Torniamo a tastare il polso della situazione politica italiana, questa volta non tanto in relazione ai risultati di tornate elettorali, sebbene ci siano state alcune elezioni provinciali – ne parleremo – ma perché sono trascorsi ormai due anni dall’insediamento del governo Meloni. Va da sé che in questo caso ci si deve affidare soprattutto ai sondaggi, che spesso sono contraddittori oppure riflettono variazioni minime degli schieramenti politici, destinati a cambiare da una settimana all’altra (e sono contraddittori appunto per questa ragione), tuttavia alcune linee di fondo è possibile individuarle.
Ora, non sarà il caso di andare a vedere le variazioni dello zero virgola in su o in giù di ciascun partito, di cui i sondaggi ci informano settimanalmente o più spesso, talvolta in aperta contraddizione gli uni con gli altri, ma ad esempio le recenti elezioni amministrative che hanno visto il centrodestra battuto in Emilia Romagna (ed era ampiamente prevedibile, vista la ben nota tradizione “rossa” di questa regione) e in Umbria (e qui lo era un po’ meno), non è difficile concludere che la maggioranza di centrodestra comincia a manifestare segni di difficoltà.
Tuttavia, non è il caso di parlare di vittoria o di affermazione del centrosinistra, perché questa non è una gara all’acquisizione di nuovi consensi, ma a chi ne perde di meno, stante il fatto che – regolarmente a ogni tornata elettorale – cresce il tasso di astensione.
Si può comunque notare che l’exploit di Fratelli d’Italia alle ultime elezioni politiche, con risultati sostanzialmente confermati alle successive tornate amministrative ed europee, è avvenuto a spese degli alleati Forza Italia e Lega, mentre i recenti buoni risultati di PD e Alleanza Verdi – Sinistra sono avvenuti approfittando della crisi sempre più grave in cui versa il Movimento Cinque Stelle. In poche parole, la barriera tra centrodestra e centrosinistra sembra più invalicabile del muro di Berlino.
Io stesso, che sono stato sempre schierato in un certo modo, mi domando che senso abbia votare per i partiti di un centrodestra che ha subito, una volta salito al governo, accantonato quello che in campagna elettorale era stato il suo cavallo di battaglia, il contrasto all’immigrazione clandestina, che si dimostra servile all’eccesso verso il padrone americano, che invia armi in Ucraina, che davanti all’orrore del genocidio nella striscia di Gaza, si schiera dalla parte di Israele, fa insomma esattamente le stesse cose che farebbe un governo di centrosinistra, e che i centrosinistra hanno sempre fatto.
A questo punto, andando a votare o astenendosi si ottengono gli stessi risultati, cioè nessuno, ma almeno con l’astensione si evita di rendersi moralmente complici di un sistema che fa schifo.
Ci dicono che la crescita dell’astensione è tipica di una democrazia matura, non riguarda soltanto l’Italia, ma tutti i Paesi dove la democrazia è affermata, negli USA ad esempio, vota abitualmente meno della metà del corpo elettorale.
Ma questo cosa significa, se non che, man mano che le democrazie proseguono nel loro sviluppo storico, sempre più gente si rende conto dell’inutilità del voto? Se n’era accorto già nel XIX secolo Mark Twain, che sentenziò:
“Se votare servisse a qualcosa, non ce lo lascerebbero fare”.
Notiamo una cosa interessante: questi sondaggisti, e non c’è nessun dubbio che il sistema “dell’informazione” sia strettamente legato al potere, hanno perso l’abitudine di darci nelle loro elaborazioni, oltre alle percentuali, l’andamento per le intenzioni di voto per questo o quel partito in numeri assoluti, così si crea un’impressione falsata, e un partito che semplicemente perde consenso meno degli altri, sembra avanzare, ma soprattutto si nasconde dietro un dito il fatto che tutto il sistema nel suo insieme perde ogni giorno di più credibilità e la gente crede sempre meno nel “teatrino della politica”, sa che la soluzione ai suoi problemi reali, ammesso che ci sia, non è lì.
Allo stesso modo, sarebbe interessante se alla crescente astensione, al non-voto popolare corrispondesse un numero di seggi non assegnati nei parlamenti e nelle assemblee amministrative, vedremmo questi costosi baracconi, in Italia e fuori di essa, ridursi poco per volta a conventicole sempre più scheletriche, ma state tranquilli che non succederà.
Ai primi di dicembre 2024, Stefano Vaj, leader italiano del movimento transumanista, ha postato su facebook gli esiti di un sondaggio che è stato censurato dai mezzi “d’informazione”, un sondaggio dove non si chiedeva di esprimere intenzioni di voto, ma di indicare il proprio accordo o meno su di una serie di affermazioni.
Preciso che in questa sede non ho intenzione di aprire un contenzioso sull’ideologia del transumanesimo, è proprio il sondaggio in sé, ciò su cui vorrei concentrare l’interesse.
La prima domanda del sondaggio riguarda un punto di grande interesse storico e sociale. Noi sappiamo che nel passaggio dalle società tradizionali alle moderne società ad economia di mercato, proprio perché ci si trovava in una fase di transizione, la mobilità sociale era relativamente alta, e uno dei punti di forza del liberismo era proprio la speranza quasi di ognuno di migliorare il proprio status sociale, anche se il più delle volte questa speranza si rivelava illusoria. Questo valeva soprattutto per gli Stati Uniti, visti e decantati agli emigranti come “la terra dalle mille opportunità”, ma in una certa misura anche per l’Europa, Italia compresa, soprattutto nel periodo del “miracolo economico” degli anni ’60 del XX secolo, poi la situazione si è stabilizzata, all’aristocrazia terriera si è sostituita l’oligarchia del denaro, il potere è passato “dai castelli alle banche” che lo detengono tuttora, come qualcuno pronosticò già nel 1830.
Naturalmente, sarebbe impossibile pretendere che la gente non se ne accorgesse, infatti, alla prima domanda del sondaggio, l’85,5 per cento degli intervistati condivide l’affermazione che “oggi è molto difficile salire nella scala sociale”.
Notiamo che oggi sembra si sia abbandonata qualsiasi idea di socialismo, di intervento dello stato nell’economia a fini di equità sociale, e più in generale, i politici sono visti come una conventicola di gente che si fa i propri affari a spese della cosa pubblica, infatti, l’84,4 per cento degli intervistati condivide l’affermazione che “oggi i politici pensano più a se stessi che ai cittadini”.
Qui devo essere sincero. Può darsi che oggi la cosa sia particolarmente eclatante, ma penso che in una misura o nell’altra, tranne forse che in circostanze particolari di grande idealismo, questo sia sempre avvenuto.
Il 68,5 per cento degli intervistati condivide l’affermazione che “le democrazie occidentali non funzionano più”.
Le democrazie degli stati nazionali europei sembrano alla fine di un ciclo storico, in crisi di autorevolezza e credibilità. Alcuni, soprattutto nel XX secolo, cioè prima che l’Unione Europea si concretizzasse, hanno visto in essa un’alternativa. E ora?
Il 71,4 per cento degli intervistati concorda con l’affermazione che “se non cambia, l’Unione Europea è destinata a sfasciarsi”.
Eventualità della quale non si sa se dovremmo avere timore o non piuttosto in cui dovremmo sperare. Altri Paesi, soprattutto Francia e Germania sembrano aver tratto dall’Unione Europea qualche beneficio, ma per noi Italiani è stata ed è una catastrofe. Il sistema economico che l’Italia aveva sviluppato nella seconda parte del XX secolo, basato sulla compartecipazione di pubblico e privato, aveva permesso a essa quel “miracolo economico” che le ha permesso di vincere ataviche condizioni di arretratezza e diventare una delle maggiori potenze industriali europee e mondiali, ha potuto germogliare dopo la tempesta del secondo conflitto mondiale, ma i suoi semi erano stati piantati in epoca fascista.
Tutto ciò è stato abbandonato nell’ultimo quarto di secolo in favore di un liberismo puro adottato in base ai diktat della UE, e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
A uno a uno, i marchi industriali italiani sono stati venduti, o spesso svenduti all’estero. Si è cominciato da prestigiosi marchi storici come Richard Ginori, per arrivare a colossi produttivi come la FIAT che sembravano inattaccabili, e oggi la casa automobilistica torinese è diventata una dependance della Crysler.
Abbiamo assistito e stiamo assistendo a un processo di desertificazione industriale. E non parliamo della nostra agricoltura, la cui distruzione è cominciata già all’epoca in cui la UE si chiamava MEC per far posto alle eccedenze agricole della Francia, e oggi anche dei Paesi extracomunitari.
Una nazione può campare solo di terziario e turismo? Il turismo internazionale peraltro è un settore dove dobbiamo affrontare una concorrenza sempre più agguerrita, dalla Spagna alla Croazia, ai Paesi arabi.
Siamo più o meno nella situazione di chi vive di una rendita che si sta man mano assottigliando, e non occorre essere profeti per capire che in futuro ci sarà sempre più difficile, non mantenere un’economia florida, ma standard di vita analoghi a quelli degli altri Paesi occidentali. Poterci liberare di quella macina al collo che sono i diktat della UE, potrebbe aiutare non poco.
Come sempre, la falsa informazione di regime serve a non rendere facili le cose. Coloro che sono a favore del ripristino della sovranità nazionale sono chiamati sovranisti. Subito, sovranista è diventata una di quelle parole insulto che servono a strozzare qualsiasi dibattito, come fascista, razzista, populista, e questo nonostante che, ad esempio in Gran Bretagna i sovranisti abbiano vinto e siano riusciti a portare il Paese fuori dalla trappola della UE, senza che si verificasse nessuna delle catastrofi che i fautori della UE avevano pronosticato.
Le domande, o meglio le affermazioni con cui essere o no d’accordo, del sondaggio, sono divise in due gruppi, la prima parte che abbiamo visto, sotto il titolo “la sfiducia nei sistemi democratici”, la seconda sotto quello di “l’antioccidentalismo montante”.
Qui troviamo affermazioni come “I Paesi occidentali pretendono di imporre agli altri il proprio modello economico (libero mercato) e politico (democrazie liberali)” che ha ottenuto il 70,8 per cento dei consensi degli intervistati, e “I Paesi occidentali (USA in testa) sono i principali responsabili delle guerre in corso in Ucraina e in Medio Oriente”, che ne ha ottenuti il 66,3 per cento.
In tutta sincerità, questo titolo, “l’antioccidentalismo montante” non mi piace, mi sembra fatto apposta per far pensare a un’ondata irrazionalistica che sta investendo la nostra società, quando non si tratta altro che del semplice buon senso di chi non si lascia ingannare dalla propaganda di regime.
Che i Paesi occidentali, soprattutto gli Stati Uniti cerchino di imporre dappertutto i loro modelli economici e politici senza tenere alcun conto delle differenze fra le varie culture, perlopiù con esiti disastrosi, ad esempio, non è che verità sacrosanta. Ne abbiamo avuto un esempio lampante con le cosiddette “primavere arabe” sicuramente manipolate dall’esterno e di cui l’attuale rivolgimento in Siria è uno strascico tardivo, nessuna delle quali ha portato all’instaurazione della democrazia nei Paesi coinvolti.
Parliamo del conflitto in Ucraina. Che il governo ucraino sia una marionetta di cui USA e NATO tirano i fili, questo lo vede chiunque, ma la colpa della guerra è della Russia che ha inteso negare all’Ucraina il diritto di massacrare i russi del Donbass e di portare le armi della NATO sempre più vicine a Mosca.
Che nella situazione mediorientale i Paesi occidentali, Stati Uniti per primi, abbiano una responsabilità pesantissima sostenendo la politica assassina e genocida di Israele, questo lo vedono anche i ciechi, eccenzion fatta per i ciechi voluti che ci governano.
Non si può poi non rimarcare la mistificante ipocrisia di chi parla oggi di “risorgente antisemitismo”, confondendo deliberatamente la legittima, umana, sacrosanta indignazione per i massacri che gli Israeliani stanno commettendo a Gaza e altrove con il razzismo di un secolo fa.
Proseguiamo con la lettura degli esiti del sondaggio, il 51,1 per cento degli intervistati condivide l’affermazione che “I Paesi occidentali sono destinati a soccombere economicamente e politicamente dinanzi all’ascesa di Paesi come Cina e India”.
Io al riguardo sarei meno pessimista. Non dimentichiamo che il PIL, di cui negli scorsi decenni questi Paesi asiatici hanno denunciato crescite percentuali a due cifre, è una misura grossolana e spesso fittizia dell’economia di una nazione, e oggi gli economisti tendono a preferire altri indicatori, come il rapporto fra popolazione e infrastrutture e servizi, anche se più difficili da quantificare. Il rischio c’è, ma la partita è aperta, dipende da noi, dalla nostra creatività e ingegnosità, se resteremo competitivi a livello internazionale.
Nell’insieme, io direi che gli esiti di questo sondaggio ci permettono di intravedere orientamenti dell’opinione pubblica radicalmente diversi da quelli del Paese ufficiale in cui maggioranza e opposizione sono sempre meno distinguibili, e di cui il Paese ufficiale non tiene conto, perché la sovranità popolare, in definitiva, non è altro che una finzione. Le democrazie sono regimi non meno autoritari di altri che si sono avvicendati nella storia, solo più ipocriti.
Se il popolo prende una decisione che non piace al potere, essa sarà annullata e calpestata. Ne abbiamo appena avuto un esempio con le elezioni presidenziali rumene, dove il verdetto delle urne che ha dato la vittoria al candidato sovranista considerato filorusso Călin Georgescu, su ordine della UE, è stato annullato dalla corte costituzionale con motivazioni risibili.
Vorrei tuttavia far notare che non si tratta di un caso isolato. Poco diversa e davvero grottesca, è stata l’adesione dell’Irlanda alla UE, sancita mediante un referendum che è stato ripetuto tre volte, finché gli Irlandesi non hanno ceduto per stanchezza.
Noi Italiani, in ogni caso, non corremmo un rischio del genere, perché la “nostra” costituzione, disseminata di trappole per vanificare la volontà popolare, “la più bella del mondo” come l’ha definita l’illustre giurista Roberto Benigni, molto più serio quando fa professionalmente il pagliaccio, ci vieta il referendum sui trattati internazionali.
Proprio in riferimento a questo divieto, quando la Gran Bretagna si è tirata fuori dalla trappola UE, una esponente del PD commentò che “fortunatamente” esso ci protegge dalla possibilità di prendere una decisione simile.
Questo ci dà l’esatta misura di come la sinistra considera gli Italiani, bambini deficienti bisognosi di essere condotti per manina.
La nostra risposta non può che essere molto chiara: non lasciarsi piegare, resistere, resistere a ogni costo.
NOTA: nell’illustrazione, il teatrino della politica nel quale gli Italiani credono sempre di meno, qui in versione UE.