Questo è il testo della presentazione dei miei libri Alla ricerca delle origini e Ma davvero veniamo dall’Africa? da me tenuta presso l’Associazione culturale “Le pecore nere di Trieste” il 7 febbraio 2025.
Vorrei precisare che il nome di questa Associazione non vuole avere, come forse sembrerebbe, un esplicito significato politico. Nata come centro di resistenza alle vaccinazioni obbligatorie al tempo del COVID, ha poi allargato la sua attività a svariati ambiti culturali.
Questi due libri sono il frutto di anni di ricerche condotte al di fuori dell’ambiente accademico e di qualsiasi teoria precostituita sul tema delle nostre origini, e in entrambi mi sono trovato a sfatare, o perlomeno più modestamente a scontrarmi frontalmente con un pregiudizio diffuso negli ambienti accademici e nel sistema educativo e mediatico, presentato come un dogma indiscutibile, il che fa di me indubbiamente una pecora nera da ben prima del nostro incontro.
Nel primo testo, Alla ricerca delle origini, il dogma che metto in discussione, è quello dell’origine mediorientale della civiltà. Con il secondo, Ma davvero veniamo dall’Africa?, scendo ancora più indietro nel tempo e metto in discussione la presunta origine africana della nostra specie.
Per quanto riguarda il primo di questi due testi, devo dire che gli elementi che suggeriscono una precoce civilizzazione dell’Europa e una priorità rispetto al Medio Oriente, contrariamente a quanto ci hanno sempre insegnato, sono innumerevoli, dalla tolleranza al lattosio tipica delle popolazioni europee che rivela la precocità dell’allevamento bovino e l’utilizzo di questa nuova fonte alimentare, alla lavorazione dei metalli.
Il più antico strumento metallico conosciuto è l’ascia di Oetzi, l’uomo del Similaun, e la più antica miniera con segni di sfruttamento è quella di Rudna Glava nella ex Jugoslavia, alla scrittura, la più antica conosciuta è la scrittura del Danubio presente sulle cosiddette tavolette di Tartaria ritrovate nel sito di Turda in Romania appartenente alla cultura Vinca, più antica di almeno mille anni dei più antichi pittogrammi sumerici, ma la prova regina è probabilmente rappresentata dai complessi megalitici che non sorgono solo sulle Isole Britanniche, ma in tutta Europa, Italia compresa. I più noti sono il triplice cerchio megalitico di Stonehenge, più vecchio di ottocento anni delle piramidi di Giza, e la tomba neolitica di Newgrange in Irlanda, il più antico edificio giunto intatto fino a noi, che è ancora precedente.
Vorrei, a questo riguardo, sottoporvi un brano di Colin Renfrew, il ricercatore recentemente scomparso, che è considerato il più eminente archeologo della nostra epoca.
“Molti di noi erano convinti che le piramidi d’Egitto fossero i più antichi monumenti del mondo costruiti in pietra, e che i primi templi fossero stati innalzati dall’uomo nel Vicino Oriente, nella fertile regione mesopotamica. Si riteneva anche che là, nella culla delle più antiche civiltà, fosse stata inventata la metallurgia e che, successivamente, le tecnologie per la lavorazione del rame e del bronzo, dell’architettura monumentale e di altre ancora, fossero state acquisite dalle popolazioni più arretrate delle aree circostanti, per poi diffondersi a gran parte dell’Europa e del resto del mondo antico (…).
Fu quindi un’enorme sorpresa quando ci si rese conto che tutta questa costruzione era errata. Le tombe a camera megalitiche dell’Europa occidentale sono ora considerate più antiche delle piramidi e sono questi, in effetti, i più antichi monumenti in pietra del mondo, sì che una loro origine nella regione mediterranea orientale è ormai improponibile (…) Sembra, inoltre, che in Inghilterra Stonehenge fosse completata e la ricca età del Bronzo locale fosse ben attestata, prima che in Grecia avesse inizio la civiltà micenea (…) Le nuove datazioni ci rivelano quanto abbiamo sottovalutato questi creativi “barbari” dell’Europa preistorica, i quali in realtà innalzavano monumenti in pietra, fondevano il rame, creavano osservatori solari, e facevano altre cose ingegnose senza alcun aiuto dal Mediterraneo orientale (…) Si verifica tutta una serie di rovesciamenti allarmanti nelle relazioni cronologiche. Le tombe megalitiche dell’Europa occidentale diventano ora più antiche delle piramidi (…) e, in Inghilterra, la struttura definitiva di Stonehenge, che si riteneva fosse stata ispirata da maestranze micenee, fu completata molto prima dell’inizio della civiltà micenea (…) Quell’intero edificio costruito con cura, comincia a crollare, e le linee di base dei principali manuali di storia devono essere cambiate”.
Bisogna però notare che questo brano è stato scritto nel 1973, e della rivoluzione che il radiocarbonio e la dendrocronologia avrebbero dovuto introdurre nella nostra concezione della storia antica, non si è vista traccia. Il conservatorismo degli ambienti accademici ha prevalso, almeno finora.
Nel mio testo ho seguito lo stesso schema di presentazione che ho usato in una serie di conferenze che ho tenuto in questi anni al festival celtico Triskell, sono cioè partito dall’analizzare il complesso megalitico di Stonehenge, per poi allargare il discorso alle Isole Britanniche, quindi al continente europeo, per poi restringerlo di nuovo, dedicandomi all’Italia e poi al nostro Triveneto. La nostra regione, tra l’altro ospita uno dei più notevoli monumenti megalitici, anche se devo ammettere di averlo appreso successivamente alla pubblicazione del libro, e non lo trovate menzionato qui, ma nell’aggiornamento della tematica megalitica che trovate in Ma davvero veniamo dall’Africa?. Si è scoperto che il colle del castello di Udine è in realtà una collina artificiale, un mound risalente all’Età del Bronzo, come quello inglese di Silbury Hill, solo di dimensioni molto maggiori, il più vasto in Europa.
Ho poi dedicato alcuni capitoli al Medio Oriente e all’Egitto, dove le mummie faraoniche rivelano, grazie anche all’analisi del DNA insospettate caratteristiche europee, e lo stesso si può dire dei resti, anche se in questo caso molto più frammentari, delle élite mesopotamiche, il che fa supporre non un’influenza del Medio Oriente sull’Europa, ma esattamente il contrario, poi all’Asia orientale e alle Americhe, e anche qui, all’origine delle civiltà antiche e precolombiane, troviamo un’inattesa presenza bianca.
Ma davvero veniamo dall’Africa?, ha una struttura alquanto differente, infatti è composto da una serie di saggi relativamente indipendenti. Quello che dà il titolo al volume e riguarda appunto la questione delle presunte origini africane della nostra specie, è in ultima analisi, parte di un discorso più ampio, i cui fondamenti trovate soprattutto nel saggio Scienza e democrazia. In molti ambienti di tutto ciò che possiamo chiamare genericamente “la destra” politica e culturale troviamo un atteggiamento spesso fortemente antiscientifico, indubbiamente giustificato dal fatto che tutto l’apparato intellettuale della cosiddetta “scienza” democratica appare come una serie di armi puntate contro questa visione del mondo, dall’economia marxista alla psicanalisi, allo strutturalismo della Scuola di Francoforte, all’antropologia culturale, alla negazione dell’esistenza delle razze umane, fino, appunto, alla “teoria” dell’origine africana della nostra specie.
Da qui, la ricerca da parte di molti, di alternative quali un presunto sapere soprarazionale, l’esoterismo, lo spiritualismo e altre strade che a mio parere non portano a nulla, perché vorrebbero prescindere dall’interazione reale col mondo reale.
A mio parere, tutto ciò nasce da un enorme malinteso, infatti la “scienza” democratica – le virgolette sono assolutamente d’obbligo – non è per nulla scienza, se con questa parola intendiamo il metodo galileiano di indagine del reale attraverso esperimenti, teorie formulate sulla base di essi e poi di nuovo messe alla prova attraverso ulteriori esperimenti e osservazioni, bensì ciarlataneria, fuffa, imbroglio.
L’esempio più paradigmatico di ciò, è probabilmente la psicanalisi, e al riguardo mi rifaccio all’ottimo libro di Michel Onfray Il crepuscolo di un mito, smascherare le favole freudiane. Nella psicanalisi non c’è nulla che possa garantire un minimo di scientificità, non esperimenti, protocolli seri e non falsificati, trasformati in pura aneddotica manipolata, tanto meno guarigioni accertate invece della perpetua dipendenza del paziente dal terapeuta, ma solo la parola del guru Sigmund Freud.
Dell’economia marxista non varrebbe nemmeno la pena di parlare, tanto è evidente che, dove sono state applicate le ricette di Marx, queste non hanno portato ad alcun miglioramento delle condizioni dei popoli assoggettati, ma solo a un incremento esponenziale della miseria, oltre alla cancellazione di qualsiasi libertà politica.
L’antropologia culturale di Levi Strauss – Claude, non quello dei jeans – si fonda sul dogma del rifiuto di distinguere tra le conoscenze e gli usi, il che significa che non c’è alcuna differenza fra la scienza e la filosofia europee, e i balbettii di uno stregone africano, e per conseguenza tra il Partenone e una capanna di frasche, tra la Gioconda e una bambolina vudu, ma di esempi se ne possono fare molti altri ancora, e nel mio testo ne trovate un bel po’.
La “teoria” dell’origine africana, o come si dice nel gergo anglicizzato oggi di moda, l’Out of Africa, rientra appunto in questo contesto. Come ha rilevato lo storico australiano Greg Jefferys:
“Tutto il mito dell’Out of Africa ha le sue radici nella campagna accademica ufficiale negli anni ’90 intesa a rimuovere il concetto di razza. Quando mi sono laureato, tutti passavano un sacco di tempo sui fatti dell’Out of Africa ma sono stati totalmente smentiti dalla genetica. (Le pubblicazioni) a larga diffusione la mantengono ancora”.
Questo ci dice parecchie cose, a cominciare dal fatto che una teoria nata da esigenze ideologiche e totalmente smentita dalla genetica, continua a essere sostenuta dal sistema mediatico, la cui dipendenza dal sistema di potere non sfugge a nessuno. Già questo è sufficiente per sentire puzza di bruciato, ma se andiamo a vedere le cose più da vicino, le sorprese non mancano.
Per prima cosa, non è una teoria, ma due che si nascondono dietro una quasi omonimia, l’Out of Africa I e l’Out of Africa II.
La differenza fra l’Out of Africa I e l’Out of Africa II sembrerebbe di poco conto, invece è sostanziale, ed è proprio questo che la somiglianza terminologica serve a nascondere.
La differenza fra le due teorie è che secondo la prima, l’uscita dall’Africa sarebbe avvenuta a livello di Homo erectus centinaia di migliaia di anni fa, mentre per la seconda questa uscita dal Continente Nero si sarebbe verificata qualche decina di migliaia di anni fa da parte di un Homo già sapiens.
Sembrerebbe una differenza di poco conto, e invece è essenziale, perché, mentre la prima non ci dice nulla sulle differenze razziali, dal momento che riguarda quello che si ritiene sia il predecessore della nostra specie, la seconda serve a negare l’esistenza delle razze umane, fa parte dell’armamentario ideologico del dogmatismo dell’ortodossia democratica a questo riguardo, e la mancata distinzione delle due serve precisamente a nascondere i “buchi” e le contraddizioni della seconda dietro la relativa plausibilità della prima.
L’Out of Africa II incontra subito una difficoltà. Circa – diciamo – centomila anni fa, il Vecchio Mondo era popolato da varie popolazioni umane che i paleoantropologi classificano variamente come pre-sapiens o sapiens arcaiche e, caso strano, le troviamo soprattutto in Europa. L’uomo di Neanderthal è l’esempio più noto, ma possiamo ricordare Swanscombe in Inghilterra, Steinheim in Germania, Petralona in Grecia, Ceprano e Monte Circeo in Italia. Che fine hanno fatto? Possiamo pensare che si siano graziosamente estinte di loro iniziativa per lasciare il posto al nuovo venuto africano? Dato che all’epoca non esistevano né marxismo né cristianesimo a rimbecillire la gente, la cosa non è certamente credibile. Certo, possiamo pensare che sia stato appunto il nuovo venuto africano a sterminarle, ma sicuramente ciò non fa fare una figura molto bella a una “teoria” creata apposta per indurci ad accettare l’immigrazione e la sostituzione etnica.
Per uscire dall’impasse, qualcuno ha avuto un’idea che possiamo definire brillante, addirittura geniale. Come sappiamo, l’Indonesia che si trova nel cuore della “cintura di fuoco” dell’Oceano Pacifico è la regione più vulcanica al mondo. Nel nord dell’isola di Sumatra che è la maggiore dell’arcipelago indonesiano, si trova un lago, il lago Toba, che in realtà copre una vasta caldera vulcanica. Sembra che in un’epoca stimata fra i 70 e i 50.000 anni fa, questo vulcano abbia prodotto un’eruzione di portata molto ampia, maggiore di quella del Krakatoa avvenuta nel XIX secolo, al punto che ceneri vulcaniche prodotte da questa eruzione sarebbero state trovate, ad esempio in India.
Ecco la risposta! I sostenitori dell’origine africana della nostra specie hanno ipotizzato che quest’eruzione avrebbe, disseminando enormi quantità di ceneri nell’atmosfera, provocato qualcosa di simile a un inverno nucleare che avrebbe portato all’estinzione tutti i gruppi umani allora esistenti, tranne un pugno di superstiti africani da cui tutti noi discenderemmo.
Peccato solo che questa ipotesi sia, più che inconsistente, ridicola. E’ mai possibile che una catastrofe planetaria porti una specie – la nostra – sull’orlo dell’estinzione senza lasciare segni visibili sul resto della flora e della fauna?
Ma non basta: come dice il proverbio, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Qualche tempo dopo la formulazione di questa brillante ipotesi del vulcano Toba, sempre in Indonesia, nell’isola di Flores sono stati ritrovati i resti di alcuni piccoli uomini denominati Homo Floresiensis o più familiarmente hobbit come i personaggi del Signore degli anelli di Tolkien.
Non si tratterebbe di sapiens ma di una forma nana (nanismo insulare) di erectus, quindi di origine molto antica, e sarebbero vissuti sulla loro isola che su scala planetaria si trova a un passo dall’epicentro della presunta catastrofe globale, fino a 20.000 anni fa, quindi fino a ben dopo 30-50.000 anni dopo quest’ultima che li ha lasciati indisturbati.
Nel tentativo di salvare l’ipotesi del vulcano Toba e con essa l’Out of Africa, alcuni “scienziati antirazzisti” (chiamiamoli così, sebbene mi sembra quasi un ossimoro) sono giunti a ipotizzare che non si trattasse di erectus ma di sapiens affetti da sindrome di Down. Qui sono stati decisamente varcati i limiti del ridicolo: Un’intera popolazione di Down, e perché non di ciechi o di paraplegici?
Cari piccoli hobbit, per dirla con Tolkien, che costituiscono la prova se non proprio vivente, perlomeno vissuta, della falsità dell’ipotesi del vulcano Toba e hanno dato un memorabile scrollone all’Out of Africa.
NOTA: Nell’illustrazione, il logo dell’Associazione Culturale Le Pecore Nere fra i miei testi Alla ricerca delle origini e Ma davvero veniamo dall’Africa?