11 Ottobre 2024
Saggio

Tirare dritto

Di Fabio Calabrese

Un essere umano, ciascuno di noi, è il prodotto oltre che di una certa conformazione genetica, delle esperienze che ha avuto nel corso della vita, e mi pare insensato voler negare l’una o l’altra cosa. Come avviene per i geni che formano il nostro DNA, così le esperienze della vita in cui possiamo imbatterci, sono a grandi linee simili ma differiscono da una persona all’altra nei casi concreti. In poche parole, spesso per capire una persona occorre conoscere la sua storia.

Una circostanza non marginale per capire il modo di pensare – che sembra offrire a molti motivi di sconcerto – di Fabio Calabrese, è il fatto che egli sia nato negli anni ’50, e di conseguenza sia arrivato negli anni ’70 alla scuola superiore, in quello che era forse il momento più “caldo” della cosiddetta contestazione studentesca. 

Io sono – e ne sono fiero – figlio di persone immigrate a Trieste dall’interno dell’Italia, pugliese il padre, toscana la madre, gente di estrazione fra il proletario e il piccolo borghese.

A me apparve subito chiara una cosa, che i contestatori distruggendo la scuola gentiliana, selettiva, che avevamo ereditato dal fascismo, stavano distruggendo un importante strumento di promozione sociale, e a farne le spese sarebbero state soprattutto le classi lavoratrici e i loro figli, cioè coloro che i contestatori “rossi” dichiaravano di voler beneficare, perché cacciata fuori dalla scuola, la selettività sarebbe rimasta affidata interamente a fattori molto meno giusti della capacità e del merito testimoniati dalla riuscita scolastica: classe sociale dei genitori, parentele, amicizie, raccomandazioni, tessere di partito, magari affiliazioni mafiose.

Quello che non sapevo e che ho scoperto un po’ più tardi, è che i contestatori erano in massima parte di estrazione alto-borghese e la loro azione tendeva a neutralizzare gli effetti della scolarità di massa combinata con la selettività gentiliana, e a riprodurre la collocazione sociale dei loro genitori; era un’operazione conservatrice abilmente mascherata da fermento rivoluzionario.

Con tutta probabilità, la prima lezione politica che ho appreso, è stata questa: non basta farsi chiamare “compagno” e sventolare una bandiera rossa per agire a favore delle classi lavoratrici, anzi è più probabile che le si stia gabbando.

I miei genitori erano persone semplici con un livello d’istruzione non elevato; mi hanno trasmesso o hanno cercato di trasmettermi un patriottismo profondo e buoni sentimenti cristiani, solo che io mi sono reso conto presto con un po’ di conoscenza storica, che erano due cose che non potevano e non possono stare assieme.

E’ innegabile che il cristianesimo ha avuto un ruolo centrale nel provocare il declino e la caduta dell’impero romano, e che il papato ha costruito uno stato proprio nel centro della nostra Penisola che per quindici secoli ha tagliato l’Italia in due e impedito l’unità nazionale; non solo, ma che per difendere il loro potere temporale, i papi sono stati sempre pronti a richiamare sul nostro suolo sempre nuovi invasori stranieri, da Carlo Magno a Napoleone III passando per Carlo d’Angiò.

Non basta, perché nella mia città, Trieste, che è rimasta avulsa dallo stato italiano fino al 1918, la Chiesa è stata nettamente dalla parte dell’Austria e degli Sloveni, mentre “italiano” era praticamente sinonimo di libero pensatore e anticlericale.

Evidentemente, nella mitologia giudeo-cristiana c’è un Popolo Eletto, gli Ebrei, ma c’è anche un Popolo Sfigato, e quel Popolo Sfigato – inutile illudersi – siamo noi, gli Italiani. A parte l’avversione che suscitano i suoi super-ipocriti presunti rappresentanti terreni, come si può credere a un Dio così parziale?

Questo insieme di considerazioni mi ha portato a ritenere, a capire che quelle che soliamo chiamare “destra” e “sinistra” rappresentano due opzioni politiche entrambe inaccettabili, due errori simmetrici.

“A sinistra” c’è un egualitarismo utopistico che il più delle volte si traduce in concreto in una prassi ferocemente oligarchica: non c’era/non c’è solo l’ipocrisia dei sedicenti contestatori: i “socialismi realizzati”, quelli passati come quello sovietico e quelli ancora disgraziatamente presenti come quelli cinese, nordcoreano, cubano, si sono sempre rivelati delle feroci tirannidi dove le classi lavoratrici e la gente comune non contano assolutamente niente.

“A destra” c’è il più delle volte la pura e semplice conservazione dell’esistente, quale esso sia.

Di tutto questo come di ogni altra forma dell’umana stupidità, sarebbe bello potersene semplicemente infischiare; purtroppo però le cose non sono per nulla così semplici.

Vent’anni o giù di lì sono pochi per un cambio profondo di mentalità, non fosse altro che per il fatto che ci sono moltissime persone la cui mentalità si è formata in altri tempi, e non possono adeguarsi a una situazione diversa nello stesso modo in cui si resetta la memoria di un computer.

Per un lunghissimo periodo, dal 1945 al 1991, dalla fine della seconda guerra mondiale alla caduta dell’Unione Sovietica, l’esigenza allora primaria della lotta al comunismo, ci ha di fatto imposto una lunga contiguità con ambienti “di destra” e conservatori, in realtà lontani da ciò che siamo o dovremmo essere, non meno di quanto lo sia la sinistra.

Le cose che dovremmo scremare, buttare nella pattumiera o nel water, sono in realtà tantissime, non solo il liberismo in politica economica, e il filo-americanismo, l’atlantismo del tutto anacronistico in politica estera (in base alla considerazione elementare che l’Unione Sovietica da cui la NATO sarebbe sorta per difenderci, non esiste più da un ventennio), ma più in generale la mentalità conservatrice per la quale l’eredità del passato andrebbe tramandata così come ci è pervenuta, senza nessun occhio critico per le sue evidenti contraddizioni.

“Dio, patria e famiglia”, tralasciando ovviamente il fatto che Giuseppe Mazzini, l’enunciatore di questa formula era considerato ai suoi tempi un sovversivo, per “Dio” i nostri buoni conservatori intendono l’ossequienza alla Chiesa cattolica.

Ma vogliamo scherzare? Forse richiamarsi all’alleanza fra trono e altare potrebbe avere un senso in una nazione con una storia come quella della Francia, ma non certo in Italia dove “trono”, stato civile e “altare”, intromissione clericale, si sono sempre combattuti senza esclusione di colpi, dove l’unità nazionale è stata realizzata contro i papi e la Chiesa cattolica.

Tuttavia il dissidio è indubbiamente più profondo: la Chiesa di oggi non è certamente quella del passato, e questo è un fatto che non riguarda solo l’Italia: con il Concilio Vaticano II è stata attuata non l’apertura al mondo moderno, ma al comunismo che allora la Chiesa pensava sarebbe uscito vincitore dal confronto della Guerra Fredda; in questo modo la Chiesa teneva fede alla sua tradizione di sempre: “Puttaneggiar coi regi”, stare dalla parte del vincitore, del più forte, anche, all’occorrenza, con voltafaccia vergognosi (o che sarebbero ritenuti tali con qualsiasi altro soggetto).

Per fortuna, per grazia di qualche divinità che verosimilmente non è quella apparsa a Mosè sul Sinai, in questo caso “lo Spirito Santo” ha preso una solenne cantonata.

 Si potrebbe andare oltre, perché quella che oggi ci si presenta come tradizione, è stata per secoli, dal primo al quarto dell’Era Volgare quanto meno, sovversione allo stato puro, qualcosa che è stato imposto prima al mondo romano-mediterraneo poi al resto dell’Europa con la violenza più brutale, violentando i popoli europei e le loro tradizioni native, qualcosa venuto da una terra estranea all’Europa e rimane incompatibile con lo spirito europeo, l’ha detto un papa, Pio XI: il cristiano è spiritualmente semita.

 Tradizione? Ma se significa qualcosa, deve comportare una selezione delle tradizioni, non è possibile accettare in blocco un passato che si contraddice. Io penso che tra ciò che noi siamo e il cristianesimo esiste un’incompatibilità profo
nda, totale. 

Tant’è, la cosiddetta “destra” sembra aver sviluppato l’arte di non vedere le contraddizioni ma di fare proprio in blocco tutto ciò che viene dal passato e, in ragione della contiguità sopra richiamata, si assiste alla bizzarra situazione per la quale persone che appartengono o credono di appartenere alla medesima “Area” si fanno portatrici di principi opposti: l’una o l’altra forma di neo-paganesimo oppure il cattolicesimo intransigente e “tradizionale” fino alla miopia di chi crede di essere ancora all’indomani del Concilio di Trento. “Fino alla miopia”, perché è chiaro, anche se costoro non vogliono rendersene conto, che da mezzo secolo la Chiesa ha preso una direzione del tutto opposta, e prima o poi dovranno piegarsi alla sua autorità o saltare il fosso e ritrovarsi fra gli eretici.

Nel frattempo, però, succede regolarmente che i miei scritti pubblicati su “Ereticamente” o in altre sedi provochino lo sconcerto dei “camerati” che sono anche “buoni cristiani”, per quanto a me come si possa nello stesso tempo essere “camerata” e “buon cristiano” non è dato di capire. Questo è ultimamente successo anche con l’articolo Miti e simboli del paganesimo e del cristianesimo che dopo essere comparso su “Ereticamente”, il 24 gennaio è stato ripreso sul sito di “Stampa libera” dove un certo Manlio (caso strano, o si celano sotto pseudonimi o non firmano mai con nome e cognome per intero), vi ha appiccicato il commento che vi riporto più sotto. Ora però sarà bene precisare una cosa, che “Stampa libera” abbia ripreso e  sottoposto al commento dei lettori il mio articolo su “Ereticamente” fa pensare a una collocazione quanto meno “di destra”, la stessa cosa, per quanto riguarda “Manlio”, il fatto che sia un lettore della stessa testata, oltre al suo anti-evoluzionismo e al suo anti-abortismo, ma le sue dichiarazioni pacifiste sono in contrasto con ciò; comunque sia, ecco il suo commento:   

“Come al solito si cerca sempre di denigrare il cristianesimo in conseguenza del comportamento delle varie organizzazioni religiose (in primis la chiesa cattolica) e dei suoi adepti. Ciò è deleterio e ingiusto.
Purtroppo, l’uomo, carnalmente portato a compiere azioni malvagie nei confronti di chicchessia, si è servito e si serve della fede (nella fattispecie di quella cristiana) per i suo scopi.

Il messaggio di Gesù è semplice e universale: amore, amore e solo amore per il prossimo. Chi non ha amore verso il prossimo, tutto è, fuorché cristiano, cioè seguace di Cristo e della Sua parola. Chi combatte i suoi simili; chi fa le guerre; chi accumula ricchezze ingenti; chi è perverso; chi è adultero; chi è abortista; chi, in sintesi, mette in atto azioni criminose nei confronti degli altri per assoggettarli ed arricchirsi (politici, petrolieri, banchieri ecc.), servono solo ed esclusivamente l’avversario di Cristo: satana.

Non ci sono prove storiche dell’esistenza di Gesù? I vangeli sono dei falsi? Poi dobbiamo credere a teorie folli e scellerate, non dimostrabili, tipo: il big-bang, l’evoluzione di Darwin ecc..

Smettiamola con queste ipocrisie.

Ci sono prove inconfutabili sull’esistenza del Cristo. Molti scrittori e scienziati atei [ne] confermano l’esistenza”.

Non è che il commento di “Manlio” sia particolarmente perspicace (e nel riportarlo ho sistemato qualche errore grammaticale), semmai l’utilità di rispondervi è data dal fatto che evidenzia bene una reazione o un modo di pensare assolutamente tipici.

L’idea che la dottrina di Cristo si identifichi semplicemente con l’amore verso tutti, non può che far sorridere chi non è proprio nato ieri. Non parliamo di quel che ha fatto la Chiesa, di quello che hanno fatto le Chiese nel corso dei secoli. Parliamo del principale della ditta, è stato certamente per amore che Gesù Cristo (prendendo momentaneamente per buono quel che è asserito dai vangeli) a chi gli chiedeva di beneficare delle sue arti taumaturgiche un romano, un sottouomo non-ebreo, rispose che “non bisogna gettare ai cani il pane per i figli”.

E’ certamente per amore non solo verso gli uomini ma verso tutte le forme viventi, che avrebbe fatto infestare dai demoni gli incolpevoli maiali di Gadara che sarebbero corsi ad annegarsi nel lago di Teberiade, e di sicuro lo stesso sentimento unito a un autocontrollo davvero divino, lo avrebbe spinto a maledire e far seccare un fico in cui non aveva trovato frutti perché non era la stagione. I Romani, in particolare non dovevano piacergli proprio, visto che la stessa insegna di quell’impero che aveva apportato civiltà e pace al mondo mediterraneo, l’avrebbe definita “la cosa disgustante”.

E’ certamente per amore e pura e semplice mitezza che avvenne l’episodio del Getsemani che doveva portare alla crocifissione, e che nonostante tutte le mistificazioni, i tagli e le interpolazioni successive, si lascia ancora leggere come il tentativo di una rivolta anti-romana: “Chi di voi non ha una spada, venda il mantello e se ne compri una”. Sempre amore, null’altro, avrebbe ispirato la cacciata violenta dal tempio di Gerusalemme dei “mercanti” che non erano, si badi bene, grossi uomini d’affari, ma poveri ba
ncarellai, venditori di souvenir come ancora oggi se ne trovano dappertutto attorno ai luoghi di culto.

Amore, saggezza, benevolenza l’avrebbero certamente ispirato a rivolgersi a chi non accettava la sua dottrina non con argomenti ma con insulti, “Serpenti, razza di vipere” e a promettere loro “pianto e stridor di denti”. Davvero, nella figura di Cristo come ce l’hanno tramandata i vangeli, non solo non vediamo nulla di divino, anche se probabilmente uno studioso come Silvano Lorenzoni ha esagerato nel definirla “mostruosa”, ma neppure quella saggezza che riscontriamo in uomini, che pure non hanno preteso di essere nulla più che tali, come Socrate o Buddha, e l’amore è palesemente una pura enunciazione teorica.

L’amore, sempre l’amore che vediamo così potentemente all’opera nella storia del cristianesimo e che, per limitarsi ai primi secoli, avrebbe ispirato un sant’uomo come Cirillo di Alessandria a far trucidare Ipazia in una maniera orribile, spinto i cristiani a creare Skytopolis, il primo campo di concentramento della storia, dove deportare, torturare, massacrare i pagani, la Chiesa cattolica a beatificare un brutale assassino quale era appunto Cirillo, ma non solo lui.

Ma questi cristiani, è il dubbio che viene, i vangeli li hanno mai letti, o sono i paraocchi della fede che non permettono di non vedere le più eclatanti incongruenze? Tuttavia è possibile che queste storie riflettano solo la mentalità degli estensori dei vangeli stessi, la cui storicità, vediamo tra un po’, è assolutamente dubbia.

E poiché stiamo parlando di amore, finiamola una volta per tutte con la retorica pacifista che abbonda negli ambienti cristiani e trasuda dal discorso di “Manlio”. Quello di chi combatte in difesa della propria terra, della propria casa, della propria famiglia, non è forse l’amore più alto e nobile?

Anche sulla questione dell’aborto, non mi sentirei di sottoscrivere in toto la posizione oltranzista del nostro “amico”. Vi sono casi, come quello di una gravidanza conseguente a uno stupro, in cui lo definirei raccomandabile, e sull’argomento vale la pena di menzionare un evento che ha recentemente sconvolto una nazione cattolica come il Messico, anche se da noi se n’è ovviamente parlato solo sui blog di internet. Un prete messicano ha stuprato e messa incinta una bambina di nove anni (raro, ma senz’altro meno impossibile dell’Immacolata Concezione); il vescovo locale ha scomunicato i genitori della bambina che l’hanno fatta abortire, mentre non risulta abbia ritenuto opportuno prendere provvedimenti di qualche specie nei riguardi del prete pedofilo e stupratore.

Sempre tenendo ben presente che la questione della storicità di Cristo e dei vangeli è tutt’altra cosa dall’asserire la divinità del primo e il carattere di rivelazione divina dei secondi, mi piacerebbe proprio sapere quali sono gli scienziati e scrittori atei che l’attestano. Ma anche se fosse, l’ateismo sarà sempre in svantaggio rispetto a noi nel criticare il cristianesimo, perché quello che ha da offrire in cambio di una fede sia pure mal riposta, si sintetizza in una sola parola: nulla.

Sono debitore di una breve risposta a un altro commentatore dell’articolo, tale “Gerog” (e firmare coi vostri veri nomi e cognomi, avere il coraggio delle proprie opinioni, proprio no?), che si stupisce che io dipinga Massimo Cacciari come un cattolico. Che lo sia Maurizio Blondet, deuteragonista dell’intervista-dialogo da me riportata, su questo non c’è ombra di dubbio; per quanto riguarda il filosofo-sindaco di Venezia, confesso di non aver approfondito fino in fondo il suo pensiero, tuttavia la chiusa dell’intervista, che io non ho riportato nel mio articolo, lascerebbe pochi dubbi:

“Anche contro la Chiesa il conflitto diverrà sempre più drammatico. Da una parte la Chiesa e l’Islam, e dall’altra una “etica” laicista sempre più occasionale, e nello stesso tempo sempre più radicalmente universale,  nella sua pretesa di essere l’unica valida”.

Purtroppo credo abbia ragione, [risponde Blondet]. Forse viviamo davvero sull’orlo dei tempi ultimi. Sappiamo che cosa aspetta i credenti: la  resistenza eroica al di là di ogni umana speranza, il martirio. La Chiesa  lo sa: è scritto nella sua tradizione.

“Lei, come cattolico, [conclude Cacciari] sa come finirà. Verrà l’Anticristo e trionferà, ma sarà sconfitto”.

Se queste non sono le affermazioni di un credente, non so che senso si possa dare alle parole. 

Occorre ribadire un concetto che, sebbene ovvio, sembra faccia una fatica spaventosa a penetrare in certe teste: la questione dell’esistenza storica di Gesù Cristo e della storicità dei vangeli è asimmetrica, nel senso che una volta accertata la non storicità dei vangeli, la pretesa degli stessi di essere “la verità rivelata”, “la parola di Dio”, verrebbe immediatamente a cadere, ma se anche la narrazione evangelica avesse appigli storici, ciò non servirebbe per nulla ad avvalorare il suo presunto carattere di rivelazione divina.

Ora, come è stato fatto più
volte notare, il I secolo dell’Era Volgare era, grazie alla “pax romana”, un’epoca altamente civile, e non sono mancati gli storici che ci hanno lasciato cronache dell’epoca anche molto dettagliate. Se in un angolo dell’impero era comparso un grande taumaturgo capace di attirare folle di migliaia di persone, trasformare l’acqua in vino, guarire gli storpi, i ciechi e i lebbrosi, addirittura di resuscitare i morti, è possibile che costoro non si siano accorti di nulla? O non si sono accorti di nulla perché non c’era nulla di cui accorgersi?

Il dibattito verte su quei pochi frammenti di scrittori antichi che menzionano o sembrano menzionare il cristianesimo prima di Costantino. Alcuni non significano praticamente nulla, come un passo di Tacito che racconta che Claudio allontanò da Roma gli Ebrei che tumultuavano per istigazione di un certo “Cresto”. Su altri ancora vi è il forte, fortissimo sospetto che si tratti di interpolazioni, cioè aggiunte fatte in epoca più tarda da pii falsari. Il più noto fra essi è il cosiddetto Testimonium flavianum, un passo che si trova nell’opera dello scrittore Giuseppe Flavio e rappresenterebbe la maggiore pezza d’appoggio della storicità dei vangeli. Giancarlo Tranfo (La corona di spine) ha dimostrato con argomenti che io trovo conclusivi, che si tratta di un’interpolazione, di un falso.

 Ma quand’anche così non fosse? Noi abbiamo molta maggiore certezza dell’esistenza storica di Karl Marx e di Sigmund Freud che di quella di Gesù Cristo. Forse che questo dimostra la fondatezza del marxismo o della psicanalisi?

Personalmente, tra la presunta “sacra” veridicità dei vangeli e l’essere gli stessi una costruzione interamente mitologico-letteraria, io propenderei per una tesi intermedia: l’ipotesi che mi sembra più verosimile è che la figura di Gesù Cristo sia stata modellata su quella del leader di una rivolta anti-romana (si chiamasse o no Joshua-Gesù, fosse o no soprannominato Masiah-Messia, in greco Christos, “Cristo”, cioè “l’unto”, “il consacrato”), una rivolta fallita che l’avrebbe fatto finire sulla croce, poi il colpo di genio, forse di Paolo di Tarso, che avrebbe trasformato la sconfitta e l’esecuzione in una auto-immolazione per la redenzione del genere umano, e una setta politico-religiosa ebraica in una religione universale. Questa ipotesi, lo si deve ammettere, spiegherebbe molte cose, a cominciare dall’ostilità dei Romani, di solito così tolleranti verso i culti delle popolazioni assoggettate, verso la nuova religione, ostilità che sarebbe motivata dal fatto che il cristianesimo sarebbe stato ab origine un movimento anti-romano.

La reazione fobica che il concetto di (o semplicemente la parola) “evoluzione” provoca nelle persone “di destra” dipende da un equivoco, si abbina erroneamente questo concetto a quello di “progresso”. Costoro sono probabilmente del tutto all’oscuro del fatto che le la legge della selezione darwiniana che dà un futuro ai più adatti e condanna senza appello i meno adatti e i meno riusciti, è informata di uno spirito che è l’esatto contrario del progressismo, del democraticismo, del sinistrismo, e via dicendo.

Mettendo in conto questa errata reazione emotiva, tuttavia possiamo distinguere fra un anti-evoluzionismo che rimane o vorrebbe rimanere nell’ambito scientifico e un creazionismo puramente fideistico, e al riguardo credo di poter dare a “Manlio” la stessa risposta che ho dato a suo tempo a Rutilio Sermonti nell’articolo Totalitarismo, evoluzione, stupidità (una risposta a Rutilio Sermonti) sul sito di “Ereticamente”:

“Se la stupidità non è dunque l’anti-evoluzionismo di per sé, in che cosa consiste? (faccio notare che nel mio articolo non avevo parlato di anti-evoluzionismo, ma di creazionismo, che non è la stessa cosa).

Ma ovviamente nel rifiuto di conoscenza e ragione in nome della piatta e letterale adesione a un vecchio testo mediorientale vecchio di tremila anni, nell’anti-intellettualismo in nome della cieca, irrazionale e spesso violenta “fede” che sembra il ritorno a un incubo del passato, ma non lo è, è piuttosto un altro sintomo dell’americanizzazione della nostra cultura. Da dove pensate che siano sbarcati anche da noi mormoni e testimoni di Geova e simili? E, badate bene, se oggi pieghiamo la testa di fronte alla bibliolatria americano-protestante, domani la piegheremo di fronte all’imposizione del corano.

Il creazionismo è disposto a qualsiasi mistificazione pur di “accordare” la scienza alle pastoie del testo biblico, ed è dunque un protagonista di primo piano della guerra contro la conoscenza, forse ancor più di quegli “scienziati” che cercano di negare una qualsiasi importanza alla base genetica umana, alle differenze fra gli individui e le razze per imporre obtorto collo il dogma democratico dell’uguaglianza (…).

Il problema non è quello di difendere a tutti i costi la teoria di Darwin, il problema è difendere l’immenso patrimonio culturale dell’Europa dall’americanizzazione e dal terzomondismo”.

Ciò che io trovo davvero pazzesco o, per usare la terminologia di “Manlio”, folle e scellerato, è il modo in cui taluni “destri” conservatori pretendono di conciliare l’inconciliabile: un rigorismo da più papisti del papa con l’acquiescenza a un’autorità che li sconfessa e li umilia (si veda il compromesso penoso cui si è piegata la cosiddetta “fraternità di san Pio X”), l’amor patrio con una Chiesa mondialista e schierata per il meticciato etnico, la tradizione europea con una religione sem
itica.

Di una cosa occorre rendersi conto: non è possibile essere espliciti senza dispiacere a qualcuno o a molti. Noi siamo molto lontani dal poter compensare la schiacciante superiorità numerica dei nostri avversari, e anche un eccesso di tolleranza verso gli eredi della controriforma, di coloro che hanno il cervello indietro di qualche secolo, non modificherebbe i rapporti di forza se non in modo trascurabile. Vale la pena di transigere sulle idee per ottenere un risultato simile? Non è meglio tirare dritto dando un esempio di coerenza, sempre disponibili al confronto, ma senza compromessi e tentennamenti?

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