Attraversando Marinetti, Rodolfo Valentino e il Cinema: nel tempo del CoronaVirus
“Con me che aspettavo il complice del metafisico e selvaggio tango. Noi felini osceni eravamo ribelli ai passi impostati dalle regole. Nella casa chiusa… iniziava il nostro ballo… Era creazione di anima e lussuria. Le cosce frementi s’insinuano nel corpo dell’altro…” «Il Tango ti aspetta, non ha fretta e puoi incontrarlo e non riconoscerlo, tanto prima o poi gli cadi tra le braccia». Il tango, è stato detto, è come un vizio: una volta conosciuto non puoi farne a meno. L’immaginario del Tango è una metafora della creazione con la sua struggente ed erotica significazione. Come lo è l’improvvisazione creativa della sua camminata.
Il tango non è solo musica. È anche poesia, la cui essenza vive oscuramente dentro di noi come una colonna sonora di un’esistenza che scorre. Borges, negli anni ’30, sostiene che la vera poesia del nostro tempo sarebbe stata quella contenuta nei testi del tango. Questo ballo, come qualcuno ha detto, può rappresentare un ultimo approdo dei poeti maledetti, in quanto narra un mondo di sofferenze e introversioni, commiste ad attimi di dolcezza e languore. Se la nostalgia è la protagonista del Tango, subito dopo c’è la donna che è sempre lontana, anche quando viene raggiunta. Dentro ogni tango c’è una donna o una sua trasfigurazione: «Un uomo da solo è fango, con la donna è tango» dice un proverbio argentino. Il tango è nato nei bordelli, nei bassifondi delle periferie di Buenos Aires, come “rivolta” verso la cultura ufficiale. Vuole esprimere la propria interiore malavita. Come afferma, in quel tempo, un suo interprete, il tanguero deve essere in un qualche modo un ladro, un pappone, un delinquente. Borges, il grande scrittore argentino, esprime il concetto: «Nessuno può dire in quale città il tango sia nato, Buenos Aires, Rosario o Montevideo, ma tutti sanno in quale sia – la via delle prostitute».
Se il tango «nasce nei postriboli, (…) questo stesso fatto dovrebbe farci sospettare che esso sia qualcosa come l’opposto del sesso, giacché ogni creazione artistica è, quasi sempre, un atto antagonistico, un gesto di fuga e ribellione. Si crea ciò che non si ha, (…), ciò che ci permette di evadere, magicamente, dalla dura realtà quotidiana. L’arte, in questo, assomiglia al sogno» (E. Sabato). Il tango è soprattutto emozione. Ma è anche un enigma per le sue verità sfuggenti, vissute magari attraverso «uno sguardo ricambiato o lo stiletto di una mano invisibile». Ritrovo queste atmosfere oscure nel film Tango nudo (1991) di Leonard Schrader, in cui l’esistenza è triste e sensuale come un tango, in cui convivono criminalità e prostituzione, passione e morte. Il Tango crea un corpo immaginale, fatto di carne, sangue e desiderio, trasgressione libera da schemi. Il corpo della donna si trasmuta nel ballo in quello di un serpente notturno che si avvolge, sfiora, a tratti stringe. La sua sensualità è rappresentata anche dalle curve e caviglie che si muovono. Che vivono attraverso la nudità di una coscia o la verticalità di un tacco a spillo. Quest’ultimo diviene una “icona” di attrazione, al limite del feticismo, per le sue valenze di eleganza, femminilità e seduzione estrema. La pulsione può essere espressa anche attraverso sguardi e silenzi: «L’uomo ballando acquista l’aria teatrale del domatore di belve. Avvinghia la vita della compagna» (E. Secades). Il Tango è un’arte della seduzione: l’uomo e la donna si fronteggiano al suono di passi, ritmo, tattilità, respiro. La donna incarna una “assenza-presenza” nel suo ruolo passivo e attivo di seduzione che accende la tensione tra i sessi. Il fine ultimo è la scoperta e il possesso della comprensione sensoriale dell’altro, che si rivela essere una metafora della dualità erotica in cui coesistono, continuamente variando, luci e ombre, bene e male. Nel ballo i due esseri sono “avvinti” dall’abbraccio emozionale del movimento. Gli occhi, le mani, il respiro, animano l’attrazione dei corpi che si sfiorano in simbolici giochi di seduzione. Il tango «cavalca la vita e si lascia cavalcare come un vento di passioni». L’uno è con/contro l’altro, nella tensione di un unico corpo in movimento: viso contro viso, petto contro petto, ventre contro ventre, coscia contro coscia. È un colloquio continuo, non verbale, che può essere parlato attraverso impreviste accelerazioni e compiaciute immobilità. In questo “viaggio” vengono vissute molteplici emozioni: «E’ qualcosa di simile al sesso non soltanto nei gesti, è conoscenza dell’altro, interazione: danzando si impara a ballare, trovando in pochi minuti una possibilità di intesa, un frammento di felicità». La donna si lascia condurre, senza che ciò significhi un ruolo subordinato all’uomo, in quanto entrambi da soli non possono esprimerlo. La donna esercita la sua carica sensuale mentre l’uomo deve guidare il sottile gioco, decidendo i passi per condurla. I momenti morbidi e sensuali tendono ad accrescere la voluttà e il ritmo, lasciando spazio ad attimi di possesso, anche deciso. I due ballerini si guardano, si studiano, si cercano, si possono desiderare, si provocano, in una invisibile schermaglia che è la molla dello svolgersi del ballo. Poi si possono negare, con un improvviso scatto delle gambe che riporta i due corpi distanti, per poi ricominciare. Attraverso il ballo possono sintonizzarsi verso le dimensioni dell’oltre. Dal 1910 il Tango comincia a uscire dalle periferie della città per diffondersi oltre frontiera. Dapprima a Parigi e poi in Europa, dove si aprono, per i signori dell’alta borghesia, locali anche lussuosi: dove è possibile assistere a spettacoli, ballare e naturalmente trovare compagnia. Il Tango subisce, successivamente, una rapida modificazione che lo proiettano in una dimensione più estesa. La provocazione e la licenziosa delle origini del tango vengono purgate per accedere nei salotti esclusivi della borghesia, a Parigi come a Buenos Aires, superando pure la condanna papale. Gli aspetti poco accettati socialmente scompaiono: come i gesti e i movimenti esasperati, che ne accentuano il carattere erotico. Sul finire degli anni Venti, sulla scia del successo e della “nobilitazione” ottenuti oltre oceano, il Tango è accolto dall’alta società argentina, diffondendosi nelle esclusive sale da ballo della capitale. In questi anni nasce il mito di Carlos Gardel, il più grande cantante di tango di tutti i tempi. Questa figura leggendaria è venerata in patria al pari di Evita, che insieme al generale Peron si esibisce in romantici tanghi. All’immagine del tanguero, col cappello calato sulla fronte e il fazzoletto al collo, si sostituisce lo stereotipo del ballerino con scarpe lucide e cilindro, accompagnato da una ballerina in guanti lunghi e abito di lamé.
La “normalizzazione” del Tango è avvertita da Marinetti in una sintomatica lettera dell’11 gennaio 1914, dal titolo Abbasso il tango e Persifal. In questa denuncia l’illanguidimento di questo ballo: «Barbaro! Un ginocchio fra le cosce? Eh via! ce ne vogliono due! Barbaro! Ebbene sì, siamo barbari! Abbasso il tango e i suoi cadenzati deliqui. Vi pare molto divertente guardarvi l’un l’altro nella bocca e curarvi i denti estaticamente l’un l’altro, come due dentisti allucinati?». «Fiore del cuore / Incantevole rosa / dentro il tuo calice / conservi il cuore del mio vero amore. Si chinarono dall’alto gli dei per benedirti?» scrive Rodolfo Valentino. Questo nostro illustre emigrante nato a Castellaneta (Taranto) nel 1885, approda in America nel 1913. Fa conoscere nel mondo questo ballo, entrando in scena vestito da gaucho, nel 1921, per interpretare un tango audace e travolgente nel film I quattro cavalieri dell’Apocalisse. L’inquietante ballo argentino così si afferma a Hollywood, conquistando la giovane industria cinematografica. L’attore pugliese, grazie a film di successo (non tutti di qualità), determina incredibili ondate di fanatismo e isteria collettiva: i suoi lineamenti e la sua sensualità “attraversano” lo schermo. Valentino entra nella leggenda con una fugace apparizione nel mondo del cinema e una morte precoce, inaspettata e misteriosa. Si è detto giustamente che Valentino è un esteta: un uomo che interpreta l’esistenza come un sogno, un romanzo, un film, un tango. Si costruisce la fama di amatore, incarnando il desiderio proibito di tante donne. Rappresenta un primo modello di maschio differente dai canoni dell’estetica americana: la sua bellezza mediterranea incarna il fascino dello straniero conquistatore dallo sguardo tenebroso e dall’aspetto raffinato. La sua leggenda appartiene a quella del cinema muto, riattraversata in diversi film: uno dei quali è Valentino (1978) di Ken Russel, interpretato dal grande danzatore classico russo Rudolf Nureyev che si rivela un intenso interprete, facendo rivivere questa mitica figura. Nel corso della sua storia il Tango, dopo il battesimo di Valentino, assume connotazioni filmiche diverse e stimolanti, a testimonianza della sua suggestiva vitalità. Il fascino torbido e sensuale, l’intensità emotiva di questo ballo attrae diversi registi (anche importanti) che ne propongono nuove letture e relazioni. Come sottolinea Borges: «di tanto in tanto, certi film ci propongono una nuova interpretazione dell’evoluzione del tango». Il Tango, talvolta, non deve essere giudicato, in questi film, per la fedeltà dei suoi passi, ma per il coinvolgimento di un pensiero che “entra” nella pellicola della nostra vita. Magari per contagiarla con l’ErosVirus di un Estremo Tango: come accade attraverso la passione, travolgente e trasgressiva, del film Ultimo tango a Parigi (1972), il capolavoro di Bernando Bertolucci.
Non so se l’alchimia di questo ballo possa vivere ancora oggi nella pluralità dei tanghi danzati, in dimensioni di diffusione mediatica e commerciale, continuamente “ridefiniti” nel loro (possibile o impossibile) passo antico o nuevo. Le attuali sue apparenze sono da considerare forse una estrema maschera della nostalgia-anima del Tango, come prima di un addio. Probabilmente la sua essenza antica, che «racchiude in sé, come tutto ciò che è autentico, un segreto» (J.L. Borges), è forse ormai perduta. Le attuali sue apparenze sono da considerare una estrema maschera della nostalgia-anima del Tango, come prima di un addio. Questa malinconica considerazione può far ipotizzare che oggi, fra i tanti mestieranti innamorati dei suoi esteriori adorni, possa “riemergere” un tango antico ballato da poeti-artisti dell’anima. Forse i nuovi Barbari sognanti possono “liberare” il Tango dai passi e dagli abbigliamenti stereotipati, magari ascoltando i richiami “pericolosi” della sua origine. Le istanze interiori e artistico-letterarie del Tango sono diventate per me, nel tempo, occasione per testi, ideazioni di mostre e manifestazioni. L’ultima (pubblica) è stata la “serata-gala”, che ho introdotto, svoltasi a Latina al Circolo Cittadino il 28 febbraio 2020. Questo evento è stato realizzato per ricordare la stilista Valè / Valentina Puleo, creatrice di accessori di moda: in collaborazione con l’artista Giuseppe Fucsia, Lucia Barboni (style coach di moda), i Blue note ‘n freedom’ (intrattenimento musicale). Avevo in programma un Ritual Tango per il 15 marzo u.s. presso l’Atelier Montez di Roma, che non è stato possibile esprimere a causa della chiusura dei locali imposta per il CoronaVirus. Ho celebrato comunque un Ritual estremo Tango per l’equinozio di primavera 2020 in compagnia di Barbari sognanti, sfidando il CoronaVirus con una rosa rossa di desiderio in bocca. L’appuntamento si è svolto in un spazio segreto a Roma: tra realtà interiore e visionarietà virtuale. Come feci, per la prima volta in Appunti di tango, un estremo ballo di “eros segreto” con Madame Blanche, oltre venti anni fa: “Tu mia rosa rossa (…) vestivi la tua nudità con le scarpe rosse. I tacchi a spillo diventavano, per me, lame disarmanti della tua essenza. Seduzione rossa per il mio sguardo amante…”.
Vitaldo Conte