Di Mario M. Merlino
In attesa della seconda puntata dell’amico Giacinto Reale su quel fatidico 16 marzo del 1968, di cui si ritorna sovente a parlare e a interrogarsi (mi riferisco agli scontri all’interno della Sapienza sapientemente orchestrati dalle forze partitiche a tutto danno della nostra ‘avventura’ fuori dal coro), mi – e vi – allieto con qualche considerazione sul mio recente viaggio a Trieste. Città a cui sono legato e di cui ho scritto già più volte. A ridosso del 10 febbraio, anniversario decennale dell’istituzione della ‘giornata del ricordo’, foibe ed esodo delle genti istriane e dalmate.
Con l’amico e camerata e collega ed ora anch’egli pensionato, Roberto Mancini, siamo venuti a presentare La guerra è finita, scritto, dunque, a quattro mani o, ci si diverte a dire fra noi, scritto a quattro zampe. E’ un romanzo ove ognuno di noi s’è scelto uno dei due protagonisti e ne segue il comune destino, l’intrecciarsi della storia personale con quella generata dopo l’8 settembre del ’43 quando migliaia e decine di migliaia di giovani decisero che l’onore della patria andava riscattato con le armi e il proprio sangue. Francesco Enrico Accolla, che fu corrispondente di guerra della Decima MAS, figura di ‘galantuomo’ palermitano, minuto, garbato, con l’eloquio fluido e coinvolgente, ricordava nel suo bel libro Guerra su tre fronti come andarono ‘con poche speranze e nessuna certezza di vittoria’. Un capitolo per ciascuno ove Ludovico e Gaetano (così si chiamano i due giovani, ma non vi dirò qual è ‘il mio’) vanno ad arruolarsi nel btg. Lupo in fase di costituzione ne seguono le vicende la resa la prigionia il ritorno fino al loro rincontro e il definitivo addio…
Va da sé che la trama narrativa rimane tra queste righe affinché si generi la curiosità di leggere ogni riga delle sue 268 pagine. E, se non trattenessi lo spirito di verità che mi urla dentro e vorrebbe prorompere, aggiungerei che è proprio un bel romanzo. Da non perdere… Scrive Giulio Cesare che non si necessita attendere il mattino seguente per stabilire se si è ben condotta la giornata. Basta chiudersi, a sera, nella propria tenda prendere la tavoletta e lo stilo annotare quanto abbiamo compiuto. E aggiungo per garantirci dal rischio di facili atti di giustificazione e di rapide assoluzioni quale migliore confronto con coloro che ci hanno preceduto. Chiedersi, ad esempio, cosa farei io al loro posto nelle medesime condizioni? Questo il senso, forse da professore in nostalgia pedagogica, del romanzo come dei due precedenti libri di racconti.
La presentazione s’è svolta in via Ghega 2 dove ha sede l’Istituto storico di cui Carlo Alfredo Panzarasa è fondatore e presidente – già giovanissimo volontario di Francia nel btg. Fulmine, sul fronte della Venezia Giulia, per un’esistenza intera ha raccolto materiale di vario tipo – cimeli e fotografie e libri e riviste e documenti – avvertendo il dovere morale verso quei suoi commilitoni caduti nella località di Tarnova, gennaio ’45, impedendo agli slavi del IX Korpus di raggiungere Gorizia. Uno spazio evocativo, capace già di per sé di suscitare emozioni riempire gli occhi e la mente. Attento e partecipe il pubblico… Venerdì 7 febbraio, ore 18.
Sabato sera il comitato Trieste pro Patria ha organizzato l’annuale corteo in memoria delle foibe e dell’esodo. Appuntamento davanti alla chiesa di Sant’Antonio dove, nel novembre del 1953, la polizia agli ordini degli inglesi aprì il fuoco contro i dimostranti, in massima parte giovani, che si erano riuniti per chiedere il ritorno della città all’Italia. Si contarono morti e feriti. E’, dunque, il simbolo dell’italianità, di quel sentimento nazionale che si è alimentato con l’irredentismo la prima guerra mondiale gli anni di lotta contro lo slavo la foiba di Basovizza. E’ certo ben diverso sfilare per le vie di Trieste attraversare la galleria costruita dagli austriaci risalire a San Giusto e al monumento ai caduti le bandiere dell’Istria (ne porto una al collo) della Dalmazia della città di Fiume i tricolori, al ritmo cadenzato del tamburo – con passo fermo e sicuro –, le torce le ombre l’alone intorno ai lampioni la pioggia lieve che cade silenziosa… è la storia con i suoi eroi i suoi martiri gli entusiasmi le illusioni e gli inganni che t’accompagna ti avvolge ti coinvolge ti riempie…
S’è fatto tardi. Il tempo di una birra un panino con il ‘cotto’ e poi, via al concerto degli Ianua. Band genovese capace di ripercorrere, attraverso testi di colta e raffinata ricostruzione storica e sonorità di ricchezza poliedrica nel panorama della musica, momenti della nostra storia, di quella discesa agli inferi attraverso le tappe della nostra disfatta politica e morale. Così ai richiami alla Fiume dannunziana, all’arditismo della Grande Guerra, quasi luogo e tempo mitico di un’Italia altra ed alta, si contrappongono il furore della guerra civile e la corruzione oscena della nostra classe dirigente. E non poteva mancare Bora, la canzone dedicata alle foibe e all’esodo… Poi, la mattina dopo, in attesa di andare all’aeroporto di Ronchi dei Legionari (è in atto una proposta di cancellare quell’eversivo richiamo all’impresa di D’Annunzio!), lunga conversazione con Mercy (Renato), il cantante del gruppo, fuori dell’hotel Milano. Piove a dirotto.
Mi duole sempre lasciare Trieste (una sottile traccia di nostalgia verso le atmosfere decadenti e grigie di questa città, al contempo, mitteleuropea nei suoi palazzi e italiana, direi mediterranea, nel calore della sua gente). Ed è una Roma bastarda ad accogliermi, stupida vile ed infame… Di notte gli anonimi conosciuti residui dell’immondizia del Novecento tappezzano (imbrattano, è più corretto) con manifesti e scritte inneggianti a Tito ai partigiani dalla stella rossa alle foibe i muri della città. Come avviene in altre città, in questo rigurgito osceno e male odorante in cui si rifugiano i falliti e gli impotenti… (Un consigliere del comune di Milano ha scritto sulla sua pagina fb che nelle foibe c’è ancora posto… beh, questa volta, non ci troveranno impreparati e, mi auguro presto, sarà da divertirsi… Li conosciamo bene, sono i nipoti di piazzale Loreto, dello stupro e del colpo alla nuca, i figli di coloro che abbiamo visto correre, simili a lepri, con la
spranga in mano all’università…
spranga in mano all’università…
Di questa razza di bipedi inferiori non si può certo aver paura!). Noi, comunque. Non dimentichiamo raccogliamo il sangue e il dolore, il silenzio e la tragedia di quelle genti nostre… con la forza il dovere l’amore che ci è stato trasmesso anche dalla dignità con cui hanno saputo affrontare la morte le sofferenze l’esilio…