A seguito di un articolo dal sottoscritto pubblicato su Ereticamente, riguardante i vari aspetti dell’opera di Adriano Romualdi, non ultimo quello con l’idea di superuomo e di certi travisamenti in materia, costituiti proprio dall’argomento che ora andremo a trattare, sono partite all’indirizzo dello scrivente, una serie di critiche che, al di là delle risposte on line che, per quanto precise, ma pur sempre riassuntive, chi scrive ha tentato di dare, non possiedono certamente quel carattere di esaustività che, un articolo, invece, può possedere. Fatta questa doverosa premessa, entriamo nel vivo della nostra trattazione, cercando di dare una quadra ad un termine e ad una teoria, dietro ai quali si cela un colossale equivoco.
Il termine “Transumanesimo” parte da una parte dagli scritti di Julian Huxley e di Pierre Theilard De Chardin, degli anni ‘50 del secolo passato, tutti volti a prospettare la possibilità di un auto trascendimento dell’umana natura, da realizzarsi proprio al fine di migliorarne la limitante condizione. Dagli Ottanta in poi, grazie al contributo di vari autori (principalmente provenienti dagli Usa…sic!), il termine indicherà la possibilità di realizzare un’evoluzione autodiretta della natura umana, attraverso il supporto di tecnologie in tal senso mirate. In tal senso, si finisce con l’auspicare il passaggio dall’Homo sapiens alla condizione di postumano, facendo sì che il progresso tecnologico pervenga ad un potenziamento delle capacità fisiche e cognitive dell’essere umano, tale da fargli superare limiti, quali l’invecchiamento e la morte stessa.
A farsi interprete di questa precisa istanza negli anni ‘80, un autore come Max More, considerato uno tra i fondatori o, se vogliamo, tra i ri-fondatori di questa corrente di pensiero, che definisce il Transumanesimo “come quella classe di filosofie che, tramite la tecnologia e la scienza, ricercano la continuazione e l’accelerazione dell’evoluzione di “una vita intelligente” al di là della sua forma umana e delle sue limitazioni.”
Pertanto, nel perseguire lo scopo ultimo della liberazione dai limiti determinati dalla corporeità, sarà necessario addivenire ad una modalità di ibridizzazione delle caratteristiche umane con le macchine, grazie all’apporto di scienze come la biorobotica, la bioinformatica, la nanotecnologia e la neurofarmacologia. Questo processo si concretizzerà attraverso l’installazione di componenti artificiali nel corpo umano, sino a giungere alla completa sostituzione del corpo biologico, con uno tecnologico, frutto di questi innesti. Il definitivo abbandono del corpo biologico, verrebbe poi potrebbe realizzato attraverso il cosiddetto “mind uploading”, ossia scaricando tutti i dati e le informazioni della mente umana, su un supporto robotico. Taluni sono arrivati, persino, ad ipotizzare di poter caricare il cervello umano direttamente nel cloud.
Uno dei motivi-principe che guidano il pensiero transumanista è quello della cosiddetta “Singolarità Tecnologica”, elaborato dal matematico Vernor Vinge e descritto in un suo saggio del 1993 in cui afferma tranquillamente che “entro 30 anni avremo i mezzi tecnologici per creare un’intelligenza sovrumana. Poco dopo l’era degli esseri umani finirà”. Per “Singolarità Tecnologica”, quindi, si intende quel momento in cui il progresso tecnologico accelererà, oltre la capacità di comprensione e previsione degli esseri umani. Secondo gli studi di alcuni futurologi, essa si realizzerà già nel 2045 quando, la capacità di calcolo dei computer supererà quella dei cervelli umani. Questo concetto viene pertanto apposto a “corollario” del principio secondo cui, l’evoluzione della tecnologica tende a seguire un processo esponenziale, perfettamente descritto da un altro dei caposaldi del Transumanesimo, ovverosia quella che viene definita quale “Legge dei ritorni accelerati”, formulata dall’inventore e informatico Ray Kurzweil. Secondo questa legge, il tasso di progresso tecnologico è una funzione esponenziale e non lineare; in altri termini, ogni nuovo progresso rende possibili molteplici progressi di livello più elevato, piuttosto che un singolo e unico progresso, con la conseguenza che ogni anno viene realizzato un maggior numero di invenzioni e scoperte utili rispetto all’anno precedente.
Per buona parte dei futurologi, pertanto, la “Singolarità Tecnologica” sarà raggiunta, in particolar modo, anche grazie all’intelligenza artificiale, in quanto essa contribuirà allo sviluppo delle nuove tecnologie emergenti in modo molto più rapido rispetto al passato, impattando, sulla comprensione di noi stessi in quanto esseri umani. Grazie ad una massiccia evoluzione della tecnologia e in particolare dell’intelligenza artificiale, l’essere umano sarà portato a “fondersi” con le macchine per non soccombere alle stesse. Pertanto, il risultato della “Singolarità Tecnologica” sarà l’interfacciamento uomo-macchina. A coronamento di quanto qui affermato, l’idea del cosiddetto “biohacking” che consiste, per l’appunto, nella pratica di modificare la chimica e la fisiologia umana mediante la scienza, la tecnologia e l’auto-sperimentazione, allo scopo di migliorarne e potenziarne prestazioni e capacità, sino ad arrivare, come abbiamo già detto, alla sostituzione ed alla fusione del corpo umano con le macchine.
Ora, in base a quanto sinora detto, è chiaro che quella del Transumanesimo, è un’impostazione di pensiero assolutamente prona a quelli che sono i desiderata del Globalismo, ovverosia arrivare al più totale svuotamento di umanità della persona, sino a rendere questa stessa, come già detto, uno spersonalizzato e confuso ibrido tra quel che resta di umano ed una macchina, al più totale e completo servizio della Tecno Economia. Ora, l’equivoco che anima certe istanze e certi ambienti, consiste nel travisamento del nicciano concetto di “superamento dell’umano”. Nel confidare ciecamente nel fatto che, la tecnologia in sé, può portare l’uomo ad uno stato di elevazione e superamento dei propri limiti, certi settori della galassia ideologica transumanista incorrono in un clamoroso equivoco, composto di vari punti.
La scienza si et si, anzitutto. Non è da poco tempo che, della scienza così come concepita a partire da quelle che ne rappresentano le basi intrise di cartesiano razionalismo o di sperimentalismo alla Berkeley, o di qualunque altra base razionale che dir si voglia, vengono messe in discussione e contraddette dalla scienza stessa. Basterebbe ricordare quanto afferma un Karl Popper quando, trattando dell’epistemologia, ci afferma candidamente che un principio scientifico sperimentale, può essere messo in discussione da un semplice asserto fornito di razionalità, anche se privo di quella verifica sperimentale che, invece fornisce la (apparentemente, sic!) incontrovertibile validità al primo. Oppure, se andiamo a vedere quella branca abbastanza recente della scienza all’insegna del concetto di “complessità”, per la quale la realtà è molto meno unilineare e semplice di quel che sembra. Tutto questo, non andrebbe disgiunto dal lavoro operato dalla fisica quantistica e dalla messa in discussione dei classici parametri scientifici, con tutte le conseguenze del caso.
Non solo. Il superamento dell’umano di cui trattano certi autori che, certo non possono essere accusati di essere legati ai parametri del pensiero illuminista, come taluni esponenti del Romanticismo, Nietzsche, Schopenauer e molti altri esponenti del pensiero vitalista del 19° e del 20° secolo, è un qualcosa che non può che provenire che dà di dentro del nostro animo, da quelle profonde scaturigini archetipiche, che costituiscono l’impalcatura della nostra personalità, ovverosia dall’incoscio. Il superamento dei nostri umani limiti non può pertanto, che venire da dentro di noi, la Techne costituendo, in questo caso, solo un quanto mai momentaneo e limitato supporto.
Un lavoro che, contrariamente a quanto preconizzato dai nostri “transumani”, non può essere alla portata ed alla comprensione di tutti, ma solo di alcuni, pochi, capaci, così come si può perfettamente evincere dalla lettura di un Nietzsche, quando sottotitola il suo “Also spracht Zarathustra”, quale “un libro per tutti e per nessuno”. Lo stesso autore ritorna spesso sul tema di un’aristocrazia spirituale, costituita da uomini “oltre”, in grado di superare i propri limiti e lo spirito da “ciandala/plebeo” che anima i popoli e la maggior parte delle masse d’Occidente. La possibilità di manipolare la realtà esterna, anche attraverso la scienza, così come enunciataci da Nietzsche, va intesa in un senso puramente strumentale, al fine di contribuire alla sopravvivenza ed all’accrescimento di quel senso di potenza individuale, che non può assolutamente tradursi nell’identificazione e nell’asservimento con i prodotti materiali di questa, bensì in un senso di liberazione dell’Io dai vincoli dell’oggettivismo materialista.
Ancor oltre si spinge Julius Evola, quando rimprovera Nietzsche di esser rimasto legato ad un’impostazione eccessivamente legata a quella impostazione di pensiero, definita quale “demolizione della metafisica”, visto che i risultati sul piano pratico, della modifica della realtà circostante e di perfezionamento dell’Io derivanti da tali impostazioni, sono nulli. La Magia, intesa quale scienza dell’Io, in grado di far addivenire l’Essere dal Nulla, tramite un semplice atto di volizione del Pensiero, ovverosia la possibilità di far coincidere e travasare Pensiero e Realtà in un continuum, costituisce l’atto di potenza individuale “par excellence” e nulla ha a che vedere con la Techne. Ma, qualcuno potrebbe accusare chi scrive, di esser rimasto ancorato a vecchi parametri intrisi di conservatorismo e pertanto di non esser “moderno” ed attuale nel pensiero. Pertanto, volendo riassumere, la pulsionalità presente nel pensiero vitalista, parte dal di dentro e non tiene alcun conto della tecnologia, se non come semplice ed occasionale mezzo per il perfezionamento dell’Io.
Volendo invece parlare in termini più attuali, le più avanzate scienze comportamentali, ravvisano nella spinta interiore, in quella pratica che noi traduciamo quale “automotivazione”, l’elemento principale per pervenire ad uno stato di pienezza e completezza del Sè, senza dover ricorrere ad alcun supporto tecnologico, anzi, spesso ricorrendo al supporto di forme di conoscenza “tradizionale”. Oltre alla psicanalisi di Jung e di Hillmann, andrebbero ricordati gli studi di psicologia motivazionale che, nel Novecento, hanno avuto esponenti di tutto rilievo, quali Abraham Maslow e la sua “piramide dei bisogni” oltre a tutti quegli studi “eterodossi” imperniati sulle teorie dell’automotivazione psicologica, come quella sulla “Legge dell’Attrazione” che partendo dal 19° secolo arrivano sino ad oggi, vantando esponenti che vanno dal medium americano Andrew Jackson Davis, ed ai suoi scritti, arrivando al 20° secolo con Napoleon Hill, Norman Vincent Peale, Louise Hay, Abraham-Hicks, oltre a tutta una serie di studi apparentemente “folli” che, in veste di veri e propri crocevia tra la psicanalisi e le scienze iniziatiche, (quali quelli dell’australiana Ronda Byrne o quelli del funambolico regista-fumettista Jodorowskj, tanto per citare solamente alcuni, tra la miriade di esempi a riguardo…), hanno prodotto risultati concreti, senza altri supporti, che non fossero costituiti dalla volontà dei singoli.
Pertanto, pensare di riuscire a realizzare un processo di crescita individuale, parlare di oltrepassare gli umani limiti unicamente con il supporto tecnologico, è cosa assolutamente insensata, che condurrebbe l’individuo ad una perdita della propria “umanità” a favore di una propria inevitabile meccanicizzazione e svuotamento di spiritualità. Quella del Transumanesimo, assume pertanto la valenza di un’ideologia fantascientifica, direi quasi fumettistica, di entusiastica ed ingenua utopia “fin de siecle”, piena di aspettative nei riguardi del progresso scientifico. E qui si ricade in un altro errore.
Il voler fare del Transumanesimo, una conseguenza ideologica del vitalismo di stampo nicciano o heideggeriano che dir si voglia, o delle idee di un autore come Giorgio Locchi, cozza vistosamente contro quelle che ne sono le comuni linee guida ideologiche, volte a contestare radicalmente l’idea di finalismo escatologico di tipo monoteista, che ritrova linfa e vigore in tutto quel panorama di utopie del Sei-Settecento e nello stesso Illuminismo, a favore, invece, di una concezione ciclica o, quantomeno, “discontinuista” della Storia. L’ideologia transumanista, in verità, assume la valenza di veicolo-principe delle idee del Globalismo più spinto, volto ad omologare l’intera umanità ad un unico standard di alienazione individuale, facendo dell’uomo una specie di “cyborg” autoricaricabile, un perfetto ed acritico consumatore di prodotti tecno finanziari.
Arrivati a questo punto, però, sorge un più che logico interrogativo: visto che, come abbiamo veduto, il Transumanesimo è un prodotto ideologico strettamente appaiato al Globalismo, anziché continuare a farne un vessillo per quanto mai nebulose forme di antagonismo, a cui non crede più nessuno, non sarebbe invece il caso di assumersi la piena responsabilità di quel che si proclama, dichiarandocisi, senza se e senza ma, entusiasti fautori del Globalismo e di tutte le sue conseguenze? Credo che nell’aderenza ad un principio, nella coerenza ideale, verso qualunque tipo di idea, non vi sia nulla di male, anzi. Si compirebbe, in questo caso, una meritoria opera di chiarificazione in “aree” ed ambienti, politici o intellettuali che dir si voglia, in cui ad oggi, di confusione ne alligna sin troppa. Con i deludenti risultati, ad oggi, sotto gli occhi di tutti.
UMBERTO BIANCHI