Di Fabio Calabrese
Io credo di potervi mettere a parte di un progetto che sto coltivando da diverso tempo: come certamente avete potuto vedere, in una parte non piccola degli articoli che ho finora pubblicato su “Ereticamente” è dedicata alla tematica delle origini, le origini della civiltà europea, dei popoli indoeuropei, della stessa specie umana.
Come ho più volte insistito a dire, il tema delle origini è tutt’altro che avulso dalla dimensione politica: sapere da dove veniamo ci permette di capire chi siamo, e questa a sua volta è la premessa dell’agire corretto. In particolare, io vi ho già ripetutamente sottolineato l’originalità, l’antichità, la grandezza della civiltà europea, perché dobbiamo essere consapevoli che quello che sta avvenendo oggi nel nostro continente, con la scomparsa programmata dell’uomo europeo attraverso il declino demografico, l’immigrazione, il meticciato, significa la distruzione di un’eredità preziosa per l’intera umanità.
Sempre nell’ottica di una battaglia culturale che è la premessa di un preciso agire politico, ho pensato di raccogliere i miei scritti sul tema delle origini in un testo sistematico da proporre a un editore. E’ un progetto su cui ho lavorato e sto lavorando, ma è chiaro, viste anche le incertezze del mondo editoriale e tanto più di quella realtà marginale che è l’editoria politicamente “nostra”, c’è tutt’altro che la garanzia che le cose vadano in porto. In ogni caso, vi terrò informati.
Procedendo in questo lavoro, mi sono accorto che, avendo come punto di partenza gli articoli pubblicati su “Ereticamente”, il lavoro da fare era comunque notevole, c’erano molti richiami da un articolo all’altro che in una trattazione sistematica diventavano inutili ripetizioni e andavano sfrondati, ma anche “buchi”, punti che non avevo sviluppato adeguatamente; insomma, la prospettiva con cui deve essere considerato uno stesso materiale cambia quando si passa da una serie di articoli alla dimensione libro.
Nell’attesa di sapere se il mio testo giungerà o meno alla pubblicazione, riprendiamo sulle pagine di “Ereticamente” il discorso su qualcuno dei “buchi” che mi si sono evidenziati nel corso di questo lavoro.
Come avete già potuto vedere, uno dei punti centrali delle tesi da me sostenute, è che la storia “ufficiale”, quella che ci è raccontata dai testi storici – dalle elementari all’università – e dalla maggior parte dei media, sottostima decisamente la storia dell’Europa antica nei confronti di quel Medio Oriente da cui ci sono venuti la religione cristiana e la bibbia, e ciò non è avulso da un calcolo politico, poiché oggi che l’Europa si trova in una posizione di sudditanza rispetto al dominatore straniero statunitense, non si vuole certo incoraggiare nei nostri popoli tutto ciò, come l’orgoglio delle proprie origini, che potrebbe favorire in essi l’emergere di un sentimento di riscatto.
Riprendendo in mano l’argomento per portarlo alla dimensione libraria, ho avuto modo di constatare che questa sottovalutazione dell’antica storia del nostro continente agisce in due direzioni; una è la dimensione “verticale” che riguarda il nostro passato più remoto, l’orizzonte anteriore alla storia scritta, dove si ignorano a bella posta le testimonianze che ci vengono dalle grandi culture megalitiche dell’Europa preistorica, la cultura del Wessex, che ha prodotto i monumenti di Stonehenge e di Avebury, ma anche quella maltese i cui templi megalitici sono forse le costruzioni più complesse ed elaborate giunte fino a noi da un’epoca in cui la scrittura non era conosciuta (benché anche di questo si potrebbe dubitare, dato che abbiamo visto la censura, il “muro di gomma” che circonda da oltre mezzo secolo la scoperta delle tavolette di Tartaria).
L’altra dimensione è però quella “orizzontale” della sottovalutazione di popoli e culture europei appartenenti a un orizzonte già storico, e forse questo punto io finora non l’ho sviluppato abbastanza sulle nostre pagine, ragion per cui, nell’attesa di sapere se il mio progetto librario vedrà o meno la luce, sarà utile fornire qualche ragguaglio a tale proposito.
Ci occuperemo quindi dei popoli che sono venuti a trovarsi su quello che si potrebbe definire “l’orlo” della storia, perlomeno di come ci viene raccontata, considerando “il centro” l’area occupata da quei popoli e da quelle culture “classiche” che la storia convenzionale ha potuto in qualche modo collegare a un’influenza mediorientale (anche se abbiamo già visto che questo molto spesso è ben lontano dal corrispondere alla realtà dei fatti).
E’ opportuno premettere subito una precisazione: la collocazione europea di Celti ed Etruschi è ovviamente fuori discussione (i secondi si collocano storicamente nella nostra Penisola che, nonostante l’immigrazione, NON E’ ANCORA Africa o Medio Oriente), indubbiamente europei sono i Traci, popolo collocato in un’area grosso modo corrispondente all’odierna Bulgaria. Sarmati e Sciti erano popolazioni nomadi collocate in un’area che dalle odierne Polonia, Russia, Ucraina sconfina a oriente verso gli Urali che certo non rappresentavano a quel tempo una frontiera definita, tuttavia difficilmente si potrebbero collegare alle culture propriamente asiatiche o mediorientali. I Lidi sono collocati nell’Anatolia, geograficamente asiatica, ma che fino alla conquista ottomana ha sempre gravitato più verso l’Europa che verso l’Oriente, ed etnicamente indoeuropea fino alla penetrazione turca, e qui sono collocati anche gli Ittiti che – lo ricordiamo – erano una popolazione particolarmente cara ad Adriano Romualdi ed Ernesto Roli, che vi hanno visto una sorta di antemurale indoeuropeo in faccia al mondo mediorientale e semitico.
Non voglio dire, naturalmente, che le informazioni che ci vengono fornite sul nostro passato siano perlopiù materialmente false (talvolta lo sono), ma è senz’altro possibile evidenziando alcuni aspetti e minimizzandone altri, presentare un’impressione complessiva del tutto distorta.
Cosa deve fare allora chi vuole verificare l’attendibilità storica delle informazioni correnti sul nostro passato? La cosa migliore sarebbe, avendo le ingenti possibilità economiche di un Heinrich Schliemann, condurre ricerche in prima persona, scoprire magari una nuova Troia, ma dato che questo non si dà, abbiamo solo testi sulla cui attendibilità è legittimo nutrire dubbi, con cui confrontarci.
Occorre allora porci davanti ai testi con l’atteggiamento di un detective. Occorre soprattutto esaminare con attenzione i bordi – l’orlo della storia, per così dire – per cercare di capire come prosegue il pezzo, quello di cui ci è stata fatta intravedere per un attimo l’estremità.
Una cosa che forse potrà riuscire sorprendente, ma spesso i più utili sono proprio i testi divulgativi, addirittura quelli scolastici, può accadere che i compilatori di manuali che dicono pressappoco le stesse cose gli uni degli altri, a volte si lascino “scappare la mano” arrivando a debordare da quella che è l’ortodossia ufficiale di origine biblica tendente a enfatizzare il ruolo del Medio Oriente e a minimizzare quello dell’Europa.
Vi sono popolazioni antiche che troviamo menzionate quasi di straforo nel momento in cui sono venute in contatto con i “civili” popoli mediorientali o con l’ecumene greco-romana che ne avrebbe raccolto l’eredità, popoli che si direbbero “barbari” o “minori”, comunque “non interessanti, e di cui scopriamo all’improvviso un’inaspettata ricchezza culturale, e che ci fanno capire che quest’antica Europa “barbara” in realtà da Egizi, Babilonesi, Assiri, Fenici ed Ebrei avesse ben poco o nulla da imparare. I Celti, una grande civiltà per moltissimo tempo misconosciuta, ne sono l’esempio più noto e più eclatante, ma non sono certo il solo.
Per decenni l’importanza dei Celti e della loro cultura è stata costantemente minimizzata e negata. Per molti, che conoscono solo ciò di cui hanno sentito parlare sui banchi di scuola, e dei Celti hanno sentito solo il ritratto calunnioso fatto dagli autori latini, i Celti sono solo i guerrieri barbari di Brenno e di Vercingetorige, ma moltissimi altri non sanno neppure questo.
Poiché dei Celti fuori dagli ambienti accademici oggi si parla molto, si è formata, si può dire, una vera e propria sub-cultura che nei Celti si riconosce, e io stesso di loro mi sono molto occupato in altre circostanze, adesso non ne parleremo, tranne che in modo molto sintetico. Certamente connessa con i Celti che dopo aver colonizzato le Isole Britanniche devono esserne stati gli eredi, era ad esempio la cultura del Wessex, quella che ha edificato Stonehenge e gli altri monumenti megalitici sparsi per la piana di Salisbury e nell’Inghilterra meridionale.
Riguardo ai Celti, vorrei solo menzionare brevemente un aneddoto. Quando ero studente, diversi decenni or sono, nelle scuole si studiava il latino, e fra le altre cose il De Bello Gallico di Giulio Cesare. In esso, Cesare racconta di quando i Galli vennero a sollecitare il suo aiuto contro la minaccia rappresentata dalla tribù germanica degli Elvezi guidati da Ariovisto. Una nota del curatore del testo precisava che a quel tempo i Celti erano “molto più civili dei Germani”. Davvero? Stando a tutto quel che i testi storici, riflettendo i pregiudizi degli autori romani e mettendoli al servizio di una visione storica basata sulla centralità dell’Oriente, mi/ci avevano raccontato fino a quel momento, non lo si sarebbe mai potuto immaginare!
Prescindiamo naturalmente dal fatto che gli stessi Germani, che hanno realizzato cose come i circoli megalitici di Externsteine e Gosek e quel sorprendente manufatto che è il disco di Nebra, tanto selvaggi e sprovveduti non dovevano poi essere.
Il popolo antico “misterioso” per eccellenza sono – si sa – gli Etruschi, ma il mistero è veramente tale, o piuttosto non lo si vuole dissipare, sempre per non mettere in crisi un’immagine precostituita della storia antica?
La questione degli Etruschi rappresenta una storia che come Italiani ci tocca da vicino, perché fu innegabilmente una cultura avanzata, una civiltà importante fiorita sul suolo della nostra Penisola prima dell’espansione romana, gli Etruschi; una cultura che palesemente non rientra nello schema biblico che abbiamo visto, e che d’altra parte non può essere accantonato né negarne l’esistenza con tanta facilità, non fosse altro perché sotto molteplici aspetti ha fortemente influenzato il mondo romano delle origini; allora la soluzione è sempre stata quella di considerarlo non “un popolo misterioso” ma “il popolo misterioso” per definizione, di vedere enigmi anche là dove non ce ne sono, di confinarlo in una specie di bolla a sé stante, come la perla che l’ostrica forma attorno a un corpo estraneo.
A rimettere in discussione nel 2012 la questione etrusca, è stato un articolo pubblicato sul sito del Centro Studi La Runa da Massimo Pittau, professore emerito dell’Università di Sassari, dal titolo Sulla lingua etrusca, ovvietà ignorate e contraddette. In realtà l’etrusco non è in effetti una lingua sconosciuta, nota Pittau, abbiamo a disposizione più di 11.000 iscrizioni con circa 8.500 vocaboli (il fatto che il numero dei vocaboli sia inferiore a quello delle iscrizioni non deve stupire, dato che si tratta spesso di iscrizioni funerarie, brevi e ripetitive), un materiale che dovrebbe essere sufficiente per una traduzione, ma:
“Lingue antiche scoperte in tempi recenti e documentate con scarse e poco consistenti iscrizioni o brani di iscrizioni, nel giro di qualche decennio sono state dai linguisti decifrate, tradotte e classificate. È il caso delle seguenti lingue: sumero, ittito, hurritico, urartaico, elamitico, ugaritico, licio, lidio, frigio, ecc. Invece rispetto alla lingua etrusca, documentata da circa 11 mila iscrizioni e anche con testi abbastanza consistenti come il Liber linteus e la Tabula Capuana, i progressi ermeneutici e di studio effettuati dalla scuola archeologica italiana in questi ultimi decenni sono stati quasi impercettibili”.
I motivi di questo fallimento sono dovuti secondo Pittau agli archeologi che nel mondo accademico italiano costituiscono un clan potente e che per gelosia di casta e professionale avrebbero del tutto escluso i linguisti dallo studio dell’etrusco e per di più, improvvisatisi linguisti loro stessi, si sarebbero concentrati sullo studio delle iscrizioni funerarie, brevi e ripetitive, ignorando i testi più lunghi.
Altra via d’indagine che sarebbe stata ignorata: la comparazione con il lessico greco e latino. Gli Etruschi hanno avuto rapporti commerciali e politici per secoli con Greci e Latini, e hanno condiviso, soprattutto con i Latini e i Romani, spazi che si sovrapponevano. E’ praticamente impossibile che non vi siano stati scambi e prestiti linguistici da un idioma all’altro. Individuarli non dovrebbe essere difficile, e poiché conosciamo sia il greco sia il latino, non dovrebbe essere difficile interpretare i corrispondenti etimi etruschi, e già questo ci fornirebbe un discreto lessico.
Pittau fa un esempio:
“Se io confronto o connetto la glossa latino/etrusca Amphiles,Ampiles «maggio», cioè «mese dei pàmpini», col greco ámpelos «vite, vigna», io stabilisco semplicemente una “comparazione”; se invece io dicessi che l’appellativo etrusco “deriva” da quello greco oppure il contrario, allora sì fare una “etimologia”, che significa e implica appunto la “derivazione”.
(…).
Nessuno potrà proibire a un linguista di prospettare la tesi che l’etrusco Amphiles, Ampiles «maggio», «mese dei pàmpini», greco ámpelos «vite, vigna», lat. pampinus «pàmpino» e (proto)sardo s’ampilare «arrampicarsi anche della vite» “derivano”, uno indipendentemente dall’altro, da un vocabolo della viticoltura del “sostrato mediterraneo e preindoeuropeo” (1).
Naturalmente il problema della derivazione dei vari etimi è secondario rispetto a quello di stabilirne il significato.
Perché non si procede in questa direzione? E’ solo questione di gelosia professionale fra archeologi e linguisti, o non sarà che gli Etruschi, esempio di una civiltà precocemente evoluta in Occidente, contraddicendo in maniera vistosa lo schema Egizi-Mesopotamici-Fenici-Ebrei-Persiani, ecc…, non potendo farli scomparire, è meglio lasciarli avvolti in una bolla di mistero?
Il professor Pittau sintetizza qui in breve i risultati di cinquant’anni di studi sulla lingua etrusca: essa sarebbe a quanto pare una lingua indoeuropea imparentata con alcune lingue anatoliche, il che avvalorerebbe la leggenda sull’origine degli Etruschi riportata da Erodoto che li riteneva originari dalla Lidia; presenterebbe inoltre delle somiglianze con il proto-sardo, ossia la lingua parlata nella Sardegna nuragica, prima che essa venisse latinizzata dal contatto con i conquistatori romani, anche se è legittimo il dubbio se tali affinità attestino un’origine comune, o non siano piuttosto il risultato di ripetuti e frequenti scambi commerciali e di altro tipo che certamente ci dovettero essere fra due popolazioni vicine e separate solo da un breve braccio di mare.
In realtà, una simile conclusione non l’ho trovata per nulla sorprendente, concorda pienamente con quanto rilevato da Mario Enzo Migliori che si richiama alle ricerche di un altro importante studioso, Leonardo Magini, e riportato su di un articolo pubblicato nel 2008 anch’esso sul sito del Centro Studi La Runa, L’etrusco, lingua dall’Oriente indoeuropeo (2), dove si evidenziavano le somiglianze della lingua dei Rasna con quelle di ceppo indo-iranico.
Io su questo punto mi sentirei di avanzare dei dubbi, mi sembra più probabile che l’etrusco sia un linguaggio mediterraneo di base non indoeuropeo, come il minoico della finora non tradotta scrittura lineare A cretese, ma sicuramente a causa dei frequenti contatti che gli Etruschi avevano con Celti, Greci, Latini, si sarà arricchito di etimi indoeuropei e, a sua volta, avrà contribuito alla precoce differenziazione dei linguaggi indoeuropei dell’Europa meridionale, ragion per cui il tipo di analisi linguistica proposto dal professor Pittau rimane sostanzialmente valido anche se, per rimanere al suo esempio, il termine greco ampelos, vite è con ogni verosimiglianza un etimo mediterraneo e non indoeuropeo, perché nelle sedi originarie degli Indoeuropei, la vite era con ogni probabilità sconosciuta.
Nell’antichità alcuni sostenevano che gli Etruschi fossero originari della Lidia, regione dell’Asia Minore, credo che il primo a sostenere questa tesi, ma mi posso sbagliare, sia stato Erodoto. La cosa non deve stupire: a partire dalla diffusione dei poemi omerici, attribuire a qualcuno o a qualcosa un’origine da quest’area era un segno di distinzione, gli stessi Romani si ritenevano discendenti dai Troiani fuggiaschi guidati da Enea, leggenda che non aveva e non ha nessuna base storica. Nonostante che la presunta origine lidia degli Etruschi fosse controversa già in età antica, in seguito è stata supinamente accettata ed è giunta fino a noi, al punto che ancora oggi molti ricercatori sono inclini ad attribuire agli Etruschi una provenienza da qualche parte in Oriente.
E’ probabilmente questa la prima origine della favola della luce da oriente, favola che però doveva essere enormemente rafforzata dalla diffusione nell’impero romano e in Europa di una religione nata in Palestina e del libro su cui si basa, che divenne “il libro”, “la verità” per antonomasia.
Naturalmente, tutto ciò non corrisponde minimamente alla realtà, e anche in questo caso è lo studio del DNA a svelarci come stiano realmente le cose. La notizia non è nuovissima, e comunque ne parliamo anche noi, “repetita iuvant”, si tratta di una notizia già apparsa sulla rivista “Plos One” nel febbraio 2013 e ripresa nel 2014 da un articolo sul sito di “Saturnia Tellus”. Una comparazione fra il DNA dei resti di antichi etruschi e di toscani moderni condotta da un’equipe guidata da Guido Barbujani dell’Università di Ferrara e Guido Caramelli dell’Università di Firenze ha dimostrato che il genoma etrusco è ancora presente in alcune aree, non in tutte, della Toscana, in particolare in Casentino e nella zona di Volterra, ma soprattutto, quel che è più importante e anche più rilevante ai fini della nostra questione, non esiste alcuna correlazione fra esso e genomi anatolici (3). L’idea della presunta origine orientale degli Etruschi è completamente smentita dalla genetica e con essa, permettetemi di dire non senza soddisfazione, se ne va un altro brandello di elemento a sostegno dell’ormai sempre più screditata favola della luce da oriente.
Gli Etruschi sarebbero semplicemente un popolo autoctono facente parte di quello strato di popolazioni diffuso nella nostra Penisola prima dell’arrivo degli Indoeuropei. Già altri ricercatori avevano evidenziato che vi sarebbe una precisa continuità fra la cultura terramaricola, quella villanoviana e quella etrusca, che non sarebbero in definitiva altro che tre momenti dell’evoluzione di uno stesso popolo, di una stessa civiltà.
Un particolare che storici e archeologi sembrano ignorare a bella posta, è il fatto che costruzioni megalitiche si trovano anche sul suolo italiano, e proprio su questo fronte in tempi recenti sono arrivate interessanti novità.
Il 16 ottobre 2013 il bollettino on line dell’associazione “Saturnia Tellus” ha riportato la notizia della scoperta nella zona di Stilo in Calabria di una “Stonehenge italiana”:
“Un villaggio megalitico dimenticato che svetta in sul confine delle province di Reggio Calabria, Catanzaro e Vibo Valentia. E’ il sito “sacro” del Bosco di Stilo scoperto da alcuni archeosubacquei calabresi e recentemente rilanciato sui media locali.
Ci troviamo nel cuore di quella che un tempo si chiamava Calabria Ultra, verso l’estrema punta dello Stivale, dove, inghiottito da una fitta vegetazione, dalle parti di Ferdinandea, è incastonato un sito archeologico fuori dal tempo: tutto un susseguirsi di blocchi dalle svariate forme, con simboli particolari (alcuni dei quali, forse, cuneiformi), collocati in apparente allineamento con eventi astronomici (4).
“Saturnia Tellus” riferisce l’ipotesi dei ricercatori che fanno risalire l’insediamento ai Pelasgi, l’antico e poco conosciuto popolo che avrebbe abitato la Grecia prima dell’arrivo degli Elleni, ma la storia del megalitismo italiano, in cui andrebbero inclusi anche i templi maltesi, è ancora tutta da scrivere. E neppure può mancare di suscitare interesse il fatto che anche per questo monumento, come per Stonehenge e molti siti celtici, si nota la correlazione tra l’allineamento dei monoliti ed eventi astronomici.
Io credo che in futuro sarà sempre più difficile respingere l’idea non solo dell’esistenza di popoli mediterranei appartenenti a questo quarto e misconosciuto ramo, ma il fatto che in età antica costoro sono stati portatori di un elevato livello di civiltà, e poiché gli Italiani sono tanto indoeuropei quanto mediterranei, non scordiamoci che è dei nostri antenati che stiamo parlando.
Il caso degli Etruschi in fondo è tipico, sembra che di fronte a qualsiasi civiltà antica la domanda da porsi sia quella “da dove venissero” i suoi fondatori, e sembra esista una sorta di tabù a pensare che una cultura, una civiltà possa essere originata per forza autoctona.
Faccio un paragone ardito: la maggior parte degli scienziati che cercano una risposta al mistero delle origini della vita, tende a non prendere in considerazione la teoria della cosiddetta panspermia, secondo la quale il nostro pianeta potrebbe essere stato “infettato” da germi provenienti dallo spazio, e questo semplicemente perché questa teoria sposta “altrove” il problema, ma non offre alcun elemento per capire come la materia inerte potrebbe essersi trasformata in vivente.
Ora, mi pare chiaro che quando si cerca di spiegare l’origine di una civiltà con un’immigrazione o un’influenza da altrove, si fa lo stesso tipo di operazione, che sposta soltanto il problema, ma non da alcuna risposta circa i meccanismi che portano gli uomini a costruire una cultura una civiltà a partire dalle loro necessità e risorse, dal loro ingegno e dalle sfide dell’ambiente.
In realtà, questa visione delle cose che ci si vuole imporre non è per nulla così innocente. Si cerca di diffondere l’idea assolutamente falsa che l’immigrazione e l’ibridazione costituiscano comunque un apporto culturale anche quando provengono dalle aree più culturalmente deprivate del nostro pianeta, è la classica idiozia che si può definire “mentalità di sinistra”, ed è certamente ironico il fatto che i suoi veicolatori (i “compagni”) siano principalmente coloro che all’epoca della Guerra Fredda si presentavano come avversari di chi l’ha creata, cioè appunto gli statunitensi.
Qualcuno ha detto che il modo più efficace di ingannare gli altri, è quello di ingannare prima di tutto se stessi, in modo da presentarsi alle vittime con la faccia della sincerità, ma qui non si tratta soltanto di auto-inganno. Che in America non vi sia nulla che non sia venuto da fuori negli ultimi cinque secoli, stante la brutale cancellazione delle culture amerindie e lo sterminio delle popolazioni native, questo è ovvio.
Quello che è meno ovvio, e probabilmente spiega il “pensiero” yankee a tal proposito, è che la cultura statunitense è praticamente sterile. Certo, gli USA dispongono del più vasto e possente apparato scientifico e tecnologico che si sia mai visto, ma se guardiamo bene, coloro che l’hanno creato e lo fanno funzionare, da Meucci a Von Braun, sono quasi invariabilmente immigrati che si sono formati fuori dagli USA, né potrebbe essere diversamente, dato che la scuola americana è un ignorantificio ancor più disastrato di quella italiana. E’ chiaro che gente così non può non concepire un qualsiasi arricchimento culturale se non come apporto dall’esterno.
Coloro che manovrano le leve del potere dietro le quinte negli USA hanno fatto in modo che non solo il vecchio ceppo anglosassone, ma la stessa componente caucasica sia oggi una minoranza nel “grande Paese”, e intendono riservare anche all’Europa lo stesso destino.
Gli yankee credono di essere un grande popolo, ma non sono nemmeno un popolo, sono solo un’accozzaglia di gente che condivide uno spazio geografico.
NOTE:
- Massimo Pittau: Sulla lingua etrusca, ovvietà ignorate e contraddette, Centro Studi La Runa, 2012.
- Mario Enzo Migliori: L’etrusco, lingua dall’Oriente indoeuropeo, Centro Studi La Runa 2008.
- “Plos One”, febbraio 2013, “Saturnia Tellus” 2014.
- Una Stonehenge italiana, “Saturnia Tellus” 16 ottobre 2013.
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