8 Ottobre 2024
Politica

Teoria e prassi del collettivismo oligarchico – Roberto Pecchioli

Nell’intero corso del tempo sono esistiti al mondo tre tipi di persone: gli Alti, i Medi e i Bassi. Inizia così un libro nel libro, Teoria e prassi del collettivismo oligarchico, inserito da George Orwell nel suo capolavoro, 1984. Il testo è vietatissimo in quanto sarebbe l’opera ideologica di Emmanuel Goldstein, l’arcinemico del partito unico. Tuttavia Goldstein non esiste, è una creazione del potere, quindi Teoria e prassi del collettivismo oligarchico è un falso, una psyop (operazione psicologica) contro il popolo, una modalità per attirare, riconoscere e colpire i dissidenti. Non siamo distanti dal mondo di 1984. Siamo entrati davvero nel triste mondo del collettivismo oligarchico.

Che cosa sono, se non questo, il Grande Reset, la tabula rasa e il reinizio imposti dagli Illuminati di Davos con lo slogan raccapricciante “non avrai nulla e sarai felice”? La frase testimonia l’inversione cognitiva e linguistica cui siamo sottoposti. Vi è una torsione dei verbi ausiliari: la giusta lettura è “non sarai nulla e sarai felice”. Seconda inversione: la felicità associata alla mancanza, alla privazione. Klaus Schwab, il ciambellano degli onnipotenti, ha studiato a fondo Orwell. Il titolo del primo capitolo di Teoria e prassi del collettivismo oligarchico è “l’ignoranza è forza”, uno dei tre slogan che campeggiano sulla facciata del Ministero della Verità. Niente di più essenziale per il potere: maggiori sono le conoscenze tanto più si è preda di dubbi e contraddizioni.

Meno il popolo sa (i prolet di 1984, i Bassi di Goldstein o le masse cretinizzate contemporanee) più sarà pronto a comportarsi secondo i dettami del potere. Nella finzione orwelliana i prolet vivono in un’abiezione pressoché animalesca mentre i membri del partito – non i vertici, ovviamente – rinunciano volontariamente a ogni forma di pensiero critico attraverso l’adesione alle verità ufficiali, ossia – nel capovolgimento generalizzato – sono i massimi vettori alle menzogne propalate dai mille altoparlanti del potere. De te fabula narratur, il libro parla proprio di noi. Chi comanda conosce bene una riflessione di Arthur Schopenhauer: “ciò che il gregge odia di più è chi la pensa diversamente; non è tanto l’opinione in sé, ma l’audacia di pensare da sé, qualcosa che esso non sa fare.”

Siamo lieti di non avere/essere nulla, purché il Signore getti qualche briciola attraverso vassalli, valvassori e valvassini. Presto verrà spalancata la finestra di Overton dello stravolgimento delle abitudini alimentari: pancia mia fatti capanna di larve, blatte e farine di insetti. I ragazzi reclameranno la pizza con i grilli e le cavallette. Non solo lo chiede il Grande Fratello con incessante propaganda, ma è per la solita, ottima causa: l’ambiente. Chi non è più giovane, ricorderà una battuta-tormentone della trasmissione Drive In: la buga abbocca. La buga, o boga, è un pesce di scoglio facile da catturare e il comico, con il gesto del pollice sotto i denti, derideva le infinite forme della credulità umana.

Sì, l’ignoranza è forza, specie se accompagnata da un’impressionante capacità di assorbire come spugne – senza mai porsi domande – tutto ciò che viene propagandato dal potere. E’ scomparsa anche la tradizionale diffidenza dei semplici, che sapevano di non sapere e sentivano sulla pelle le fregature dei “signori”. Bastava qualche parolone incomprensibile – il latinorum degli Azzeccagarbugli di ogni tempo – o un discorso troppo elaborato per far scattare l’allarme tra chi non capiva e – istintivamente – subodorava la trappola.

Che dire delle ultime esternazioni di Klaus Schwab, Gran Maestro della montagna incantata di Davos, portavoce del Forum Economico Mondiale (WEF), secondo cui “le persone non hanno il diritto di possedere la propria auto. Puoi andare a piedi o condividere”, ossia noleggiare un’auto insieme a qualcun altro? Secondo il WEF, troppe persone sono proprietarie delle loro autovetture: la situazione deve essere corretta escludendoli dal mercato. Poiché alla vergogna non c’è fine – e soprattutto perché lorsignori sanno di parlare a un gregge allevato nell’ignoranza e nel pensiero unico (che, in ossequio all’inversione, può essere letto al contrario: un unico pensiero…) arrivano ad affermare che “la proprietà dell’auto privata è insostenibile e immorale nel mondo di oggi.”  Lezioni di sostenibilità da chi ha ammorbato il mondo e sfruttato sfacciatamente popoli e risorse naturali; richiami di moralità da parte di oligarchie corrotte sino al midollo, nel corpo e nell’anima. Ascolteremmo con maggiore interesse un elogio della continenza pronunciato da Cicciolina. Tant’è, la maggioranza è programmata per crederci.

Se in tempo di censura antirussa è ancora concesso citare in un sol colpo Aleksandr Solzhenitsyn e il grande Puskin (le cui opere vengono bruciate nella democraticissima Ucraina) ricorderemmo un monito dell’autore di Arcipelago Gulag: “se ancora una volta saremo codardi, vorrà dire che siamo delle nullità, che per noi non c’è speranza, e che a noi si addice il disprezzo di Puskin: a che servono alle mandrie i doni della libertà? Il loro retaggio, di generazione in generazione, sono il giogo con i bubboli e la frusta.”

Siamo pronti al collettivismo oligarchico, in nome dell’’inversione. La libertà è schiavitù, come nella distopia di Orwell. Un altro slogan era “la guerra è pace”, dunque è perfettamente normale dichiarare senza arrossire che per fermare la guerra in Ucraina occorre inviare più armi. Tanto muore qualcun altro e Black Rock – il gigantesco fondo speculativo che manipola da anni i prezzi dell’energia – si è già impadronito di quel che resterà dell’Ucraina.

E’ tutto “cosa loro”. Per noi una vita da servi della gleba, alla catena nel feudo del vassallo, senza neppure un mezzo autonomo per spostarci. E’ quel che vogliono; non dovrebbe essere difficile capirlo. Invece ci comportiamo come i montoni di Panurgo, che, nel Gargantua di Rabelais, si buttarono tutti a mare seguendo il primo di loro. Dunque, basta auto private, e già si fregano le mani le piattaforme che offrono il noleggio. Il Signore non ha questi problemi: presto raggiungerà Davos per l’incontro annuale degli amiconi con jet privati e deciderà i fatti nostri con l’ausilio di Amazon, Pfizer, Black Rock, Fbi (!!!), Soros, Bill Gates e compagnia brutta.

Il collettivismo è per noi, l’oligarchia sono loro. Vogliono la fine della proprietà privata diffusa, a cominciare dalle case d’abitazione. Infatti l’UE – uno dei cagnolini fedeli del Forum – impone ristrutturazioni costosissime per scopi energetici (l’ossessione green degli inquinatori globali) che metteranno in crisi il mercato e costringeranno molti a vendere a prezzi stracciati il bene più prezioso. Chissà chi comprerà. Aveva ragione Chesterton: il guaio del capitalismo è che ci sono troppo pochi capitalisti. I quali ci vogliono schiavi.

Per quanto riguarda i prezzi dei prodotti energetici, Davos assicura che sono troppo bassi. Devono salire alle stelle per scoraggiare l’uso libero di autoveicoli e fare da volano per la “loro” transizione energetica. Allo scopo, il guru con l’accento da Sturmtruppen sconsiglia fortemente (ossia vieta formalmente) ogni politica di aiuti e detassazioni, il che spiega il rifiuto del governo italiano (sovranista a parole) di alleggerire il carico delle imposte del settore, accise e IVA relativa, la tassa sulla tassa.  I prezzi dei combustibili fossili, secondo l’oligarchia, sono “sottovalutati”: non resta che strangolare gli utenti e tenerli al freddo nelle case non progettate nel modo giusto. Due piccioni con una fava: conseguono i loro obiettivi e fanno morire di freddo un po’ di gente superflua. Fa parte del progetto.

Nessun pessimismo, tuttavia. Viviamo nel migliore dei mondi possibili, il più libero, il traguardo finale della storia. Vale la pena, in tempi di ignoranza soddisfatta, ricordare Pangloss, il personaggio del Candido di Voltaire, il massimo illuminista?  Pangloss insegnava la metafisico-teologo-cosmoscemologia. Dimostrava in modo mirabile che il nostro è il migliore dei mondi. Il maniero che lo ospitava era il più bello dei castelli e la padrona di casa la migliore delle baronesse. “E’ dimostrato” diceva “che le cose non possono essere in altro modo: perché siccome tutto è creato per un fine, tutto è necessariamente per il migliore dei fini. Notate che i nasi son stati fatti per portar gli occhiali, infatti ci sono gli occhiali. Le gambe sono istituite per esser calzate, ed ecco che ci sono i calzoni. Le pietre sono state formate per essere squadrate, e per farne castelli, infatti monsignore ha un bellissimo castello; il massimo barone della provincia dev’essere il meglio alloggiato; e siccome i maiali sono fatti per essere mangiati, mangiamo maiale tutto l’anno”. Unica variante: oggi dobbiamo cibarci di insetti, più appetitosi dell’antiquato porcello.

Nel paradiso della libertà è obbligatorio il linguaggio “inclusivo”. Il Canada, laboratorio privilegiato della perfezione, si può essere costretti alla “rieducazione” (l’evidenza totalitaria sfugge per mancanza di neuroni) se si utilizzano pronomi personali errati. La legge C-16 protegge l’identità di genere punendo le violazioni con il carcere sino a due anni. Un celebre psicologo, Jordan Peterson, è stato condannato a seguire un corso di rieducazione verbale e mentale. Orwell era un dilettante. Niente automobile e casa di proprietà, ma possiamo cambiare “genere” o dichiararci appartenenti a uno qualsiasi dei venti e più “orientamenti sessuali” individuati dagli esperti (mah…) e pretendere l’arresto di chi si rivolge a noi in maniera incongrua con il nostro capriccio quotidiano.

Queste sono le priorità scelte per noi dal collettivismo oligarchico, una teoria diventata prassi. Quella che viviamo è una fulminea transizione neofeudale, senza il dovere del signore medievale di mantenere il servo in cambio di qualche corvè e della partecipazione alla guerra. Non abbiamo più diritto al libero spostamento – pensiamo al riuscito esperimento del passaporto vaccinale, detto green pass per darne un’idea positiva (verde, ossia libero). Ci tolgono la proprietà dell’automobile – per generazioni considerata una propaggine della casa – e ci tolgono con mezzi legali l’abitazione, che non potremo vendere se non sarà adeguata ai canoni imposti dal Signore. I chip sottocutanei sono a un passo e saranno diffusi a furore di popolo. Il capitalismo della sorveglianza  (e del collettivismo per i Bassi) ha vinto la sua guerra da quando abbiamo entusiasticamente affollato le reti sociali, dove tutto è in piazza, in cui forniamo spontaneamente ogni informazione personale, intima, economica, politica.

A che servono le elezioni, se una serie sterminata di vincoli esterni (BCE, UE, MES, FMI, NATO, OMS, ONU, WEF, infernali acronimi del Dominio) impediscono alla volontà popolare – se mai si manifestasse in termini antagonisti – di diventare norma? E, in Europa, come si possono cambiare le cose se gran parte delle leggi che scandiscono la nostra esistenza derivano da regolamenti (eufemismo da vita condominiale) emessi da una Commissione, un sinedrio non eletto, ratificati senza discussione – sono migliaia ogni anno – da un parlamento privo di potestà legislativa?

Naturalmente, tutto è legale, legalissimo. Ovvio: comandano loro. Quindi niente automobile, niente casa, infreddoliti, una vita da nomadi in affitto. Il giurista nazionalsocialista Ernst Forsthoff spiegò il significato che per i dominanti ha la legalità “Chi ha lo Stato, fa le leggi e, cosa non meno importante, le interpreta. Egli stabilisce che cosa è legale. La legalità è qualcosa di puramente formale e non significa altro se non che la volontà di un partito è diventata disposizione di legge. La legalità è il mezzo con cui colpire il nemico politico: dichiarandolo illegale, ponendolo fuori dalla legge, squalificandolo dal punto di vista morale e consegnandolo all’eliminazione per mezzo dell’apparato statale.“ Teoria e prassi del collettivismo oligarchico. Ah no, quelli erano nazisti.

1 Comment

  • Claudio Antonelli 15 Gennaio 2023

    In certi paesi, l’essere umano ha ormai il diritto di dichiararsi uomo o donna a prescindere dal sesso biologico in cui è nato. E se noi facciamo un uso sbagliato del vocabolario rivolgendoci o riferendoci a una tale creatura, incorriamo nel reato di transfobia. In Canada un tribunale ha stabilito che è contro la legge il “riferirsi a qualcuno (soprattutto se questi è transgender ossia transessuale) usando parole, pronomi o appellativi che non riflettono il genere nel quale la persona si identifica. L’azione può essere volontaria o accidentale”. Nella Columbia Britannica i proprietari di un ristorante (italiano) sono stati condannati a pagare 30.000 dollari di risarcimento perché i colleghi di una cameriera transgender usavano talvolta i termini sbagliati (parole, pronomi, appellativi), parlandole/gli. Rivolgersi a chi si sente maschio, ma è nato femmina, usando il pronome femminile è “offensivo, degradante, e riduttivo” ha stabilito il tribunale. Vi è ormai una crescente opposizione anche alla regola grammaticale che vuole che il maschile prevalga sul femminile. Ma non è tutto. Il termine “donna” è mal visto dai guardiani della “political correctness” che giudicano un tale termine restrittivo poiché trascura la varietà e la fluidità dei “generi”. La British Medical Association suggerisce di dire “persone incinte” invece di “donne incinte”. In uno scritto scientifico si è parlato del diritto delle “persone” (“people”) all’aborto. La rivista Lancet ha voluto significare che si può essere donna anche senza avere la vagina, ed è pertanto ricorso all’espressione “Bodies with vagina” al posto di “Women”, termine giudicato sessista. Ci si puo’, infatti, sentire donna senza essere donna… Io non credo di aver ben capito una tale logica. Ma evidentemente sono un maschilista, condizione che io temo costituirà ben presto un reato, qui in Canada, paese già post-nazionale grazie al suo multiculturalismo e dove trionfa un catechismo progressista che non fa che progredire.

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