Da tempo andiamo sostenendo che la filosofia potrà tornare ad acquisire la centralità intellettuale che aveva un tempo, a condizione che torni a mostrare ciò che l’ha connotata ab initio, vale a dire il lógos physikós, un pensiero centrato sulla potenza originante della Natura. Allo scopo ho dedicato un mio libro in uscita,
E’noto che Bruno si propose al proprio tempo in termini profeti, quale «Mercurio» annunciatore di un Nuovo Inizio del mondo: «Egli afferma di essere erede e restauratore della tradizione antica» (p. 10), e lo fa in termini espliciti, riscontrando la necessità di un ritorno alle origini del pensiero. La movenza epistrofica della sua teoresi è motivata dal tentativo di voler smascherare un errore annoso e perdurante, indotto, in termini filosofici, dalla marcia trionfale dell’aristotelismo e poi della scolastica e, in termini religiosi, dalla bestia trionfante, il cristianesimo. Egli fu figura epocale, a cavallo tra due età del mondo: per certi tratti, ricorda l’autrice, è giusto considerarlo il primo tra i moderni, ma rispetto al tema oggetto di indagine, è bene precisare che egli fu profeta di vetusta novitas, Mercurio di un antico futuro. La verità che il Nolano intende resuscitare a nuova vita, leggendo le suggestioni neoplatoniche dell’epoca in modalità autonoma ed originale: «è l’unità del Tutto, nonché l’infinità dell’Uno-Tutto universale» (p.10).
Egli, in molti luoghi delle opere, cita le fonti classiche, dimostrando di avere avuto la possibilità di consultarle fin dal periodo di noviziato, trascorso nel Collegio napoletano di S. Domenico, nella cui biblioteca si era formato, prima di lui, Tommaso d’Aquino. Qui, oltre a letture canoniche, Aristotele e la scolastica in primis, si intrattenne con autori eterodossi, da Erasmo alla variegata letteratura fiorita attorno ai testi ermetici. E’, quella in cui visse, l’epoca in cui vennero portati alla luce molti testi del mondo classico, a muovere dal lavoro di traduzione di Marsilio Ficino (Bruno non conosceva il greco), che ne favorì la ricezione tra i dotti dell’epoca. In ogni caso, è da tener in debita considerazione il fatto che l’esegesi dei testi classici passa in Bruno attraverso il prisma della visione ciclica della storia e del tempo. In tale prospettiva è leggibile in lui il Nuovo Inizio della philosophia perennis: «il passato è anche futuro essendo destinato a ripetersi secondo la legge della vicissitudine. La sapienza antica […] emergerà ancora , in un continuo erit» (p. 11).
La storia è costituita dal processo di decadenza, al quale fa inevitabilmente seguito la rinascenza. Bruno si propone, quindi, quale restauratore di una verità ontologica e cosmologica intuita dai presocratici: «l’infinità della materia-vita» (p. 11). Una verità elitaria, che non può essere da tutti compresa: «il Tutto comprende in sé la materia universale e le forme particolari, coincidendo con l’Uno stesso. Di conseguenza l’Uno-Tutto non può che essere infinito» (p. 12). Non si tratta, in fondo, che della ripresa della visione dionisiaca del mondo. Come ben seppe Giorgio Colli, i Greci con Zoé, l’essere eterno, e bioi, gli enti individuati, indicarono il gioco dionisiaco, la sua irrefrenabile potestas. Zaffino a lungo si sofferma nel presentare l’analisi bruniana dei presocratici. Rileva che, con Eraclito, il Nolano condivide l’affermazione dell’incessante divenire della Natura, mentre di Parmenide apprezza la dottrina dell’immutabile Uno. Egli riprende, in modalità unitaria, le tesi dell’uno e dell’altro. Grande importanza per la definizione del sistema bruniano hanno avuto anche le fisiche pluraliste di Empedocle, Anassagora e Democrito. Dal primo trae l’idea della pluralità degli elementi, dal secondo l’affermazione dell’infinità delle omeomerie. Infine, da Democrito, la nozione di atomo, il minimum ontologico di ogni realtà.
Rilevante anche l’analisi del contributo pitagorico in Bruno: «Proprio Pitagora […] pare essere fonte essenziale del connubio tra filosofia classica e pensiero mistico orientale» (p. 13). Lettore accorto del Timeo platonico, Bruno, sulla scorta del pensiero ellenistico, accoglierà, a differenza del grande ateniese, l’idea dell’infinità dei mondi. A ciò di certo contribuì l’incontro con le opere di Cusano, pensatore eclettico, trasversale a Platone e ad Aristotele che, attraverso i concetti di complicatio, explicatio e contractio, derivati dalla Scuola di Chartres, agì fortemente sulla cosmologia bruniana. Cusano, a differenza del Nolano, identifica l’Uno con la trascendenza di Dio, mentre il Nostro, rimase fedele ad una visione immanentista del principio. In lui: «Dio è insieme natura naturans e natura naturata» (p. 167). Il volume si chiude con la presentazione della lettura bruniana delle Enneadi di Plotino e con l’analisi della trasmissione delle fonti classiche nell’età tardo antica e medievale.
Questo studio di Zaffino è dunque estremamente utile al fine di avere effettiva contezza di quanto il pensiero antico agì nella formulazione della filosofia di Bruno e del Rinascimento. Significativo viatico lungo la via della riaffermazione del lógos physikós.
Giovanni Sessa