Nel febbraio 2020 iniziò l’incubo della pandemia di Covid 19. Ora che il peggio sembra passato, abbiamo il dovere di non rimuovere, di non dimenticare. Troppe ne abbiamo viste, troppe ce ne hanno fatte passare. Per alcuni il triennio che è dietro di noi ha cambiato definitivamente molte idee e convincimenti, portando a compimento processi interiori in atto da tempo, che attendevano solo l’innesco, la miccia per esplodere.
Abbiamo il dovere della memoria in quanto uomini, e non possiamo lasciarci alle spalle – per sete di verità e ansia di giustizia – quel che abbiamo vissuto, i sentimenti e la progressiva presa di coscienza che ci ha cambiato nel profondo. Lo dobbiamo ai morti, alle famiglie che non hanno potuto vegliare i propri cari, ai medici e agli operatori sanitari, a chi si è impegnato in scienza e coscienza nello studio di terapie, a chi ha cercato con tenacia e gravi rischi la verità, a chi non ha accettato la narrazione ufficiale. Lo dobbiamo anche alla maggioranza allineata, imprigionata da fiumi di immagini e parole per alimentare la paura, il terrore, l’acquiescenza di massa. Lo dobbiamo perfino a chi vive ancora impaurito, mascherato e fa un po’ rabbia e un po’ pena. Vanno capiti: sono le vittime di lungo corso, vivono peggio di chi ha alzato la testa e allargato lo sguardo.
La memoria è un dovere nei confronti della storia: nessuno avrebbe pensato di subire la prigione domiciliare, di uscire di casa come un evaso con in tasca la giustificazione. Non avremmo mai pensato di non poter lavorare senza il foglio di vaccinazione, e chiamare vaccini i sieri genici sperimentali. Non immaginavamo di doverci separare da parenti e amici e di trovare tra loro dei nemici: non solo possibili veicoli di contagio, ma anche delatori, se i nostri comportamenti non erano quelli prescritti dal potere. Non pensavamo, in vita nostra, di dover esibire un cartiglio per accedere al bar, al bus, a tutti i luoghi della vita e del lavoro. Hanno rinchiuso bambini e ragazzi con enormi danni psicologici, costretto milioni di persone a lavorare da casa, isolati: lo chiamano smart work, lavoro furbo ed è singolare come tutto sia “furbo” nel mondo di lorsignori.
Non immaginavamo neppure che chiamassero green pass, lasciapassare verde, il cartiglio neo feudale. Verde come il semaforo, a significare un lampo provvisorio di libertà, che diventa rosso – divieto, blocco – un attimo dopo. Invece, è il pilastro dell’identità digitale dell’uomo-cifra. Non fu normale definire la clausura, il coprifuoco, la carcerazione domestica in quel modo astruso, in una lingua straniera, lockdown (isolamento, confinamento). Se ce lo avessero imposto nella nostra lingua, forse avremmo riflettuto di più. Non possiamo dimenticare la violenza governativa, l’uso di strumenti giuridici impropri, ma nulla importano le regole, i diritti di carta, dinanzi alla minaccia della vita. E che dire della distinzione – rammentata da filosofi stimati diventati improvvisamente nemici del popolo infermo – tra nuda vita, sopravvivenza (zòe) e vita piena, libera, che respira a pieni polmoni (bìos)?
Non possiamo lasciarci alle spalle lo sconcertante silenzio della Chiesa, custode delle anime, che non si è rivolta a Dio ma ha sbarrato le porte sino a sostituire l’acqua benedetta con l’igienizzante, simbolo della divinità tecnoscientifica, unica entità a cui credere.
Nessuno stupore per la sentenza della Corte Costituzionale – quindici strapagati custodi dell’ortodossia – che ha legittimato tutte le angherie subite. La Consulta ha affermato che sono legge le opinioni del momento della scienza ufficiale – legata al carrozzone onnipotente di Big Pharma e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, feudo del filantropocapitalismo. Il potere si difende; le istituzioni di garanzia sono parte in causa, non baluardo del popolo.
Non scordiamo il bollettino quotidiano dei morti e dei contagiati, compilato – la verità sta emergendo – in maniera cervellotica e terrorifica. Strano non si parli affatto dello stupefacente aumento della mortalità generale, le cui cause non conosciamo e per le quali non azzardiamo conclusioni. Almeno due ipotesi – suscettibili di onesta smentita, se dovuta – concedetele allo scrivano che nulla sa di medicina: la mancata cura delle patologie diverse dal Covid, unita alla fuga volontaria dagli ospedali di chiunque potesse tenere duro con i suoi malanni. Degli effetti avversi del siero, capiremo nel tempo. Da quelle risposte sapremo se le élite del mondo sono “soltanto” irresponsabili e ingorde, o direttamente criminali.
Tre anni di pandemia: già questo desta stupore. Le epidemie naturali non durano – è un dato storico – più di due anni. Lo dice la statistica e il professore Francesco Palù, presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco, scienziato e uomo di sistema. Nel corso del tempo i Coronavirus perdono la carica patogena iniziale, anche a causa delle numerose mutazioni. Vaccinare in piena pandemia può favorirle, ammettevano virostar come i professori Burioni e Crisanti nel 2021. Le linee guida dell’OMS dichiarano la stessa cosa: “evitare le campagne di vaccinazione di massa fino a quando la situazione Covid-19 non si risolve”. Ma era il 2020: poi arrivò Big Pharma con le magiche fialette. Le cinque maggiori multinazionali del settore, Johnson & Johnson, Pfizer, Roche, Novartis e Merck vantavano, già prima della pandemia, la loro miniera d’oro, un fatturato annuo superiore al PIL della Spagna.
Due anni o poco più è la durata storica delle pandemie naturali. Ma questa? Per almeno un anno ci hanno trattato da minus habentes con la teoria dei pipistrelli, poi è risultato chiaro che a Wuhan esiste un laboratorio chimico (finanziato anche dalle potenze occidentali) in cui si sperimentano pessime cose relative ai virus. Lo chiamano “guadagno di funzione” e consiste nel rafforzare i ceppi virali al fine di approntare rimedi capaci di sconfiggerli. Questa è la versione ufficiale; il fondato sospetto è che in quegli antri si lavori a guerre chimiche. L’ipotesi di bioterrorismo è davvero solo una fobia di svitati?
Nel 2021 Anthony Fauci, virologo americano capo degli organismi scientifici governativi, ha ammesso di non credere all’origine naturale del virus. Data la prudenza di personaggi di quel calibro, è un’ammissione vera e propria, venuta dopo analoghe prese di posizione di numerosi scienziati internazionali liberi da conflitti di interessi con Big Pharma o pubbliche istituzioni, come il premio Nobel Luc Montagnier, poi deceduto, schernito senza vergogna dal mainstream giornalistico.
Delle due l’una: o il virus è sfuggito per caso o incuria da un laboratorio riservato (ora sappiamo che il mondo ne è pieno) o qualcuno lo ha fatto uscire. Non abbiamo prove e neppure indizi. Tuttavia, conosciamo alcuni fatti, che esponiamo come memento, piccoli Bignami di informazione. Nel maggio 2009, in occasione dell’epidemia suina, Jacques Attali, membro del Bilderberg Club, banchiere, esponente di primo piano dell’oligarchia mondialista e futurologo assai informato, dichiarò che una crisi pandemica avrebbe permesso l’instaurazione di un governo mondiale. “La storia insegna che l’umanità evolve (!!!) significativamente soltanto quando ha realmente paura. La pandemia potrebbe far scatenare una di queste paure strutturanti” Definì inevitabile una futura crisi pandemica, come più tardi fecero Bill Gates, dominus dell’OMS e altri “bene informati”.
Attali, il rompighiaccio, riconobbe tranquillamente che l’epidemia prossima ventura avrebbe permesso di “organizzare una polizia mondiale e una fiscalità mondiale”, rendendo inevitabile “più di quanto avrebbe permesso la sola ragione economica” porre le basi di un governo mondiale. E’ andato forse lontano dalla verità? L’’anno successivo, il 2010, la stessa OMS fu accusata dal Consiglio d’Europa di aver diffuso notizie su una falsa pandemia che scatenarono il panico, la corsa ad accaparrarsi i vaccini. Il governo francese disdisse gli acquisti e fu apertamente minacciato da Novartis, la quale fece sapere che “alla prossima pandemia, perché ci sarà una nuova pandemia” avrebbe ignorato gli ordini d’acquisto francesi. Che cosa sapeva?
Contemporaneamente, la fondazione Rockefeller – gigante del filantropocapitalismo, il potere mondialista privatizzato – pubblicava una relazione in cui auspicava l’istituzione di uno stato di polizia antivirus, vaticinando che sarebbe stata la Cina a debellare per prima il contagio attraverso la quarantena di massa e il lockdown. Pensiero magico o segnali di un programma?
Il laboratorio di Wuhan cominciò a lavorare nel 2014 sui virus dei pipistrelli con l’intervento dei maggiori specialisti del mondo. Gli esperimenti su virus detti “chimera”, il mostro mitologico col muso di leone, il corpo di capra, la coda di drago e vomitante fiamme, vietati negli Usa, si traferirono in Cina: un brillante esempio di delocalizzazione. I finanziamenti arrivarono copiosi e nel 2015 i cinesi annunciarono di aver creato un virus chimera patogeno per l’uomo, nello stesso anno in cui Bill Gates – un altro profeta – annunciava che la prossima catastrofe non sarebbe stata una guerra ma una pandemia. Abbiamo avuto l’una e l’altra.
Un esponente della monarchia ereditaria finanziaria Rothschild depositò nel fatidico 2015 un brevetto per test di Covid 19, suscitando polemiche e interrogativi. Due anni dopo Anthony Fauci dichiarò di essere certo che la presidenza Trump avrebbe dovuto affrontare una pandemia. Meglio di Nostradamus e del mago Otelma, i membri dell’oligarchia globale. Nel 2019 a Wuhan si svolse un’esercitazione militare che simulava la minaccia di un Coronavirus. Il mese dopo, per non essere da meno, il Johns Hopkins Center for Health Security, un organismo privato finanziato dai soliti noti, organizzò, con il Forum di Davos e la fondazione di Bill Gates, Event 201 Exercise, un’altra simulazione pandemica con dovizia di dati sugli enormi costi economici e umani. L’esperimento fu condotto alla presenza di capi di multinazionali, esponenti di governo e della sanità pubblica.
Il 1 dicembre 2019 fu reso ufficiale il primo caso di coronavirus a Wuhan. L’analisi del virus permise poi di accertare che si trattava dello stesso ceppo del virus chimera prodotto nel 2015. Sin qui i fatti. La loro concatenazione è un’ipotesi, forse maliziosa o forse no. La memoria, tuttavia, serve a non dimenticare e a stimolare la ricerca della verità. Ipotesi anche quanto pubblicato all’epoca da La Stampa – quotidiano che si è distinto per zelo nel difendere ogni versione ufficiale e atto conseguente – secondo cui Bridgewater, il maggiore hedge fund del pianeta, puntò un miliardo e mezzo di dollari sul crollo delle borse nel marzo 2020. Il fatto, in piena crisi pandemica, si verificò nonostante le previsioni contrarie.
Nessuno degli eventi citati spiega ciò che abbiamo vissuto e perché. Tanto meno enuncia verità alternative: è un modesto riassunto a uso degli immemori, una testimonianza di chi ha attraversato, con sentimenti via via mutevoli, la lunga Via Crucis epidemica. Nel ringraziare Dio per averci – sinora – risparmiato personalmente il peggio, non possiamo che inchinarci con il rispetto dovuto ai morti, alle sofferenze, ma anche al coraggio di chi ha cercato di fornire aiuto concreto e successivamente si è trasformato in cercatore di verità, viandante alla scoperta dell’enorme cumulo di menzogne, marciume, violenza di cui siamo stati oggetto. Che il virus sia stato un orribile esperimento in corpore vili – perfettamente riuscito – o una casualità dalla quale il potere ha approfittato per cambiare nel profondo le nostre vite, dobbiamo ragionare, riflettere, capire.
E ringraziare chi non ha abbassato la testa senza prostrarsi davanti all’immensa potenza delle narrazioni ufficiali. A loro – un pochino anche a noi stessi – va una riconoscenza umile, senza vanità, un sentimento riassunto da Ezra Pound nei Canti Pisani. “Ma avere fatto in luogo di non avere fatto, questa non è vanità. Avere, con discrezione, bussato perché un Blunt aprisse. Aver raccolto dal vento una tradizione viva o da un bell’occhio antico la fiamma inviolata, questa non è vanità. Qui l’errore è in ciò che non si è fatto, nella diffidenza che fece esitare.”
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