8 Ottobre 2024
Dignità Filosofia Grillo Kant Nietzsche

Sulla dignità


di Flores Tovo
Kant riteneva che il fondamento dell’agire  fosse la ragione stessa del soggetto umano universale. Infatti l’imperativo categorico (il comando universale, la legge morale per eccellenza) era da lui considerato come “ein Fact der Vernunft”, un fatto della ragione umana, poiché, se il fondamento fosse stato altro, l’agire umano sarebbe stato condizionato (meglio sarebbe stato dire determinato) e quindi non libero, in quanto dipendente e quindi non autonomo. Persino Dio non poteva essere il nostro fondamento proprio perché saremmo stati da lui dipendenti. Pertanto, scriveva  Kant, Dio non sta all’inizio e alla base della vita morale, ma eventualmente alla fine. Si giunge qui al compimento dell’antropocentrismo. A tale conclusione Kant era pervenuto, a dire il vero, per salvare la possibilità di un libero arbitrio umano, all’interno di una natura che egli considerava, come Newton e gli altri scienziati, nient’altro che una macchina. Per questo motivo, e solo per questo motivo, l’uomo possiede una dignità, che è dovuta proprio al fatto di essere un ente razionale che è “superiore ad ogni prezzo”.

Può sembrare strano, ma questo è ancora il pensiero dominante nel mondo attuale, soprattutto da quando col Concilio Vaticano II, preparato culturalmente dal teologo Karl Rahner,  la Chiesa cattolica rivolse la propria mente verso la direzione antropocentrica della cultura moderna, che aveva appunto trovato nell’illuminista Kant il suo massimo esponente e che il comunista Marx aveva poi ancor più accentuato nell’affermazione  che “la radice dell’uomo è l’uomo stesso”. Nietzsche ebbe perlomeno l’ardire che il fondamento dell’agire, al di là del bene e del male, sarebbe stato il superuomo.
Ora si tratta di guardarsi negli occhi. Di che cosa si sta parlando? Di quale dignità, di quale volontà buona, di quale razionalità si sta continuamente cianciando? Anche coloro che si rendono conto del Pericoloparlano sempre di ecologia, di sviluppo sostenibile, di ritorno al mutuo soccorso, di decrescita felice, di permacoltura e di piantare pomodori o allevare galline nel terrazzo e di tante altre più o meno intelligenti proposte per venir fuori da questo ormai interminabile tunnel in cui ci si è cacciati. Questo tunnel è in realtà un abisso. Nietzsche ammoniva che chi guarda sempre l’abisso, prima o dopo sarà l’abisso a guardare lui. Ma anche questo avvertimento è superato. Nell’abisso ci siamo caduti tutti. Anzi sarà esso stesso ad avere paura di noi.  Come potrà egli, infatti, sostenere il peso di 8 miliardi di individui? Come scriveva un buontempone, che si riferiva però solo ai Cinesi, se tutti saltassero da 2 metri di altezza in sincronia, essi provocherebbero uno tsunami che distruggerebbe  gli Stati Uniti.
La ragione umana. Essa è sì uno strumento meraviglioso con tutti i suoi principi logici, un dono divino forse. Ma che co
sa se n’è fatto di essa? E quanti oggi la usano per il bene comune, semmai esista ancora un bene comune? Nel suo libro “La società sotto assedio” il sociologo Zygmund Baumann sottolineava che le presunte classi dirigenti ormai non controllano più niente: né l’incremento demografico, né il tasso inquinamento, né la deforestazione e lo sterminio degli animali, né il denaro. Niente di niente. Di solito nelle epoche storiche “normali” i mediocri hanno governato, si pensi agli Asburgo, col loro buon senso che era appunto aurea mediocritas. Solo nelle situazioni eccezionali sono emersi i giganti come gli Alessandro, Cesare o Napoleone. Nel mondo attuale dominano invece i pessimi, i maggiordomi, poiché nel mondo della quantità, nel regno del mercato dominano i grandi commedianti,  grandi nel recitare la favola bella. “Spirito ha il commediante, ma poca coscienza dello spirito. Sempre crede in ciò con cui riesce a far credere gli altri più fortemente, – far credere in  lui stesso” (Nietzsche, Così parlò Zarathustra). Il razionalismo moderno, che ha avuto origini con Cartesio e che continua con le pseudo-filosofie di oggi (epistemologie, le chiamano), in realtà ha asservito la ragione al potere economico. La volontà di potenza del denaro è riuscita a sottomettere quella facoltà che, a partire da Aristotele, si è sempre ritenuto  costituisse la differenza specifica rispetto agli animali. Il capitalismo, l’economia del più-denaro, dapprima si è alleato col sapere scientifico per poi soggiogarlo ai propri scopi. Tutti hanno un prezzo e quindi non c’è più dignità.
Per quanto ci siano molte persone che studiano e si sforzano di progettare alternative più o meno radicali rispetto  all’attuale sistema, non c’è più avvenire. Del resto, la distruzione delle certezze sociali lavoro-salute-pensione, la precarietà imposta senza colpo ferire, hanno serrato le dimensioni della temporalità ad un unico presente sempre identico a sé, che è poi la temporalità vissuta dagli animali, come ha rivelato con grande profondità un giovane prodigio  della filosofia italiana, Diego Fusaro, nel suo libro “Essere senza tempo” edito da Bompiani.
Quali dovrebbero essere, infine, le vie d’uscita? Quelle di un socialismo rivoluzionario ancor più spietato di quello del passato? Quelle di un nazifascismo rimodernato, magari più antiborghese (ma dov’è la borghesia oggi?) ed anticapitalistico? Emile Cioran profetizzava che nel ventunesimo secolo Hitler e Stalin sarebbero sembrati due chierichetti. Comunque nulla di nuovo.
O forse bisogna sperare nel ritorno al pensiero di un  Rousseau padre  della democrazia diretta che oggi viene prefigurata dal MoVimento5stelle, una democrazia che si dovrebbe attuare (Casaleggio dixit) con l’uso di internet? Ma Rousseau è in realtà  una contraddizione vivente, poiché se da un lato propugna l’uguaglianza fra tutti gli uomini (uno vale uno dice Grillo), dall’altro afferma che la moltitudine popolare non sempre capisce o vede il proprio bene, in quanto il suo giudizio non sempre è illuminato e pertanto si rende necessaria, non tanto la figura di una èlite, bensì di una figura carismatica e demiurgica che egli chiama il Legislatore (Grillo stesso o chi per lui?).
A questo punto, per chi crede nella ciclicità delle ere, è lecito ritenere che non conviene più cercare di ritardare la fine del Kali-yuga, semmai di accelerarlo. Forse sarà preferibile vivere come l’anarca che si ritira nel boschetto e vive nascosto fra amici, amori, libri e vino. Oppure per chi non crede neppure in questo, poiché è approdato ad un nichilismo assoluto in cui anche il superuomo è morto,  fare come l’anziano professore Calguès nel libro “Il campo dei Santi” di Jean Respail: morire combattendo quando sarà giunta l’ora.

2 Comments

  • nota1488 22 Maggio 2013

    Ritrovare un’identitá di razza e perpetuarla, quella é l’unica soluzione. Solo in questo modo gli Arya siederanno ancora sul picco dell’avvoltoio per ritornare al momento opportuno.

    I sistemi politici, economici e religiosi possono essere distrutti e ricreati dagli uomini, ma la morte di una razza è eterna.

  • Anonymous 23 Maggio 2013

    I copioni delle vicende del passato, le ansie ed i tormenti dei pensatori antichi, non servono più; l’istinto malefico e naturale del possedere domina incontrastato e non lascia intuizioni, per il futuro, di nessuna sorte.!Nel teatro di tale esistenza vi è solo la figliastra più degenera, incontrastata nemica ed in antitesi con: LA DIGNITA’. GIUSEPPE

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