Di Fabio Calabrese
Riprendiamo la nostra disamina dell’infelice situazione del nostro continente stretto in una morsa le cui branche sono da un lato l’american-sionismo Usraeliano, dall’altro l’islam, e che soprattutto il più delle volte si dimostra inconsapevole di questa doppia minaccia.
Come vi ho detto concludendo la prima parte, rimane il problema di spiegare, per usare le parole del saggista Irmin Vinson, di cui abbiamo visto il rimarchevole scritto Ebrei, islam, orientalismo, a cosa si debba il “massiccio venir meno della volontà di sopravvivenza degli Europei” che permette a molti di ignorare questi fenomeni minacciosi.
Io vi ho già segnalato il nome di una persona il cui paziente lavoro merita i più ampi elogi, il nostro Luigi Leonini, la cui ricerca, documentazione e segnalazione di testi “nostri” ed estranei alla nostra “area” o di interesse scientifico comunque afferenti alla nostra Weltanschauung si dimostrano davvero preziose. Luigi, in genere, è piuttosto parco di osservazioni personali, che però si dimostrano originali e ben centrate. Recentemente, a questo riguardo, ha presentato un’interpretazione davvero suggestiva: noi sappiamo che nel mondo naturale esistono dei parassiti in grado di modificare il comportamento dei loro ospiti in modo tale che questi si espongano ai predatori e diffondano a questi ultimi il parassita da cui sono infettati, un esempio notevole è il toxoplasma gondii, un protista che modifica il comportamento dei topi rendendoli più facilmente preda dei gatti:
“Quando sento i discorsi della gente di sinistra e constato la solidarietà buonista verso allogeni invasori o deviati sociali cerco di spiegare a me stesso il perché di un comportamento così masochista. Che senso ha aiutare gente estranea senza alcuna garanzia di restituzione del favore? A che serve una cultura che ti spinge a dividere il tuo spazio e risorse e aumentare il pericolo criminalità? Ebbene la scienza ci da una possibile spiegazione con il caso di certi parassiti che infettando l’ospite ne modificano il comportamento. Forse il parassita è di natura culturale-religiosa. E’ indifferente alla sorte del portatore perché pensa alla sola sua riproduzione. Ma ritengo che la cultura prevalente nell’occidente cristiano si sia comportata come una malattia che riproduce se stessa intossicando e drogando il suo ospite primario. Fino a generare agenti patogeni così forti da portare a rischio estinzione la popolazione vittima”.
Naturalmente, non dobbiamo dare di ciò un’interpretazione troppo letterale; noi non abbiamo a che fare in questo caso con un parassita biologico riconoscibile, ma sappiamo che le unità d’informazione trasmesse culturalmente, che sono chiamate memi, possono funzionare alla stessa maniera dei geni. Il parassita in questo caso è il complesso memico cristiano-democratico-marxista.
Occorre, io penso, riguardo a ciò, chiarire la posizione e il ruolo del cristianesimo, un altro argomento riguardo al quale gli equivoci e le “pie” illusioni abbondano.
Che il cristianesimo sia una religione di origine mediorientale, non europea, distaccatasi da quella stessa matrice ebraica da cui è nato anche l’islam, e una cosa talmente evidente che non si può in nessun modo mettere seriamente in dubbio, anche se in questo campo i tradizionalisti cattolici si sono prodotti in incredibili esercitazioni di arrampicata sugli specchi nel tentativo di negare l’evidenza. Altrettanto innegabile è il fatto che i cristiani, da quando in Europa sono diventati potere in grado di imporre la loro ortodossia, si sono dati tantissimo da fare per distruggere in ogni modo e in tutti i suoi aspetti la tradizione autoctona europea, da loro chiamata (e, in quanto tale dileggiata) paganesimo.
Tuttavia, del pari occorre obiettivamente riconoscere che per un lasso non piccolo di secoli, il cristianesimo si è europeizzato, ed ha finito per diventare la bandiera della lotta europea contro l’invasione mediorientale-islamica, a Poiters come a Kosovo Polje, come a Lepanto. Se il cristianesimo oggi fosse ancora quello di allora, si potrebbe anche passare sopra alle sue contraddizioni e alle sue assurdità teologiche. Conoscere la verità è importante, ma sopravvivere viene prima. Tuttavia oggi il caso non è assolutamente questo.
Oggi il cristianesimo e le Chiese si rivolgono CONTRO i popoli europei in perfetta sintonia con il potere mondialista, sono diventati i più strenui paladini dell’accettazione dell’invasione, che sperano fornirà loro un “gregge” alternativo agli Europei che, meno pecore che nel passato almeno da questo punto di vista, sono oggi meno disponibili a farsi guidare dai “pastori” che raccontano loro la favola del Discorso della Montagna, senza contare naturalmente il fatto che poiché gli stessi Europei sono sempre meno disposti a indossare gli abiti talari, è sempre più fra le facce scure del Terzo Mondo che il clero recluta i suoi nuovi ranghi.
Oggi con le Chiese, a cominciare da quella cattolica, schierate sul fronte pro-immigrazione, dobbiamo prendere atto del fatto che il cristianesimo non è più utilizzabile come bandiera della resistenza europea all’invasione.
E allora ne faremo a meno. A combattere le guerre, a vincerle o a perderle, sono gli uomini, non le bandiere!
Quello che a mio parere è oggi uno degli studiosi più interessanti della nostra “area”, Silvano Lorenzoni, in appendice al libro La figura mostruosa di Cristo, ha riportato un saggio, La convergenza dei monoteismi, che andrebbe attentamente letto e meditato. Il ritorno del cristianesimo alle sue origini ebraiche, rigettando quella patina di europeizzazione che secoli di presenza in Europa gli avevano stratificato addosso, è un fatto sotto gli occhi di tutti, come lo è “l’apertura” verso le folle terzomondiste che oggi invadono il nostro continente. In questa prospettiva anche il drammatizzato “scontro di civiltà” (anche se per la verità si dovrebbe parlare piuttosto di uno scontro di barbarie) tra l’islam e gli Stati Uniti che, non scordiamolo, aderiscono alla forma di cristianesimo più fondamentalista e meno europea che si possa concepire, quella puritana-calvinista, che in effetti è un giudaismo mascherato ma quasi allo stato puro, è destinato a dimostrarsi niente altro che una baruffa in famiglia.
In La convergenza dei monoteismi, Lorenzoni riporta una dichiarazione di Sergio Viera De Mello, amministratore delle Nazioni Unite in Kosovo:
“Sergio Viera de Mello, amministratore delle Nazioni Unite nel Kosovo, ebbe a dichiarare il 4 agosto 1999: “ … i popoli razzialmente puri sono un concetto nazista. Proprio contro questo concetto hanno combattuto gli alleati nella seconda guerra mondiale … È per lo stesso motivo che la OTAN/NATO ha combattuto in Kosovo … per impedire l’insorgere di un sistema di purezza etnica”.
E’ un’affermazione che ci permette di capire molte cose: che i vantati motivi umanitari invocati per giustificare l’intervento della NATO contro la Serbia e a fianco dei mussulmani nella crisi della ex Jugoslavia, non siano stati altro che un pretesto risibile, è cosa che non si potrebbe dubitare neppure per un secondo.
Il pactum sceleris tra Stati Uniti e Arabia Saudita, l’appoggio dei Paesi arabi sedicenti moderati agli Stati Uniti contro l’Irak di Saddam Hussein, l’isolamento di quest’ultimo in cambio della creazione in Europa di una vasta area islamica, una scimitarra islamica puntata contro il cuore del nostro continente annientando o riducendo ai minimi termini la Serbia che si frappone fra le due regioni islamiche preesistenti, quella bosniaca e quella kosovara-albanese, oltre al controllo delle vie del traffico della droga, delle armi e del redditizio bestiame umano dei migranti, è di certo una motivazione di gran lunga più consistente, realistica e credibile, ma le parole di Viera De Mello ci permettono di capire che essa in realtà è solo un elemento di un piano di ben più vasta portata, volto a scardinare le basi etniche dell’Europa introducendo ovunque l’universale meticciato.
E’ raro che al tragico non si mescoli il ridicolo: nella società meticcia, “multietnica” che ci stanno disegnando e imponendo, il dato burocratico, fittizio della cittadinanza scritta sui documenti (come se la carta non si lasciasse scrivere a piacere) tiene il posto del ben più sostanziale concetto della nazionalità basato sulla continuità di sangue. Ecco quindi i “nostri” media angosciarsi e cercare di angosciarci con il fenomeno dei foreingh fighters (“combattenti stranieri”, perché le cose si possono dire anche in italiano), ragazzi nati in Francia, in Gran Bretagna, in Italia con la cittadinanza dei rispettivi Paesi europei scritta sui documenti, che vanno ad arruolarsi nell’ISIS o al Qaeda, a combattere per il fondamentalismo islamico. Ovvio, normale, poiché si tratta di ragazzi islamici di stirpe araba o magrebina, che semmai sconcertano tanto i buoni democratici perché dimostrano con chiarezza solare che l’idea che costoro possano essere dei “nuovi europei”, che l’identità possa essere data dall’ambiente, dall’apprendimento, dalla lingua, dalla cittadinanza intesa come dato burocratico scritto sulla carta, e NON dal sangue, è una sciocchezza ridicola.
Per parte nostra, direi, che se ne vadano pure a combattere in Medio Oriente, con il più sincero augurio da parte nostra di riuscire a trovare quel “martirio” a cui tanto anelano. L’importante sarebbe piuttosto di non permettere poi a costoro di rientrare in Europa portando con sé un bagaglio di esperienze tattiche che potrebbero usare per compiere atti di terrorismo.
Nella rappresentazione mediatica (“sacra rappresentazione”) che ci è proposta dai media, dalle voci di regime, e ovviamente del tutto fittizia, dello “scontro di civiltà” fra mondo islamico e un Occidente a guida USA (e Israele), l’aggressione NATO-islamica contro la Serbia appare un episodio anomalo e marginale, se non è semplicemente dimenticata; invece, a mio parere, come credo di avervi spiegato, è uno dei fatti chiave che ci consentono di capire quel che sta realmente accadendo, non solo, ma le conseguenze di questo atto vergognoso che fu per gli europei che da ascari coloniali parteciparono a questa invereconda alleanza, un vero atto suicida, e sulle quali il sistema mediatico si guarda bene oggi dall’informarci, si sono rivelate ben più gravi di quanto si immagini.
Oggi la situazione dei Balcani è drammatica, grazie all’operato della NATO in appoggio ai mussulmani (e non dimentichiamo mai che la NATO è un pupazzo in mano agli Stati Uniti, una FINTA alleanza che è in realtà un vassallaggio), sono tornati a essere la “polveriera d’Europa”, o meglio ancora il ponte della sottomissione all’islam del nostro continente in parallelo con l’invasione etnica portata dall’immigrazione. E’ quanto si desume da due drammatici reportage, il primo di Fausto Biloslavo di mercoledì 25 marzo da Sarajevo, pubblicato sul sito “Gli occhi della guerra” ( www.gliocchidellaguerra.it) e intitolato La Bosnia tra gli estremisti islamici e “l’invasione” di arabi e turchi; l’altro, dell’8 aprile è invece apparso su “Osservatorio terrorismo”, organo del CeSI, Centro Studi Internazionali, a firma di Veronica Castellano, ed è intitolato Bosnia e Kosovo: i rischi di un focolaio jihadista nel cuore dell’Europa.
“Per gli arabi la Bosnia è un punto d’ingresso dell’Europa nel cuore dei Balcani. E la presenza jihadista risale ai tempi della guerra di vent’anni fa. In Bosnia Erzegovina”, ci racconta Biloslavo, “Ci sono almeno 3000 estremisti islamici secondo le autorità di Sarajevo, ma la stima è al ribasso.
La presenza jihadista risale ai tempi della guerra di vent’anni fa che ha provocato oltre centomila morti, quando i mujaheddin provenienti addirittura dall’Afghanistan avevano formato un battaglione a Zenica.
Oltre all’estremismo salafita la Bosnia è infiltrata da una possente penetrazione araba e turca. Nell’ambasciata di Ankara c’è addirittura un consigliere religioso e non mancano i nuovi minareti pagati dai turchi. Mai come i sauditi, che hanno finanziato a Sarajevo la più grande moschea dei Balcani dedicata allo scomparso re Fahd.
La moschea è un centro wahabita, i duri e puri dell’Islam del regno del Golfo. Sulle bancarelle vendono il velo per le donne, copie del Corano, ma espongono pure con orgoglio la bandiera verde con la scimitarra dell’Arabia Saudita.
A Sarajevo gli sceicchi di Riad hanno investito nel più grande centro commerciale, Al Shiddi, aperto un anno fa. La pubblicità è di taglio occidentale, ma all’interno non si vende alcol.
Ad Ilidza, sobborgo della capitale, i ricconi del Golfo si sono comprati una collina con una trentina di villette bianche della società Ard Al Jazeera. Si fanno vedere ogni tanto con le donne velate di nero dalla testa ai piedi, che parlano solo arabo. I ristoranti si sono adeguati con i menù nella lingua del Golfo.
Per gli arabi la Bosnia è un punto d’ingresso dell’Europa nel cuore dei Balcani. Non a caso negli ultimi due anni i kuwaitiani hanno aperto 200 società a Sarajevo e dintorni”.
La Bosnia è diventata la testa di ponte dell’avanzata etnica, culturale, religiosa, economica dell’islam in Europa, grazie alla congiunzione dell’estremismo salafita coi petrodollari dei Sauditi.
Veronica Castellano sottolinea l’organizzazione militare degli islamisti bosniaci e la possibilità del focolaio bosniaco di estendere l’infezione ad altre aree, il Kosovo, l’Albania e altro ancora.
“I mujaheddin (chiamati Bosanski mudžahedini), guerriglieri musulmani di origine saudita, nordafricana, afghana e caucasica, in larga parte provenienti dall’esperienza della guerra contro le forze sovietiche in Afghanistan negli anni 80, si insediarono in Bosnia in cerca di una nuova jihad europea. Tra questi c’erano anche Nawaf al-Hazmi e Khalid al-Mihdhar, due dei 19 attentatori dell’11 settembre 2001, Khalid Shaikh Mohammed, ideatore dello stesso attentato alle Torri Gemelle, Abd al-Rahim al-Nashiri, coinvolto nell’attacco all’USS Cole. I combattenti stranieri, supportati dal governo saudita e tramite i canali illegali, fornirono armi ai bosniaks
L’inserimento dei mujaheddin nella settima brigata dell’Esercito Bosniaco (1993) fu il primo passo di un processo di integrazione culminato, nel dopoguerra, con l’insediamento sul territorio e la formazione di comunità musulmane salafite-wahabite, intolleranti nei confronti del tradizionale moderato Islam balcanico. Un Islam, quest’ultimo, ritenuto troppo corrotto e vicino ai costumi occidentali per i mujaheddin, che al termine degli scontri reindirizzarono la propria missione verso la ‘purificazione’ degli stessi musulmani che avevano difeso in guerra e verso la creazione di un califfato globale di origine wahabita.
Alcune delle zone che attualmente ospitano comunità di orientamento salafita in Bosnia sono i villaggi di Bihac (al confine settentrionale con la Croazia), Teslic, Zepce, Zenicae (nella zona centrale del Paese), Gornja Maoca e la città nord-orientale di Tuzla. Tali comunità rifiutano di collaborare e riconoscersi nella principale organizzazione islamica bosniaca, la Islamiska Zaidenica, e vivono secondo una interpretazione ultra-conservatrice e draconiana della Sharia, senza telefoni o televisori, mandando i bambini in scuole Coraniche (piuttosto che scuole pubbliche) e seguendo i sermoni di imam estremisti.
Il Kosovo, la più giovane repubblica europea, autoproclamatasi indipendente nel 1999, ha cominciato ad assumere un ruolo fondamentale nell’ambito delle attività jihadiste nel Balcani. La moschea di Pristina e quella della città di Mitrovica, 40 km più a nord, sono considerate tra i principali centri di reclutamento in Kosovo, insieme al partito LISBA (Islamic Movement to Unit), guidato da elementi salafiti. Io LISBA, formato nel 2013, sarebbe connesso non solo ai gruppi vicini ai Fratelli Musulmani in Bosnia, Albania e Macedonia, ma anche alle reti di miliziani in partenza per la Siria.
In Kosovo come in Bosnia, la diffusione dell’Islam radicale si è spesso materializzata nella costruzione, attraverso finanziamenti sauditi, di centinaia di moschee wahabite e nella distruzione di altrettante chiese cristiane e monasteri.
Spinte alla radicalizzazione che vedono pienamente coinvolta anche l’Albania, dove nell’aprile 2014 sono stati arrestati Genci Balla e Bujar Hysi, imam di due moschee di Tirana non riconosciute dalla Comunità Musulmana Albanese, per incitamento a unirsi a Jabhat al-Nusra. Tra le vittime del conflitto in Siria vi sono Anri Maliqi, frequentatore della moschea di Balla nella periferia povera di Tirana, e Idajet Balliu, prima organizzati nelle Brigate paramilitari di Farouq, poi confluiti nel Fronte di al-Nusra e infine arruolati da IS nelle città di Ar-Raqqah e Aleppo.
Solo dallo scorso giugno, mese in cui i militanti islamici di IS hanno conquistato Mosul, la seconda città più grande dell’Iraq, circa 500 foreign fighters balcanici si sono uniti al fronte siriano.
L’esperienza bellica e il know how acquisiti dai jihadisti balcanici in Siria ed Iraq potrebbero aumentare il livello di rischio nel Vecchio Continente, spingendo i jihadisti rientrati a compiere attentati nei luoghi di origine o verso obbiettivi strategici europei”.
Al di là del pericolo rappresentato dalla possibile azione di gruppi terroristici, noi potremmo anche non interessarci del fatto che sempre più chiese e monasteri sono abbattuti per essere sostituiti da moschee o si trasformano in moschee, se non si trattasse del fatto che il fenomeno non è circoscritto ai Balcani ma si sta estendendo a tutta l’Europa e, al di là della religione, questo è il simbolo visibile del contrarsi e ritirarsi delle etnie europee sotto la pressione dell’invasione allogena.
Oggi l’attacco contro l’Europa è doppio: mentre l’americanismo e la globalizzazione minano dall’interno demolendo le resistenze psicologiche all’invasione, l’islam fondamentalista è la minaccia “esterna” ormai largamente insediata sul suolo europeo.
Prepariamoci alla lotta senza quartiere per la difesa della nostra identità. Su entrambi i fronti.