Bacco, Caravaggio, olio su tela, 1596-1597 |
Tra gli elementi distintivi nei quali si riconosce la cultura di un popolo, non si può non dare un ruolo di rilievo all’alimentazione. Già proprio l’alimentazione, il pensiero potrebbe anche far sorridere, ma essa all’interno di una società è un elemento importantissimo. «Le tradizioni alimentari diventano uno strumento per conservare, riprodurre e difendere l’identità» di un popolo, i pasti e i loro rituali connotano profondamente una società umana, la tessono, la solidificano e sanciscono importanti momenti. Attorno alla tavola si riuniscono gli uomini per condividere il cibo e per creare un momento di aggregazione che può anche divenire un luogo di scambio di idee. Il pasto comune diventa quindi metafora dei una coesione sociale laddove l’ordine del pasto riproduce o almeno riproduceva l’ordine che una società si è data. Tutto ciò è visibile nelle varie regole e consuetudini che ruotano attorno all’alimentazione, a partire dalla gerarchia che c’è nella disposizione dei posti a tavola, dall’ordine delle pietanze, delle bevande, nella disposizione degli utensili per consumare il cibo e ovviamente del tipo di cibo consumato; per non parlare poi delle giornate di festa dove l’apice dell’evento è sempre il pasto comune, solitamente più ricco e abbondante del menù quotidiano. Non dobbiamo poi dimenticare che il cibo scandisce anche il tempo, separando le fasi della nostra giornata e delle stagioni. Tutto ciò assieme al nostro bagaglio culturale ci è stato tramandato dai nostri padri e dai padri dei nostri padri.
La globalizzazione del mondo sta distruggendo anche questo.
Se l’avvento del mais (e delle patate) nel ‘500, ha salvato l’Europa dalle carestie, ora il suo abuso sta deformando il nostro sistema alimentare e oltre a ciò ci sta anche intossicando!
Il mais dal quale ricaviamo l’amido, presente ormai in moltissimi alimenti è anche diventato la fonte di nutrimento principale degli animali da allevamento. Animali che dovrebbero invece esseri nutriti con ben altri prodotti; ad esempio nutrire una mucca con mangimi derivati quasi esclusivamente dal mais è paragonabile a nutrire un bambino appena nato con coca-cola invece del latte materno. Questa alimentazione scorretta comporta problemi al metabolismo negli animali, i quali vengono così sottoposti ad ormoni ed antibiotici, che finiscono poi nella bistecca del consumatore.
Le nostre città, invase di fast-food, rigurgitano la loro carne transgenica e loro patate fritte al popolo mediterraneo, che soffocato da una vita frenetica si lascia stuzzicare l’acquolina da hamburger e patatine, dimenticando i prodotti della propria terra e perdendo così anche il momento di condivisione che avviene attorno alla tavola.
Ora lungi da me fare l’apologeta dei vegetariani, ma amo ricordare che nella Grecia antica esisteva una triade alimentare (ripresa poi in parte anche dal mondo romano), che era connotata da tre alimenti: i cereali, l’olio e il vino. Una triade alimentare che è anche divina, poiché ognuno di questi tre alimenti era soggetto alla sfera di competenza di una divinità, rispettivamente: Demetra, Atena e Dioniso (per fare un inciso ritroviamo questi tre alimenti trafugati dalla ritualità cristiana, dove il vino e il pane diventano corpo e sangue di cristo, mentre l’olio è il sacro simbolo dell’unzione, da cui appunto deriva il nome Cristo, l’“unto”). Anche Platone nella Repubblica, teorizzava per il suo stato ideale un’alimentazione basata su prodotti della terra e caseari. L’allevamento degli animali invece, fondamentalmente ovicaprini, era praticato per ottenere la lana e il latte per i formaggi e non per cibarsi della carne, ovviamente non mancava il pesce del mediterraneo per chi viveva nelle zone di vicinanza al mare. La carne di animali, a parte i pesci, era invece consumata quasi esclusivamente durante un sacrificio, dove l’animale era spartito tra l’uomo e il Dio, ricordando il mitico banchetto del titano Prometeo. Il sangue che scorreva caldo dall’altare e irrorava la terra, simboleggiava l’energia vitale che andava ad alimentare il suolo, le ossa e il grasso dati in olocausto nelle fiamme nutrivano con i loro fumi gli dei, mentre le viscere e le carni, gli elementi più deperibili, venivano consumate dall’uomo mortale. Veniva così mantenuto saldo l’ordine e il rapporto tra sfera umana e sfera divina. La carne dunque non era proibita o evitata, ma diventava strumento della ritualità e simbolo dei momenti di festa, in cui la comunità si ritrovava per ristabilire attraverso il rito la sua struttura e la sua coesione sociale. In effetti questo modello rituale possiamo in parte ritrovarlo in quei pranzi domenicali, dove magari nella casa di campagna dei nonni le famiglie si riunisco per condividere il pranzo, magari con un succulento arrosto.
Esorto così i popoli del Mediterraneo a non dimenticare le loro tradizioni culinarie, godendo dei prodotti della loro terra, vivificati dall’energia del sole e non dalle lampade al neon, imparando ad amare ciò che la natura da in base alle stagioni e ai luoghi.
Federico (alder88@hotmail.it)
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