Fabio Calabrese: Approfondendo la ricerca sul concetto di tradizione, ho sentito il bisogno di inserire un’altra voce oltre a quelle rappresentate da me e Michele Ruzzai, quella di Luca Valentini, anche alla luce del fatto che questo validissimo collaboratore di “Ereticamente” ha recentemente partecipato al convegno su Julius Evola svoltosi a Napoli il 21 giugno, dove ha avuto l’onore e l’onere di rappresentare la nostra pubblicazione.
Fabio Calabrese: Caro Luca, comincio con le domande. Primo punto, sei complessivamente d’accordo con i concetti espressi da me e Michele Ruzzai nell’articolo che ha preceduto questo, o ritieni di dissentire su qualcosa?
Luca Valentini: Fondamentale sono concorde con quanto da voi espresso. Su alcuni temi è possibile vedere il tutto da una prospettiva meno legata al dato naturalistico e di appartenenza identitaria. Non affermo che tale prospettiva sia erronea, al contrario, ma ritengo – come già espresso nel mio articolo dedicato a Giuliano Kremmerz e la religiosità greco-romana per Ereticamente – che possa e debba essere integrata da una visuale al contempo che miri tanto ad un orizzonte universale quanto ad una dimensione specificatamente e spiritualmente introspettiva ed interiore.
Fabio Calabrese: Secondo punto. Michele ha citato una frase di Julius Evola secondo la quale “Un tradizionalista cattolico è un tradizionalista a metà”. Un giudizio a mio parere fin troppo generoso. Io direi piuttosto che quello cattolico è uno pseudo-tradizionalismo. Il cristianesimo è un’antica sovversione che si è incrostata di elementi tradizionali (di cui peraltro oggi si è liberata quasi del tutto), un “bolscevismo dell’antichità”, un usurpatore che è scambiato per il re legittimo perché è da molto tempo sul trono. Elemento essenziale della tradizione è il radicamento dell’uomo nelle proprie radici etniche, storiche, culturali e biologiche, quel che si chiama in senso eminente identità, cosa a cui il cristianesimo, intrinsecamente cosmopolita, è necessariamente ostile. Inoltre, e qui hanno sbagliato clamorosamente soprattutto quei tradizionalisti come René Guenon che hanno pensato ci si possa appoggiare a una “fede positiva” di quelle oggi esistenti, che poi sono le religioni abramitiche, infatti non si può dare a una religione abramitica (cristianesimo o islam) un’adesione condizionata. O credi totalmente o non credi. Se rivendichi un diritto di scelta, sei fuori, sei eretico. Non a caso, “eresia” viene dal greco “airesis” che significa “scelta”.
Luca Valentini: Bisogna disgiungere il concetto di sovversione da quello di decadenza, come quello inerente la contro-tradizione da quello connesso all’anti-tradizione. Il cristianesimo è forma devozionale e salvifica specifica per l’ uomo decadente di fine ciclo. Ma la sovversione appartiene ad una dimensione iniziatica che va ben oltre una forma religiosa. Ne parla Alfredo Bonatesta nel suo preziosissimo testo La Sinarchia Universale, dove una sorta di isteria antimonoteistica è vista come uno specchietto per le allodole messo lì da un Potere assolutamente più profondo di una semplice forma devozionale. Il cristianesimo è, come riporta giustamente Loris Viola in Religio Aeterna, una forma sacrale devozionale e salvifica, connaturata alla struttura psichica ed alla dimensione ontologica dell’uomo di fine ciclo. Nella giusta critica ad esso, come superstizione, riprendendo la nota espressione porfiriana, bisogna però distinguere ciò che è decadenza ciclica e ciò che è sovversione. La prima nozione, a cui non sfugge neanche parte della religiosità arcaica col silenzio degli oracoli di cui ci parla Plutarco, è attinente alla sfera dell’anti-tradizione, cioè quel moto che in maniera centrifuga si allontana dalla sacralità dell’Origine, sviluppando forme sempre più distanti dall’emanazione demiurgica, come manifestazione delle ultime possibilità universali. La sovversione è afferente ad una dimensione assolutamente diversa configurandosi come vera e propria parodia del Sacro, la sua satanica inversione ha valenza iniziatica, cioè contro-iniziatica e nel mondo antico, in Apuleio, nella tradizione ellenica e soprattutto in quella egizia, il riferimento noumenico del Demone (non platonicamente inteso) era quello riferito a Tifone-Seth.
Confondere i due concetti, che Guènon ben spiega nelle pagine finali de Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, significa cadere nella trappola tesa proprio dall’Avversario che dissemina lunga la via tanti specchietti per le allodole, tra cui un antimonoteismo isterico, poco ragionato e per nulla studiato. Non solo casuali, infatti, i riferimenti fatti da Michele Ruzzai all’interesse di Evola per l’Islam, forma particolare di religiosità, che, depurata dalle degradazioni salafite moderne (di ispirazione massonico-occidentale) non solo ha conservato nei secoli il retaggio arcaico ermetico-platonico nelle sue profondità sufiche e sciite (H. Corbin), ma ha studiato più nel dettaglio le dinamiche occulte di Arimanne (vedere gli scritti di Guènon e di Mutti sulle Sette Torri del Diavolo).
Fabio Calabrese: Terzo punto: Nel nostro dialogo abbiamo accennato al fatto che l’antica tradizione romano-italica (pagana) potrebbe non essere estinta ma essersi conservata in forma esoterica. Qual’è la tua opinione al riguardo?
Luca Valentini: Sul tale punto bisogna porre in essere una chiarificazione. L’ ambito della religiosità è afferente ad una dimensione assolutamente diversa rispetto al piano esoterico. Chi confonde i due ambiti, pertanto, produce poi dei veri e propri aborti lessicali e di concetto, tipo ‘ermetismo pagano’ o ‘esoterismo cristiano’: ciò rappresenta una maniera perfetta per non comprendere nulla sia di religiosità sia di esoterismo. Sulla tradizione italico-romana, Roberto Incardona a Napoli, nel suo intervento su Evola e la misteriosofia antica, in perfetto accordo con gli studiosi moderni sui Misteri come Magnien, come Cumont, come il nostro Arcella su Mithra, come Schwaller de Lubicz come autorità indiscussa per quanto concerne la Tradizione Egizia, ha evidenziato come l’espressione “religioni misteriche” non ha alcun senso.
Come ho cercato di evidenziare in un mio scritto apparso qualche anno fa per la rivista Atrium “Il fondamento platonico dell’Imperium e la “sperimentazione” teurgica degli Dei”, vi è una differenza dimensionale tra piano religioso e devozionale e piano teurgico-misterico: nel primo permanendo la dualità tra orante e Deus, come entità separata, mentre nel secondo si attua l’identificazione attiva tra iniziato e Numen, che è potenza, è forza non polarizzata. Qui si esplicita tutta la differenza tra culto religioso e Sacre Cerimonie di un Proclo o di un Giamblico. Ovviamente tutto il mondo neopagano salterà sulla sedia nel leggere che il culto è forma devozionale, ma tale è tecnicamente, e l’aggettivo “magico” che molti associano per le proprie invocazioni risulta essere assolutamente arbitrario, solo sapessero la derivazione etimologica di magia, cioè conquista trasmutativa di uno stato di trance attivo (Kremmerz e Agrippa).
Similmente, in tal guisa, Evola, in un saggio apparso in Krur 1929, sul sacro nella religione romana, ha posto una differenzazzione polare, di natura noetico-anagogica tra identificazione rituale al Numen, come espressione diretta dell’ Ente, e devozione cultuale del Deus. Tali predisposizioni sono afferenti ad una realizzazione magico-solare, la prima, e mistico-lunare, la seconda, che trovano una loro riunificazione solo in una condizione ontologica di primordialita’ . Risulta singolare il fatto che tale saggio di Evola non venga quasi mai citato o preso in considerazione nell’ ambito di dati riferimenti romano logici.
Nell’ambito della religiosità italico-romana si può parlare di saggia ricostruzione nel caso di un riferimento sacrale arcaico.
Persone ragionali nel mondo del suddetto tradizionalismo, tra cui includo i fondatori del MTR, il responsabile della compagine meglio strutturata, organizzata e valente dal punto di vista etico-rituale, a mio parere, cioè Giuseppe Barbera dell’Ass. Pietas, anche parzialmente un Viola, dichiarano che vi è stato un graduale, saggio e scrupolo lavoro di recupero di ciò che è rimasto, con tutti i limiti che ciò comporta e tale ammissione è assolutamente lodevole e intellettualmente onesta. Ciò in ambito religioso e cultuale. In ambito iniziatico, sulla presenza di una continuità, così come espressa da Reghini in Ur, nello stupendo saggio sulla Tradizione Occidentale, ma anche da Evola in Rivolta contro il mondo moderno e da De Giorgio ne La Tradizione Romana, bisogna aver chiaro la distinzione fatta precedentemente tra Culto e Rito Misterico. La continuità, nel secondo, come ultimamente espressa nel testo di Riccardo Donato La Chiave della Sapienza Ermetica per Rebis, nel solco della tradizione sapienziale ed ermetica, secondo il mio modesto parere, esiste e va rintracciata in quella che è la culla della Conoscenza Italica e Alessandrina, cioè la cosiddetta Scuola di Napoli, che è testimoniata dalla presenza isiaca (e non solo isiaca) a Piazzetta Nilo, ma si perpetua, come un fiume carsico, nel corso dei secoli, tramite luminose personalità come quelle Bruno, Campanella, Della Porta, Gualdi, fino a Domenico Bocchini, Giustiniano Lebano e Giuliano Kremmerz.
Sulla ritualità gentilizia, oltre alle osservazioni già fatte, valgono le parole di Fenili nell’intervista per Ereticamente: “Per quanto riguarda la riscoperta culturale e rituale del mondo classico e specificamente romano, distinguo tra chi si limita ad onorare i Mani di un glorioso passato, in senso quasi scintoista e chi vuole attribuire ai suoi gesti una portata “magica”. Qui la mia riserva è totale, conoscendo l’intima fragilità animica dell’uomo contemporaneo, che si traduce immediatamente in una triplice stortura anti-romana: la temperantia si trasforma in hybris, la magia in stregoneria di tipo crowleyano e la civile tolleranza in ricorrente e sterile polemica religiosa”.
Fabio Calabrese: Certamente, noi oggi assistiamo anche a una degenerazione riguardo all’esoterismo. Basta entrare in una libreria, e c’è sempre lo scaffale dedicato ai libri di esoterismo – che quindi di esoterico non hanno niente – e perlopiù si tratta di cose di nessunissimo valore.
Luca Valentini: Bisogna intendersi sul valore che si vuole attribuire alla parola “segreto”. Se a tale termine assegniamo il significato tutto neospiritualista di ciò che è criptico, occultistico, di rituali e ricette segrete detenute da ristrette cerchi di iniziati, con tanto di grembiule e di cappuccio, allora siamo completamente fuori strada. Se, invece, tale termine lo si rende pertinente ad una dimensione noetica, che è assolutamente anagogica, indi di trasfigurazione personale, di spiritualizzazione del proprio composto psico-organico, allora si comprende come ciò che non è comunicabile tale è per via dell’assoluta originalità di ogni essere umano e della propria esperienza esistenziale. Pertanto, ciò che è afferente all’esoterismo riprende l’espressione aristotelica circa l’esperienza misterica, che è sperimentazione estatica (prima “lunarmente” passiva e poi pian piano sempre più attiva e identificativa), non ragionata, non mediata dalla coscienza psicologica, un piano intuitivo – esperienziale assolutamente non condivisibile.
Fabio Calabrese: Rimane la via di una auto-iniziazione, che però rimane aperta solo a personalità eccezionali. Noi però abbiamo il vantaggio di non lavorare nel vuoto, ma di avere davanti a noi maestri che hanno riaperto la via: Julius Evola, Reghini, in parte Guenon, tuttavia la “cifra individuale” rimane un fatto fondamentale.
Luca Valentini: Tali autori hanno indicato direzioni di vetta, ma nulla si concretizza senza un lavoro introspettivo paziente, lungo e non privo di sofferenze. La strada va conquistata da sé e al di là da facili entusiasmi e da carnevalesche ritualità. La prospettiva anticerimoniale, così ben descritta da Evola nelle monografie di Ur e in Maschera e Volto dello spiritualismo contemporaneo, supera tanto l’iniziazione formale, di ispirazione massonica, sia l’auto-iniziazione, di ispirazione teosofica. Ne ho accennato a Napoli. Lo spirituale, riprendendo Evola nella sua conclusione di Maschera e Volto, valga come una conoscenza non come una tentazione. E rimandando sempre alla risposta di Piero Fenili nell’intervista per Ereticamente, ove l’esempio shintoista è anche lì ripreso, come essenzialità di una presenza, di una contezza attiva di se stessi, tramite la reintegrazione del mentale puro, forza non cerebrale che va spagiricamente equilibrata e conquistata. Ovviamente le parole di un Incardona che evidenzia come “Non della sola nettezza corporale ed esteriore bisogna preoccuparsi, ma, attraverso la pratica dei buoni pensieri, delle buone parole e delle buone azioni, rendere netta e pura anche la mente”, o quelle di un Giuseppe Barbera, che similmente si esprime nell’ultimo numero della rivista Pietas, circa un corretto approccio al Sacro, mettono a nudo tutta la farsesca realtà di un sottobosco umano che aspira vagamente alla spiritualità arcaica e che nei fatti si perde nelle paludi del peggiore neospiritualismo. Equilibrio, temperanza e costante e faticoso lavoro introspettivo sono alcune caratteristiche che qualificano un corretto approccio al Sacro: a tal punto, interroghiamoci sul perché siano cosi poco di moda negli ambienti che dovrebbero concretizzarle in vita. Rammento, infine, quanto mi disse amichevolmente la compianta Domizia Lanzetta, sui medesimi temi, alta e solare personalità a cui nessun può muovere accuse di guenonismo o di fantasmagorie steineriane: nell’accensione del Fuoco Sacro, le componenti sottili interne non purificate ed equilibrate sono per il singolo ed ancor peggio per il gruppo, grave motivo di attivazione di un autentico “contagio larvale”.
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