« La vita voleva vivere
l’amore voleva amare.
Ma il Tempo
camminò scalzo sulle pietre aguzze.
Scalzo, sanguinante, lacerato dal dolore.
Quanti figli scaraventati nelle foibe!
[…]
La Storia si vestì a lutto.
Fu un pianto disperato
e tra i singhiozzi così parlò: […] »
– G. Mira.
Estate: tempo di vacanze, sole e mare. In queste torride giornate siciliane, i più si ingegnano come possono, per sopravvivere all’insopportabile calura: bagni al mare, passeggiate in montagna, soste ai giardini pubblici, scorpacciate di gelati e angurie, alla peggio barricati in casa col condizionatore a palla… Qualcuno – tanti, per la verità – ripensa con nostalgia al paese natio, alla terra d’origine, ai luoghi della propria infanzia: le magnifiche coste della Venezia Giulia, l’Istria, la Dalmazia, Fiume. Lidi mozzafiato, acque cristalline, città cariche di storia e arte, porti vivaci; mete ambitissime dai turisti di tutto il mondo, gioielli d’Italia. Anche se, oggi, a guardare una qualsiasi cartina geografica, ci sentiamo ammoniti, un po’ sadicamente, che l’Italia, di quei gioielli è stata depredata.
Una storia di predazione travagliata, complessa, delicata, dolorosa, violenta, mortifera. È nota ormai a tutti questa lunga, sanguinosa pagina di storia italiana, seppure in troppi coninuino a chiudere gli occhi davanti all’evidenza. Tra i molti che hanno il merito di aver aperto uno squarcio nel muro di omertà innalzato nel ’45 e ad oggi non ancora del tutto demolito, c’è lei, una piccola grande donna “istro
Ho incontrato Maria un paio di volte, sempre in inverno, in concomitanza della ricorrenza del 10 Febbraio, la Giornata del Ricordo, di recente istituzione, ed è merito proprio del lavoro incessante di tutti gli esuli e delle loro associazioni se oggi abbiamo un momento solenne, simbolico, dedicato al ricordo di questa tragedia patria. Tuttavia la strada da percorrere è ancora lunga, la ricerca e la riflessione non possono esaurirsi in fiaccolate e celebrazioni – certamente dovute – incastrate nello spazio di un giorno o una settimana. Parlare delle foibe e dell’esodo è come abbattere il nostro “muro di Berlino”, è come riunificare idealmente i lembi estremi del Paese, è dare voce a chi è stato ingiustamente ammutolito, ricomporre una frattura, restituire giustizia alle innumerevoli vittime e concedere un po’ di pace ai nostri morti. E il processo di abbattimento (e ricostruzione della verità) dev’essere vigile e continuo, in ogni periodo dell’anno, con ogni mezzo.
Maria Cacciola, tra le altre cose, ha curato un bellissimo volume che raccoglie, oltre alla propria testimonianza, quelle di altri profughi istriani, dalamti e fiumani di Sicilia: Sulle ali della Memoria, uscito nel febbraio 2018 dai torchi di Giambra Editori, una giovane casa editrice di Terme Vigliatore, nel messinese, che vanta un catalogo piuttosto originale, con particolare attenzione alla valorizzazione e al recupero della storia e delle tradizioni siciliane. Il risultato di questo connubio è una vera perla: un volume curato nei minimi dettagli, di ottima fattura, ricco nelle appendici e nell’apparato figurativo – specie le foto d’epoca, bellissime, fornite dagli stessi autori -, il tutto a un prezzo stracciato. Da comprare e leggere tutto d’un fiato. Visti l’andamento più narrativo che saggistico e l’inserto storico essenziale ma completo, il testo risulta adattissimo anche ai ragazzi delle scuole medie inferiori e superiori – confido che gli insegnanti onesti, preparati e coraggiosi non si siano estinti come i dinosauri. Da leggere, perchè no, anche sotto l’ombrellone in una calda giornata agostana…
Tredici esuli, dunque, Maria Cacciola in testa, raccontano l’esperienza totale e totalizzante dell’esodo: la guerra, la fuga, la morte, la sparizione dei propri cari; poi la rinascita nei lontani lidi siciliani, i sacrifici, il dolore del distacco e la fatica dell’integrazione, le umiliazioni, la sensazione di abbandono e l’oblio delle istituzioni; infine il ritorno tanto agognato, sempre e solo sfiorato, la ricerca della verità, il confronto con la cruda, terribile, indicibile realtà degli infoibamenti. Ogni esule interpellato racconta qualcosa di diverso, ciascuno in modo diverso, tuttavia ogni testimonianza è legata alle altre da un filo conduttore: il dolore del distacco e le sofferenze patite, il ricordo che riaffiora pian piano, il parziale sollievo per l’istituzione della giornata simbolica, l’impegno per la diffusione della verità. Ognuno racconta una storia rocambolesca, ciscuno di loro ricorda la fuga, improntata di fretta e furia, su mezzi di fortuna, un disagio durato anni, qualcosa che oggi sembra perfino difficile da credere. Le grandi protagoniste di questa storia – che, lo ribadiamo, è la storia di tutto l’esodo, in definitiva storia d’Italia – le vere eroine, sono le donne. Mogli e madri che hanno perso, quasi sempre in circostanze misteriose, i loro uomini. Padri, mariti, fratelli. Caricate dell’atroce responsabilità di portare in salvo se stesse e i propri figli. Maria non sa ancora dove si trovano le spoglie del padre, le notti di Rosalia sono tormentate dagli incubi; Anna Maria è costretta a mentire sulla morte del padre; mamma Hödl piange ogni volta che vede una stella rossa… E così via tutte quante.
Ricorrono questi traumi in tutte le testimonianze, assieme al dolore e alla sofferenza; ma anche l’attaccamento alle proprie radici e la consapevolezza della propria identità. Unica cosa che non ricorre, è la rabbia. Dalla premessa alla chiosa, l’intento è ben chiarito e il profilo tenuto non sbava mai sopra le righe: «[…] lo sradicamento dalla propria terra, la perdita della propria identità e il dramma subìto con la morte di congiunti atrocemente trucidati dagli occupatori slavi per la sola colpa di essere “Italiani” […] Il filo conduttore di queste storie […] vuole offrire l’occasione per attualizzare e ottimizzare il ricordo, perché possa aiutare a costruire un avvenire migliore». E ancora, a scanso di equivoci e per scongiurare definitivamente moderni e grotteschi paragoni con un tipo di “accoglienza” stracciona, patetica e mendace, sbandierata come unico argomento ideologico-politico da chi ha rifiutato volontariamente qualsiasi sentimento nazionale, identità e amor di sé (prima ancora che degli altri): «Non badate se c’è gente che ignora la storia dell’ISTRIA e svisa la vostra fisionomia morale; se la stampa non sa occuparsi delle vostre lacrime, né interessarsi alla vostra futura sistemazione. LASCIATE FARE AL TEMPO, che è stato sempre maestro impareggiabile e medico esperto. Un po’ alla volta si accorgeranno che voi avete battuto alla loro porta non nella veste di mendicanti, ma con la dignità di chi vuole essere inserito nella vita della nazione ed è deciso a guadagnarsi il pane quotidiano con il sudore della propria fronte». Certo, se non proprio rabbia, almeno un empito di orgoglio e un barlume di speranza saltano fuori leggendo queste pagine. Lo si coglie soprattutto tra i fiumani – impossibile, tra l’altro, non pensare con un po’ di nostalgia alla gloriosa impresa dannunziana, della quale proprio in questo periodo riccorre il centenario -. Dice papà Berdar: «Secondo la modesta opinione del sottoscritto, mai si dovrebbe uccidere la speranza nell’animo di un uomo. Questa speranza è per me un sogno: veder tornare Fiume italiana».
Circola in questi giorni una foto di Matteo Renzi, con famigliuola al seguito, presso la foiba di Basovizza, sul Carso triestino, visitata dopo gli ammolli e i cocktail alla lussuosa area turistica di Portopiccolo… che dire? Speriamo che il pellegrinaggio lo abbia davvero illuminato, e che le sue immediate dichiarazioni sui social – «un Paese che non fa i conti con il proprio passato, non ha futuro. La tragedia delle foibe è stata per troppo tempo ignorata. Gusto che le nuove generazioni sappiano, conoscano, ricordino» – non siano quello che sembrano, cioè un patetico tentativo di sciacallaggio, (male)odorante di campagna elettorale. Gioverà qui ricordare, en passant, che la signora Agnese Landini in Renzi è un’insegnante di lettere: potrebbe cominciare lei ad aiutare le nuove generazioni a “sapere, conoscere, ricordare”.
Alessandra Iacono
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