Primo novembre 1972, Venezia. Giorno di Ognissanti. Pochi coloro che in barca o vaporetto seguiranno il feretro all’isola di San Michele, dove viene sepolto vicino alle tombe del compositore Igor Stravinskij e del creatore dei Balletti russi Serge Djaghilev, che in vita collaborarono a portare la danza classica al massimo splendore. Nel 1940 (il nazista) Walt Disney inserì il balletto La sagra della primavera di Stravinskij nel film d’animazione Fantasia: dalla formazione della Terra all’estinzione dei dinosauri (parabola, a mio avviso, di quell’ombra che segna la fine di un’epoca, dalle grandi figure del XX secolo all’`ultimo uomo´ di nietzschiana memoria). In buona compagnia, sebbene si racconti come la madre gli imponesse di imparare a suonare il pianoforte e che egli si vendicasse imponendo, a sua volta, l’ascolto di un suo personalissimo strimpellare assordante e stonato. Poi, sbattendo la porta, si sdraiava sui prati ad ascoltare il silenzioso crescere degli steli d’erba… da cui raccolse quell’armonia del verso che è nient’altro un insieme di note musicali tradotte in parole. Come Nietzsche e il passo lieve di danza del dio Dioniso. Egli, il poeta, dichiarato pazzo da una giuria puritana ed ipocrita USA; il filosofo folle nell’amata Torino ad abbracciare un ronzino…
Sto parlando di Ezra Pound. A quarantadue anni dalla morte (di cui il mio osservatorio sul mondo, cioè il tanto vituperato e usato FB, mi dice che nessuno o quasi se n’è ricordato forse perché, segno dei tempi – il divenire annichilisce l’essere ed entrambi scompaiono nell’insignificanza –, altri dal medesimo nome si sono appropriati – legittimi o meno, nulla conta – della scena odierna).
Ho scritto di certo e sovente della costa romagnola, di Rimini e di Riccione (dall’inizio del Novecento la mia famiglia aveva ereditato una villetta stile liberty dove ho conosciuto l’infanzia in bicicletta imparando a nuotare e costruire castelli d sabbia, di cui ho conservato consuetudine; l’adolescenza con la prima comica disastrosa esperienza sessuale con una ragazza di Berlino su un pattino o moscone che dir si voglia; e la giovinezza irridente e irriverente di cui mi sono fatto vanto e divisa. E ho scritto di certo e sovente del Tempio Malatestiano, Rimini, della cappella contenente il sarcofago dedicato a Ixotta, da alcuni considerata una prostituta di lusso, ma certamente la donna amata dal duca Sigismondo Malatesta (`il miglior perdente della storia´, come lo definì Pound ) che ne fece la sua amante prima e terza moglie poi senza alcun fine o interesse. E, sul sarcofago in marmo, il cartiglio con la scritta tanto cara appunto a Pound `Tempus loquendi Tempus tacendi´. La vita è parola; la morte silenzio… anche se – Nietzsche riconosceva che `l’oggi appartiene alla plebe´ – visto il malo presente, forse sarebbe più opportuno ascoltare la voce dei morti di stagioni eroiche, da cui traemmo la radice del nostro essere, e coltivare un `oceano di silenzio´ a difesa se non a sfida. D’altronde – è Juenger a scriverlo – nell’età del nichilismo `il proprio petto… ognuno… conduce da solo e in prima persona la sua lotta, e con la sua vittoria il mondo cambia. Se egli ha la meglio, il niente si ritirerà in se stesso, abbandonando sulla riva i tesori che le sue onde avevano sommerso. Essi compenseranno i sacrifici´(Oltre la linea).
Tutto ciò a farmi perdonare dalla tentazione, rimasta incompiuta e tacitata, verso un intervento dal titolo A chi la vittoria?, apparso su Ereticamente a firma di Gianluca Padovan. Perché sono ormai un vecchio stanco rincoglionito un po’ cinico (stronzamente prodomo della sconfitta) e far riemergere parole che gli furono care lo rende anche fragile e lacrimevole. E solo nell’ironia (vile e stolta) trova salvezza… `Rettitudine e impegno´ per scoprire l’autenticità di essere `esseri di luce´, rinascere per ritrovarsi o viceversa. L’altra sera in televisione hanno riproposto il film con Alberto Sordi Un borghese piccolo, piccolo (storia di un retto impiegato e impegnato a trovare la prima occupazione all’unico adorato figlio)… Intendiamoci subito: la rettitudine e l’impegno di cui qui si tratta non appartengono all’onestà e al decoro di cui i ceti medi, mio padre fu esemplare in ciò, difendevano ostinati. `Siate voi stessi´ (si narra di Socrate folgorato da quanto era inciso sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, plebeo e democratico secondo Nietzsche, ma si dimentica come vi fosse nel retro del medesimo tempio il senso compiuto di quel conoscere se stessi, cioè quel `e conoscerai l’universo e dio´, che rende Socrate un aristocratico assertore della diseguaglianza dell’anima e dell’uomo in sè). E, ancora, la eco di Kipling nella lettera al figlio `se saprai conservare la testa…´ (lo stesso Kipling che, con la scusa del `fardello dell’uomo bianco´, cantò la supremazia dell’imperialismo inglese e gli innumerevoli guasti che ha determinato) oppure il richiamo a Léon Degrelle, a `quando il mare dorato vedrà affluire questo biancore, la Rivoluzione sarà in marcia, levata sulle vette di queste flottiglie d’anime´(se ne andò al fronte dell’Est soldato fra soldati per riscattare la patria e darle un posto nel futuro ordine europeo). E tanto e di più di quanto ci fu caro e diede sostegno quando la fragile barca della nostra esistenza veniva sballottata dalla tempesta e sembrava divenire rottami sparsi dalle onde.
Non, dunque, parole vuote ma parole per uomini vuoti… E rammemorarle è di per sé un merito, senza far da parte mia ironia, semmai soltanto con la necessità che si traducano in contenuto tangibile. A chi la Vittoria? `A noi!´ fu il grido del D’Annunzio a Fiume e la Carta del Carnaro gli arditi e gli squadristi la Carta del Lavoro i giovani giovanissimi volontari del dopo l’8 di settembre i 18 Punti di Verona. Il Fascismo `immenso e rosso´ capace di coniugare una visione eroica dell’esistenza con principi di giustizia sociale e di dignità del lavoro. Perché l’equilibrio sta nell’armonia del linguaggio della mente con il linguaggio del corpo (la kaloskaiagathia di cui Platone trasse auspicio e Adriano Romualdi ne dedusse il fondamento). Ricordo gli anni della militanza, di chi riteneva che i quadri si dovessero formare in spazi delimitati e protetti, una sorta di scuola di partito, e sol dopo questo interno tirocinio la piazza avrebbe ceduto all’urto dell’irresistibile scesa in campo di guerrieri forgiati nel silenzio e nell’attesa; di chi, al contrario, – ed io ero fra questi e rimango convinto nonostante le sconfitte di entrambi e il cambiamento avvenuto nella lotta politica – riteneva come i quadri nascessero dall’azione e che fossero l’esempio e la testimonianza nel quotidiano battagliare il miglior cemento…
Molti anni fa organizzai per un ristretto gruppo di giovani camerati un ciclo di tre film intorno alla morte e al suo significato – cosa che ripetei nel cotesto scolastico – e cioè Il Settimo Sigillo del regista svedese Ingmar Bergman (intorno a questo film ruotò la conversazione con Fabrizio de Andrè davanti ad una pizza dietro le Botteghe Oscure e di cui credo aver già scritto in precedenza), Fuoco Fatuo di Louis Malle e Mishima di cui non ricordo il regista. La morte quale sfida – la partita a scacchi è il segno di una parità tra l’uomo nella sua finitudine con l’eterno destino dello scomparire – in nome del `vitam pro vita exponimus´; il suicidio ultimo atto, l’unica libertà rimastaci secondo il filosofo Albert Camus, di una vita borghese resasi inutile e schiava dell’insignificanza del mondo moderno; infine lo scrittore giapponese nello sforzo di fondere un rito arcaico – il seppuku – per dare valore al senso di precarietà dell’esistenza, può ben definirsi `un guerriero della nientità´ (come intitolai il capitolo a lui dedicato Inquieto 900 e dove il niente, per i giapponesi, è ben altra cosa di quello trattato dalla filosofia dell’Occidente).
In piedi fra le rovine… Io credo che i Titani furono abbattuti e precipitati al suolo non da dei irosi e gelosi del loro dominio messo in pericolo, come si narra nel mito greco, ma perché scoprirono stupiti e atterriti che il cielo era drammaticamente vuoto. In fondo erano esseri ancora prossimi al sacro, pronti sì a metterlo e a mettersi in gioco ma mai a negarne l’autenticità da cui trarne la direzione. Ribellarsi equivale disconoscere non negare il potere che si ha di fronte (ne La rivolta degli angeli di Anatole France Lucifero rigetta l’invito a mettersi a capo della ribellione che sta per spodestare dio, considerato incapace di aver eliminato dal mondo la presenza del male della sofferenza perché intuisce la solitudine il tormento di quel dio di fronte alla sua imperfetta creazione)… L’età del nichilismo corrisponde, al contempo, all’assassinio della metafisica con tutta la drammaticità di un improvviso dissolversi dei valori di riferimento ed anche alla liberazione della sua tirannide (è Chronos che con un falcetto, evirando Urano, separa il cielo dalla terra, la madre Gea. Il tempo contro l’eterno, il divenire contro l’essere). Vivi liberi soli, folli e disperati… Occorre un di più per essere felici? Scegliere per non essere scelti battersi per un sì o per un no e, se non si è armati per una grande tenzone, sapere d’essere capaci di sputare lontano…
Pound la musica il tempo della parola il tempo del silenzio gli uomini di luce e quelli prigionieri delle ombre la morte i titani e il vuoto del cielo, ah, quante cose si sono affastellate confuse contorte e il filo di Arianna non ci ha condotto fuori del Labirinto… chissà se è più affascinante bruciarsi le ali per eccessiva altezza del volo prossimo al sole o coabitare con il minotauro nei meandri negli atri nell’oscurità della mente e del cuore per sapere quanto e come dominarli?
Mario Michele Merlino
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