pure il signore ha cessato di essere tale, sebbene goda del potere del suo denaro. Egli non controlla più nulla e il suo degrado è sicuramente superiore a quello del servo. Ultimi uomini: Kali yuga. L’Essere e il suo lògos originario sembrano scomparsi nella nebbia del caos. Resta il sottosuolo.

Note:

  1. G.W.F. HEGEL, La fenomenologia dello spirito, ed. La Nuova Italia, Firenze, p.160
  2. IDEM, p.161.
  3. IDEM, p.162.
  4. IDEM, p.163.
  5. F.NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra, ed. Newton Compton, Roma, p. 34.

 

TOVO Flores

f.tovo@libero.it

 

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