Quando si parla di religione iranica antica, il primo nome che ci salta alla mente è, naturalmente quello di Zoroastro o Zarathustra vissuto tra il VII ed il VI secolo AC, immediatamente seguito da Mithra, la divinità indo-iranica, trapiantata nella Roma imperiale e divenuta oggetto di un culto sincretistico, profondamente influenzato sia da elementi ellenistici che da apporti iranici. Ben pochi sono invece, coloro ai quali verrà in mente il nome di Zurvan, la divinità leontocefala, posta alla testa di un vero e proprio culto misteriosofico. Zurvan o Zervan Akarana, “Tempo Infinito” o “Tempo senza Tempo”, è una figura androgina, neutra, avvolta nelle spire di un se
Zurvan Akarana/”Tempo Infinito”, altri non è che la personificazione dell’Infinito che, attraverso un moto continuo genera il Finito, destinato poi ad esser riassorbito all’interno di quest’ultimo, salvo poi a ricompiere lo stesso percorso, senza soluzione di continuità. Ahura Mazhda o Orhmazd, il signore della Luce, che dir si voglia e la sua controparte Angra Mainyu o Ahrimane, Signore delle tenebre che, per lo Zoroastrismo sono due elementi metafisici ben distinti, in perenne lotta per il dominio del cosmo, a detta dello Zurvanismo, altri non sono che i figli di uno stesso principio, generando a tal proposito un acceso dibattito all’interno dell’ortodossia zoroastriana e del suo (apparentemente) inscindibile “monistico dualismo”. Ma vediamo di procedere per ordine. Quella dello Zurvanismo, è una misteriosofia dotata di una precisa articolazione. Quale eresiarca e difensore della fede cristiana, il siriaco Teodoro Bar Koni, nel confutare con veemenza quelle che reputa “eresie”, getta significativamente, in un unico calderone Zoroastrismo e Zurvanismo. Quest’ultimo presenta, a detta di Bar Koni, una struttura “tetramorfa”, ovverosia composta di quattro fasi che si imperniano su quattro ipostasi: Asòqar, Frasòqar, Zaròqar e Zurvan stesso, le quali esprimono gli stadi della vita in cui Zurvan Akanara manifesta il suo potere. Sul loro significato si sono pronunciati il Widengren e lo Zaehner, entrambi riassumendo e facendo proprie le ricerche del Nyberg e del Benveniste: il punto di partenza della loro interpretazione un passo di Yast XIV,28 dove compaiono una serie di epiteti simili riferiti al Marte/Eracle iranico Veretragna.
Nascita, sviluppo e riassorbimento, tornando alla coincidenza con il Tempo Infinito, ci riportano ad una concezione ciclica dell’Essere. Lo Zurvanismo va, in tal modo,mutuando ed adattando alle proprie coordinate di pensiero, quelle che della precedente religione politeista iranica, rappresentavano le linee-guida. Nelle definizioni di Asòqar, Frasòqar e Zaròqar, Teodoro Bar Koni, ripercorre questo schema. Le tre ipostasi rappresentano perciò sia il ciclo del tempo all’interno dell’eternità, esente dalla corrosione del tempo, sia le fasi della vita nel mondo della materia. Di fatto, l’esistenza è protesa verso un escatologico rinnovamento finale; ogni cosa risulta creata in vista del compim ento escatologico, il quale, essendo espressione della volontà di Zurvan, è implicito alla creazione stessa. Pertanto, alle tre fasi Asòqar, Frasòqar e Zaròqar, segue necessariamente Zurvan quale riassorbimento nell’infinito. Una sequenza, questa, che si realizza sia a livello di macrocosmo che di microcosmo. Da un lato, a livello di macrocosmo, abbiamo Potenza, Sapienza, Spazio e Tempo, dall’altro abbiamo Terra, Acqua, Aria e Fuoco (che è Zurvan). Se accettiamo la sequenza di A(r)sòkar – Frasòkar – Zarò(n)kar-Zurvan possiamo vedere come l’idea base sia la stessa: la genesi del finito dall’infinito, e la trasfigurazione del finito nell’eternità. Un elemento questo, le cui applicazioni teologiche sono riscontrabili, per esempio, nelle narrazioni gnostiche, con la figura soteriologica dello Zorokòthora-M elchisedek, oppure nelle vicende dei tre figli dello Adakas/ Adam-Kasia mandeo: entrambe, anche se su piani cosmologici ed ontologici differenti, svolgono la precipua funzione di sottrarre la sostanza luminosa al Regno dell’oscurità. Il che ci porta direttamente alla coincidenza tra il trimorfismo adamico e quello di Zurvan, così come esplicato nei testi siro-m esopotamici che abbiamo citato. La sequenza di Asòqar, Frasòkar e Zaròqar, ci riporta direttamente alla triplicità soteriologica dei mandei Hibil-Zlwà, Sitil e Anus ‘Utra, quali immagini di manifestazione nel mondo, di perfezionam ento in esso e di finale salvezza. I tre personaggi del pantheon mandaico riassumono in se stessi l’intera storia della salvezza.
La mitopoietica mandea, parte dalle origini del Mondo della Luce, imperniate sul battesimo di Hibil-Zlwà da parte della Madre Celeste nelle acque dei 360 mila «Giordani», sino alla caduta nel Mondo della Tenebra in balìa di forze cosmiche che solo la figura di Sitil, «guida» delle anime, può contrastare, per arrivare alla fase finale, consistente nella antitesi tra Anus ‘Utra ed il Gesù demonico, sino al ritorno del mondo alle iniziali condizioni di iniziale purezza spirituale. Un criterio, quello del trimorfismo zurvanita, quale personificazione del dispiegarsi del Tempo, attraverso le ere, che è anche applicato alla figura di Gesù , nei testi apocrifi di matrice gnostica, così come si può evincere grazie al grande lavoro di riordino e ricerca testuale eseguito dallo studioso francese Charles Puech.
Questa multiforme unità “aionica”, è altresì reperibile in altri documenti gnostici: così nei Doceti di Ippolito (101) il figlio, «unigenito», nasce dai «tre eoni infiniti». Ogni aspetto del “Kosmos”, tutte le manifestazioni divine in esso presenti, sono sempre l’espressione di una forza triadica, che si sviluppa attraverso il «tessuto» del Tempo. Ritornando alla fase più “tradizionale” e politeista della religio iranica, l’ “Aogamadaeca” avestico, sancisce l’inevitabilità della «via dello spietato Vayu», il dio iranico degli «inizi» che, al pari del latino Giano, presiede ai vari «passaggi» dell’esistenza micro e macro cosmica. Quindi, si può dire senza tema d’ errore, che questo suo ruolo di divinità dell’inizio e della fine, coincida con quello di Zurvan. Il Tempo è la dimensione in cui si palesa Vayu, quale spazio, all’interno del quale soffia incessante, il respiro dei cicli cosmici.
Alla stessa guisa del Cristo gnostico-apocrifo, che si manifesta nel Tempo rimanendo racchiuso in sé, nella sua «poliedrica unità», contemplando in sé la coesistenza di tre dimensioni temporali nello stesso momento. La nuova interpretazione della sequenza Asoqar – Frasòqar – Zaroqar, rappresenta la teofania di Zurvan nella triplice manifestazione del suo essere nel mondo delle materiali apparenze, confermandoci ancora una volta, la propria corrispondenza con la quadruplicità dell’immagino del Cristo-Aiov Bambino, rivelantesi nella stessa differenziazione dei tre Re Magi. Nella sua corrispondenza con il Fuoco, quale quarto elemento della serie di elementi naturali che costituiscono la realtà materiale, corrispondenti alle proprie ipostasi metafisiche, Zurvan è il principio primo che anima e da cui emana direttamente quel Sol Ivictus/Helios, paredro ed ispiratore di Mithra, il quale ccon quest’ultimo dividerà il sacro banchetto con led carni del Toro Cosmico, sacrificato al fine di procedere alla rigenerazione dell’Universo intero. Da quanto abbiamo or ora veduto, l’influenza della religiosità iranica sulla Gnosi avrà proprio nello Zurvanismo, il proprio elemento portante, non senza attingere ad elementi della precedente religiosità astrale babilonese. Come abbiamo precedentemente accennato, nel suo palesarsi, Zurvan, in quanto “Tempo senza Tempo”, nell’ambito della religione zoroastriana, si fa principio generatore di Ormazd ed Angra Mainyu che, in tal modo, si trovano ad esser messi sullo stesso piano ontologico, venendo così, a determinare una vera e propria frattura all’interno della koinè religiosa e culturale zoroastriana. Difatti, come abbiamo già accennato, facendo derivare da una unica matrice i principii della luce e delle tenebre, la figura di Zurvan, porta scompiglio nel tentativo riformatore di Zoroastro,conferendo così’ un assetto temporale ciclico a ciò che, invece, con l’idea della vittoria finale del principio luminoso, si vorrebbe escatologico. Si viene così ad inserire,. all’interno del corpus religioso zoroastriano, l’idea di “ananke/necessità”, portatrice di un’idea di fatalità e di destino che, mal si conciliavano con il credo mazdaico.
Nell’ottica di operare una radicale riforma del mazdeismo, verso il III sec DC, sotto la dinastia sassanide di Shapur I, Kartir Hangirpe, Gran Sacerdote zoroastrino,si fece artefice del trionfo della versione più “monoteistica” del mazdeismo, tutta imperniata sulla assoluta predominanza di Ahura Mazda su Angra Ahriman, condannando lo Zurvanismo ad una condizione di apparente minorità. Permane, però, la tentazione teologica di considerare il Dio supremo stesso e gli Dei quali emanazioni di un atemporale ed impersonale Principio Infinito. Il che ci riporta, all’idea di un principio divino e delle sue mille personificazioni, a sua volta generato da una sostanza primordiale o comunque, scaturente da uno stato dell’Essere, quale può esser considerato, quello di un Tempo Infinito.
Quello di Tempo Infinito è uno stato dell’Essere non necessariamente riferibile, in modo esclusivo, alla dimensione del macrocosmo, ma è anche riferito a quella che, dell’Essere è la dimensione microcosmica per eccellenza, cioè la mente umana, in grado di concepire al proprio interno, atemporalità ed infinità e così di partorire un’infinità di figure divine o, altresì, far balenare nell’individuo l’idea di potersi fare egli stesso Dio. E’ questa, la vera, pericolosa e strisciante ambiguità dello Zurvanismo. La potenza di una mente, sormontata da una testa di Leone (simbolo archetipo di solare potenza) ed il serpente che avvolge, nelle proprie spire infinite una figura umana, stanno lì simboleggiare le possibilità dell’infinito rapportate allo stato umano….Al di là di quelle che possono essere le interpretazioni suggerite da questa figura divina, la novità obiettiva che lo Zurvanismo introduce nell’ambito della koinè religiosa mediterranea, specialmente nell’ambito epocale ellenistico, sta proprio nell’idea di una dimensione infinita ed atemporale del Tempo stesso. Idea questa, che nell’ambito della classicità viene sottaciuta o, quantomeno sottostimata, in quanto la perfezione viene qui identificata nell’armonia e nella finita proporzione degli elementi della realtà, così come preconizzato da Platone e magistralmente espresso dall’arte greca dei vari Policleto, Prassitele o Fidia che dir si voglia. Il concetto di Infinito è qui inteso piuttosto nella veste di “substantia ascondita”, così come concepita da un Anassimandro. Pertanto, se la figura di Zurvan possiede sicuramente alcune analogie con quella quella del Chronos Ellenico, del Saturno o del Giano latino, molte più ne ha con la figura del Brahman o dell’Isvara Indù, visto che lo schema di pensiero orientale, è molto più impostato in direzione di una riflessione di tipo teosofico, rispetto a quello occidentale, più razionalista ed onnicomprensivo.
Nel caso dello Zurvanismo appena esaminato, però, la sua peculiare capacità, sta nel voler adattare alle proprie coordinate di pensiero, quelle che, della precedente religione politeista iranica, rappresentano le linee-guida, rimanendo però, da quanto sinora veduto, sospeso tra i richiami a questa e le suggestioni della narrazione zoroastriana, non senza influenzare ed interagire con Gnosi, Mandeismo, Cristianesimo e Manicheismo. La qual cosa, una volta in più, ci riporta all’idea dell’ accentuata e multiforme complessità di un ambito religioso, quale quello iranico nella fattispecie che, grazie alla possibilità di interagire indifferentemente con più tradizioni, arriva a conciliare elementi tra loro opposti, pervenendo ad una concezione unitaria e differenziata, al medesimo tempo. La qual cosa, non può non riportarci all’Enoteismo Solare di Giuliano Imperatore e di Aureliano, che in India ebbe il proprio corrispondente nel “Din-i tawhid-i ilahi”, creato dall’illuminato Imperatore Moghul Akbar. Tutte esperienze storiche, che hanno fatto della vera tolleranza e dell’apertura delle menti la propria ragione di vita e di cui, in un’epoca come questa, caratterizzata dal predominio della fede nell’assoluto primato dell’Economia, si sente davvero la mancanza.
UMBERTO BIANCHI