Presentiamo, per gentile concessione dell’editore, un ampio estratto del libro del filosofo e politologo russo Aleksandr Dugin “Teoria del Mondo Multipolare”, recentemente pubblicato per i tipi di AGA Editrice e ordinabile al seguente indirizzo: http://www.orionlibri.net/negozio/teoria-del-mondo-multpolare/. Traduzione di: Donato Mancuso. Curatore dell’opera: Maurizio Murelli.
Dopo la seconda guerra mondiale e la sconfitta della Germania nazista e delle potenze dell’Asse, si è sviluppato un sistema bipolare di relazioni internazionali chiamato «sistema di Yalta». Giuridicamente, il diritto internazionale ha continuato a riconoscere la sovranità assoluta di tutti gli Stati nazionali ma nei fatti le decisioni fondamentali sulle questioni centrali relative all’ordine mondiale e alla politica mondiale venivano prese unicamente in due luoghi: a Washington e a Mosca. […]
IL MOMENTO UNIPOLARE
Con il crollo di uno dei due poli (l’Unione Sovietica crollò nel 1991), anche il sistema bipolare è crollato. […] Pur riconoscendo de jure la sovranità, il mondo di Yalta era de facto costruito sul principio dell’equilibrio di due egemoni simmetrici e relativamente uguali. Con l’uscita di scena di uno degli egemoni, l’intero sistema ha cessato di esistere. […] Da questo momento, l’intera struttura dell’ordine mondiale è cambiata qualitativamente e in modo irreversibile. Il polo guidato dagli Stati Uniti e basato sull’ideologia liberale, democratica e capitalista, è un fenomeno tuttora in essere che negli anni ha continuato a diffondere, su scala mondiale, il proprio sistema socioeconomico fondato sulla democrazia, sul mercato e sull’ideologia dei diritti umani. Ci troviamo dunque di fronte ad un fenomeno che possiamo identificare precisamente come mondo, e ordine mondiale, unipolare. In seno al mondo unipolare vi è un unico centro decisionale riguardante le grandi questioni globali. L’Occidente e il suo nucleo, la comunità euroatlantica guidata dagli Stati Uniti, assume il ruolo di unica potenza egemonica. […]
Negli anni ’90 il mondo unipolare sembrava essere una realtà definitivamente consolidata, e alcuni analisti statunitensi hanno elaborato, su questa base, la tesi della «fine della storia» (Fukuyama). Questa tesi consisteva nell’idea che il mondo sarebbe diventato completamente omogeneo ideologicamente, politicamente, economicamente e socialmente, e che d’ora innanzi tutti i processi che avrebbero avuto luogo, non sarebbero stati più un dramma storico basato sullo scontro di idee e di interessi, ma piuttosto una competizione economica (e relativamente pacifica) tra attori del mercato, in modo simile a come viene costruita la politica interna dei regimi liberaldemocratici. Così, la democrazia diventa mondiale. Sul pianeta vi è solo l’Occidente e la sua periferia, composta dai paesi che gradualmente si integrano in esso. […] Pertanto, secondo Fukuyama, il tempo degli Stati nazionali è finito e il mondo è prossimo a un’integrazione completa e definitiva. L’umanità si sta trasformando in una società civile globale, la politica lascia il posto all’economia, la guerra lascia il posto al commercio, l’ideologia liberale diviene lo standard indiscusso e universalmente riconosciuto, e tutti i popoli e le culture si mescolano in un unico crogiolo cosmopolita. […]
LA CIVILTÀ COME ATTORE
Huntington obietta a questi punti da una posizione pessimistica. Secondo lui la fine del mondo bipolare non conduce automaticamente alla creazione di un ordine mondiale liberaldemocratico globale e omogeneo e, quindi, la storia non è finita ed è prematuro parlare della fine di conflitti e guerre. Il mondo ha cessato di essere bipolare, ma non è diventato né globale né unipolare. Esso ha una configurazione completamente nuova caratterizzata da nuove collisioni e scontri, tensioni e conflitti. Qui, Huntington arriva al punto più importante del suo ragionamento: egli avanza un’ipotesi del tutto valida e ancora oggi sottovalutata su chi sarà l’attore, il principale personaggio di questo mondo futuro. Egli chiama tale attore la civiltà.
Questo passo concettuale potrebbe essere considerato l’inizio di una teoria completamente nuova: la teoria del mondo multipolare. Huntington mette in luce un elemento centrale: identifica un nuovo attore, la civiltà, e al tempo stesso parla della molteplicità di questi attori, usando al plurale questa parola nel titolo del suo libro – Lo scontro «delle civiltà». […] Grazie a Huntington, otteniamo in prima approssimazione un quadro di una nuova teoria, la quale postula un modello in seno al quale coesistono diversi centri decisionali a livello globale nel campo delle relazioni internazionali, e ad ognuno di essi vi corrisponde una civiltà.
Ora è importante capire chiaramente cos’è una civiltà, e qual è il significato che assume questo concetto fondamentale per la teoria del mondo multipolare. La civiltà non è un concetto che appare in nessuna delle teorie delle relazioni internazionali, né positiviste né post-positiviste. Essa non ha nulla a che fare con le idee di Stato, regime politico, classe, rete, ecc. La civiltà è una comunità collettiva unita da una stessa tradizione spirituale, storica, culturale, intellettuale e simbolica (il più delle volte di matrice religiosa, anche se non necessariamente percepita come una particolare religione), i cui membri sono consapevoli di farne parte e di essere reciprocamente vicini, indipendentemente dalla loro appartenenza nazionale, di classe, politica e ideologica. […] La civiltà come concetto appare nella scienza storica, nella sociologia e negli studi culturali, ma nello studio delle relazioni internazionali è la prima volta che viene introdotto questo concetto.
La logica di Huntington, che ha avanzato l’ipotesi della civiltà nelle relazioni internazionali, è abbastanza chiara. […] Egli conclude che la modernizzazione e la democratizzazione, nonché le norme del liberalismo e del libero mercato, hanno attecchito solo nelle società occidentali, mentre tutti gli altri paesi hanno accettato queste regole del gioco sotto la pressione della necessità, senza tuttavia innestarle in profondità nelle loro culture, selezionando e prendendo in prestito pragmaticamente solo particolari aspetti della civiltà occidentale nel campo applicativo e tecnologico. Così, Huntington parla della «modernizzazione senza occidentalizzazione» diffusa nei paesi non occidentali, fenomeno che si verifica quando i rappresentanti delle società non occidentali prendono in prestito alcune tecnologie occidentali, cercando di adattarle alle condizioni locali delle loro società e molto spesso usandole contro lo stesso Occidente che gliele ha fornite. La democratizzazione e la modernizzazione delle società non occidentali quindi, alla luce di tale analisi, diventano ambigue e relative e, di conseguenza, non garantiscono i risultati che ci si aspetterebbe se non si tenesse conto del sostrato di questi processi. Più l’Occidente estende i suoi confini, inglobando in sé le società non occidentali, più questa ambiguità viene esacerbata e più diventa ampio il divario tra le regioni occidentali e quelle non occidentali, che ricevono nuove tecnologie e rafforzano il proprio potenziale preservando al contempo legami con le strutture della società tradizionale. Questa circostanza porta a riconoscere il concetto di «civiltà» come un concetto scientifico delle relazioni internazionali.
Le civiltà nella struttura delle relazioni internazionali del XXI secolo sono vaste aree spaziali che, sotto l’influenza della modernizzazione e con il supporto della tecnologia occidentale, consolidano la loro forza e il loro potenziale intellettuale, ma, invece di accettare pienamente il sistema di valori occidentale, mantengono organici e robusti legami con le proprie culture tradizionali, le proprie religioni e strutture sociali. Va notato che tali elementi tradizionali a volte sono in netto contrasto con quelli occidentali. Abbiamo visto come il collasso del campo socialista abbia caratterizzato questi processi e abbia fatto emergere questo stato di cose. In luogo di un’opposizione simmetrica tra Oriente e Occidente, compare un campo di tensioni in cui si confrontano diverse civiltà. Queste civiltà, oggi molto spesso divise dai confini nazionali, nel corso dei processi di globalizzazione e integrazione diventeranno sempre più consapevoli dei propri legami comunitari e agiranno nel sistema delle relazioni internazionali, guidate dai propri valori e da interessi comuni derivanti da questi valori. Come risultato dello sviluppo di questi processi e nel caso di una efficace «modernizzazione senza occidentalizzazione», otteniamo un quadro fondamentalmente nuovo degli equilibri di potenza su scala globale. Questa è precisamente l’immagine del mondo multipolare. […]
UN NUOVO PARADIGMA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI
L’ordine multipolare tende a riprodurre, su un’altra scala, il sistema westfaliano con le caratteristiche che lo contraddistinguono – sovranità, equilibrio di potenza, anarchia nell’ambiente internazionale, possibilità di guerra e di cooperazione pacifica – con la fondamentale differenza che gli attori d’ora in avanti non saranno più gli Stati nazionali, conformi al modello dello stato capitalistico europeo dell’era moderna, ma civiltà aventi una struttura interna totalmente indipendente, corrispondente alle tradizioni storiche e ai codici culturali di ognuna.
Un tale mondo sarà policentrico, nel vero senso della parola. Inoltre, l’equiparazione delle civiltà nell’ambito dell’ordinamento internazionale non presuppone affatto l’uguaglianza della loro struttura politica interna. In un tale sistema, le civiltà sono libere di organizzare le proprie società secondo le proprie preferenze, in base ai propri sistemi di valori e alle proprie esperienze storiche. Per alcune di esse, la religione giocherà un ruolo centrale, per altre potrebbero prevalere i princìpi del secolarismo. In alcune vi sarà democrazia, in altre vi saranno forme politiche di governo completamente diverse, o associate all’esperienza storica e alle caratteristiche culturali di una società, o scelte come più appropriate dalle società stesse. In contrasto con il sistema westfaliano, in un simile ordine mondiale non vi sarà un modello planetario di egemonia universalistica né uno standard vincolante per tutto il mondo. Così, in ogni società potranno essere promossi sistemi di valori generalizzanti propri di una determinata civiltà, comprese le nozioni di soggetto, oggetto, tempo, spazio, politica, uomo, conoscenza, scopo e significato della storia, diritti e doveri, norme sociali, ecc. Ogni civiltà aderisce ai propri precetti filosofici, e le civiltà non occidentali, naturalmente, faranno affidamento sui loro sistemi filosofici autoctoni, facendoli rivivere, perfezionandoli, trasformandoli o persino rinnovandoli, ma tutto ciò in condizione di totale libertà e nei termini consoni a ciascuna specifica società. […]
Da ciò è possibile trarre una conclusione importante: il mondo multipolare sarà uno spazio storico estremamente aperto, in cui la partecipazione attiva delle società alla creazione di un nuovo mondo, di una nuova mappa della realtà non sarà limitata da alcuna cornice esterna, alcuna egemonia, alcun riduzionismo o universalismo, alcuna norma prestabilita e imposta da un attore esterno. Una tale realtà multipolare sarà molto più composita, complessa e multidimensionale di qualsiasi intuizione postmoderna.
Il mondo multipolare è uno spazio di libertà storica virtualmente illimitata creato dall’uomo, libertà per i popoli e le comunità di costruire autonomamente il proprio destino.