10 Ottobre 2024
Economia Politica trattati internazionali

TTIP E TISA: i trattati Usa-Ue che uccidono la politica e la sovranità – Roberto Pecchioli

 

Gli spazi di libertà e di dissenso sono ormai pochi e piccoli; la rete Internet offre ancora margini di verità per esprimere convinzioni fuori dal coro, in particolare idee, valori o semplici opinioni che non vengono accolte, anzi accuratamente censurate dal sistema di informazione “mainstream”, in mano, come non ci stanchiamo di ricordare, a non più di una mezza dozzina di grandi agenzie globali, i cui azionisti sono le grandi multinazionali, alcune grandi famiglie e le maggiori entità finanziarie, che scelgono e diramano la schiacciante maggioranza delle notizie e dei fatti da portare al pubblico.

Il trattato transatlantico di partenariato sul commercio e gli investimenti (TTIP) e quello sui servizi (TISA) tra gli Usa e l’Unione Europea sono la conferma più sbalorditiva di tale triste constatazione. Pochi italiani, e pochi europei, sanno qualcosa di questi due mostri giuridici e politici che travolgeranno a breve le nostre vite, nonostante la rete abbia svolto una meritoria ed importantissima opera di sensibilizzazione, raccolto alcuni milioni di firme contro i trattati, e alimentato la mobilitazione che ha portato in piazza a Berlino, lo scorso 10 ottobre, centinaia di migliaia di persone, e, sembra, scosso il governo tedesco che forse non è più disposto a ratificare a scatola chiusa i due trattati.

Cerchiamo allora di capirne più, con una breve disanima dei fatti. Il TTIP (Trattato di Partenariato Transatlantico) è un accordo tra Stati Uniti ed UE volto ad abbattere regolamentazioni, standard, normative e dazi allo scopo di aumentare i traffici transatlantici. Un’opportunità per pochi, che lascerebbe i cittadini dei due lati dell’oceano in balia delle grandi aziende, abbassando o azzerando le tutele ambientali, sociali, sanitarie, con la progressiva privatizzazione dei servizi pubblici. Il TISA si propone gli stessi obiettivi nel mercato dei servizi, dal commercio elettronico alle telecomunicazioni, alla finanza ai trasporti, alla sanità.

La vera posta in gioco, tuttavia, è la completa depoliticizzazione delle nostre società, nell’adesione ad un modello esistenziale basato esclusivamente sul mercato e sulla “governance”, ovvero su un sistema di potere globale fondato sull’amministrazione e non sulla politica, affidato ai grandi gruppi industriali e finanziari, alle Organizzazioni Non Governative, (ONG), ai poteri transnazionali.

Già a metà degli anni Novanta, il lungo negoziato detto Uruguay Round produsse l’accordo di Marrakesch, che certificava la fine del comunismo reale novecentesco, diminuiva in modo drastico i dazi e le altre misure doganali a limitazione o controllo del commercio internazionale, e, accogliendo nell’Organizzazione Mondiale del Commercio il gigante Cina, ha provocato il terremoto di cui conosciamo gli effetti nel campo dell’industria manifatturiera italiana. Unito all’effetto devastante della moneta unica il cui cambio era manifestamente sfavorevole ai nostri interessi, ma assai gradito al nostro concorrente tedesco, la manifattura italiana ha perduto in meno di vent’anni un quarto della produzione.

Con TTIP e TISA, il liberalcapitalismo nella sua attuale fase convulsiva, attacca le cosiddette barriere non doganali, ovvero cerca di spazzare via ogni legislazione nazionale o comunitaria che impedisca il libero movimento di merci e servizi. Il meccanismo tecnico è semplice quanto demolitore: abolire per trattato internazionale, bypassando le legislazioni, tutte le norme che tutelano i consumatori, i piccoli e medi produttori, nell’ambito della salute pubblica, della difesa dagli organismi geneticamente modificati, dell’uso di pesticidi, della difesa dell’ambiente e della biodiversità, dei brevetti e delle tipicità, e dare spazio ulteriore all’invasione dei modelli culturali ed esistenziali americani. La chiave è quella di omologare le legislazioni al livello più favorevole alle industrie, attraverso l’accoglienza degli standard americani, di gran lunga meno favorevoli agli interessi concreti dei cittadini, dei consumatori, delle piccole e medie imprese, del mondo agricolo.

L’aspetto vergognoso, addirittura ripugnante delle trattative, è che esse si svolgono nel più rigoroso riserbo, anzi nell’assoluta segretezza, e non tra Stati, ma tra l’Ufficio di rappresentanza per le questioni commerciali americano e la Commissione dell’Unione Europea, attraverso i suoi alti burocrati. L’organismo americano è stato creato dal governo statunitense per consentire alle multinazionali di scriversi da soli le norme che servano i loro esclusivi, sporchi, interessi.

Lo stesso Congresso americano, non il misero Parlamento italiano, non è neppure autorizzato a conoscere il contenuto degli atti, e potrà solo votare il testo finale, che finirà con l’approvare in nome del solito totem del libero commercio. Quanto alla Commissione UE, giova ripetere che è il sinedrio di 28 gentiluomini e gentildonne, uno per paese membro, nominati dai governi dopo estenuanti trattative e con il bilancino della opportunità e degli equilibri politici tra partiti. La Commissaria per il Commercio è la svedese signora Malmstroem, di cui è nota una frase illuminante: Noi non traiamo la nostra legittimità dai popoli. Almeno è sincera! I negoziati, in ogni caso, sono condotti, dal lato europeo, da alti burocrati e dai fiduciari delle multinazionali e delle grandi entità finanziarie continentali.

I governi sono ufficialmente all’oscuro del problema, e probabilmente davvero ignorano il contenuto preciso dei ventiquattro capitoli, divisi in tre parti, del Trattato. Naturalmente, Matteo Renzi si è affrettato a dichiararsi entusiasta delle “opportunità” offerte dal TTIP, ed ad assicurarne la rapida approvazione dal governo. Continuano a chiamarla democrazia, e ci rimbambiscono ogni giorno sulle magnifiche sorti e progressive del sistema politico vigente, che non è più solo il migliore, ma è addirittura l’unico possibile.

Quanto ai suoi costi economici, sociali, morali ed esistenziali, TINA, There Is No Alternative, non c’è alternativa, come recita il sintagma proveniente dall’America. Ma se non c’è alternativa, o stiamo parlando della morte, o di una dittatura. Certamente, di un colossale imbroglio.

Dalla parte delle imprese, sono mobilitati, sulle due sponde dell’Atlantico, centinaia e centinaia dei maggiori esperti di diritto internazionale, di diritto commerciale, di economia e finanza.

Nel corrente mese di febbraio è in programma il dodicesimo incontro (round) delle trattative. Avete, abbiamo letto qualcosa sui grandi giornali, abbiamo ascoltato notizie o dibattiti sulle catene televisive, così affollate di opinionisti e talk show per qualsiasi sciocchezza?

Eppure, a detta di chi si occupa del problema (segnalo il benemerito sito http//stop-ttip-italia.net), gli effetti reali dei due trattati sono i seguenti: centinaia di migliaia di produttori del settore agroalimentare saranno espulsi dal mercato per impossibilità di comprimere i costi. L’importazione di prodotti a basso costo e di pessima qualità, oltreché realizzati con criteri oggi assolutamente banditi dalla nostra legislazione aumenterebbe del 120 per cento circa. Abbandono massivo delle campagne, fine dei prodotti nazionali e locali, distruzione delle economie e della stessa sopravvivenza di intere regioni. La qualità del cibo sarà molto inferiore, anche per l’uso dei pesticidi delle famigerate multinazionali del settore, qui sinora proibiti.

Al riguardo, si deve rilevare che i brevetti relativi impedirebbero qualsiasi altra produzione della specie, e che i prezzi dei prodotti, in regime di esclusiva, o tutt’al più di cartello, sono imposti dai giganti del settore, con ulteriore distruzione di imprese che non potranno permettersi la chimica applicata all’agricoltura ed all’allevamento. Non si potranno più difendere le indicazioni geografiche, rafforzando l’egemonia di pochi grandi marchi. Le leggi di protezione dell’ambiente e le normative sanitarie verranno mutuate da quelle americane, con danni incalcolabili sulla salute e la sicura perdita di vite umane.

Tutte le industrie dovranno conformarsi ad un modello di economia di scala, modalità di produzione e di distribuzione che indeboliranno la manifattura europea, la nostra in particolare, favoriranno ulteriori delocalizzazioni, con aumento del precariato, della disoccupazione, l’abbassamento delle già misere difese sociali rimaste, e travolgeranno le piccole e medie reti commerciali e distributive.

Quanto ai servizi, che rappresentano ormai la maggioranza dei posti di lavoro e dell’innovazione, il TISA, che come il suo fratello maggiore TTIP è scritto sotto la dettatura dei giganti dei settori interessati, tra i quali HP e Google, la certezza è quella della privatizzazione di tutto.

Il TISA tratta i servizi come beni commerciabili e nega la loro funzione sociale, ambientale e culturale, ai fornitori non è richiesta alcuna connessione alle comunità cui si propongono di vendere le loro attività. Potranno lavorare entità off shore (paradisi fiscali), aziende straniere che costruiranno una più o meno fittizia rete locale, ma la cui mission (scusate l’abuso di termini dell’anglo tecno neo lingua) è di assicurare rapidi profitti agli azionisti di chissà dove. Nessuno di questi sedicenti fornitori di servizi avrà alcuna forma di responsabilità o dovere di rispondere ai cittadini (sudditi) della nazione consumatrice. Tra i servizi di cui si parla, ricoprono un ruolo centrale l’acqua (l’acqua!), la sanità (dunque la nostra stessa sopravvivenza fisica), le reti energetiche, le connessioni informatiche.

Tutto nelle loro mani, legando per sempre le mani agli Stati, ed alla stessa Unione Europea, impossibilitata legalmente a mantenere od adottare limitazioni di qualsiasi tipo. L’art. I-8 è chiarissimo “restrizioni non saranno adottate a protezione di particolari settori.” Se pagheremo il triplo l’acqua o non ci potremo curare, sapremo chi ringraziare: è tutto già scritto.

In generale, la previsione di aumento del PIL del 0,6%a regime in Italia a causa di TTIP e TISA è del tutto falsa, a detta di tutti gli osservatori indipendenti, anzi, avremo danni economici rilevanti, e se anche fosse vera, non giustificherebbe in alcun modo il trionfalismo dei circoli industriali, finanziari e dei loro servitori, tra i quali brilla il giovin signore di Palazzo Chigi.

Il sito dell’Unione Europea si distingue, come al solito, per distorsione della verità: nessun accenno ai veri protagonisti delle discussioni, pagine di entusiastica propaganda a favore del Trattato, il che, in corso d’opera, è quanto meno sospetto, e deboli accenni alla possibilità che le legislazioni europee possano saltare sotto la pressione dei giganti americani e multinazionali. Le gioiose manifestazioni di approvazione della concorrenza “libera e leale” e la stomachevole fervore sull’ ”accesso ai mercati dell’energia” sono anzi il disvelamento della falsa coscienza europoide.

Tutto è mercato, ma a vendere qualcosa sono abilitati solo poche centinaia, tutt’al più qualche migliaio di giganti. Per tutti gli altri, il mercato ha un’unica porta, quella di uscita. Siamo ormai al punto in cui occorre difendere il diritto di proprietà dai grandi monopolisti. La differenza con il comunismo sconfitto minaccia di essere minima, o addirittura favorevole al demone rosso, che almeno uno straccio di lavoro malpagato lo assicurava a tutti, ed anche un tetto, magari da condividere con altri disgraziati.

Il peggio, tuttavia, non è in quanto già esposto, ma nell’istituzione di due organismi “tecnici” (le virgolette sono essenziali), devastanti e fuori da ogni controllo da parte degli Stati ed ancor meno dei cittadini. Il primo è un meccanismo di protezione degli investimenti (ISDS) che consentirà di citare i governi eletti qualora introducessero per legge, dunque con legittimi meccanismi di consenso, normative lesive dei loro interessi, passati, presenti e futuri. Sì, perché varranno i principi civilistici di danno emergente e lucro cessante.

La ciliegina sulla loro torta è che le controversie non verranno giudicate da tribunali ordinari, vincolati ad un corpo legislativo, ma da un collegio arbitrale riservato formato da avvocati superspecializzati legati alle multinazionali, che sentenzieranno in base alle sole regole del trattato, infliggendo multe pesantissime agli Stati oppure obbligandolo, contro la stessa volontà popolare, a ritirare la normativa oggetto della lite. Anche la giustizia, pertanto, verrà privatizzata.

Il lettore che apprende per la prima volta i termini del Trattato non creda ad uno scherzo, o ad esagerazioni politicamente orientate: è tutto vero.

Facciamo un semplice esempio: la legislazione contro gli Organismi Geneticamente Modificati potrà essere facilmente attaccata e rovesciata da una pioggia di cause per “limitazione del commercio” da parte di Monsanto o Syngenta, alla faccia del principio di prudenza e della schiacciante maggioranza dell’opinione pubblica. Chi produce sigarette potrà ricorrere contro gli avvertimenti relativi alla nocività del fumo stampati sui pacchetti, e, nel settore dei servizi, organizzatori di gioco d’azzardo impediranno legalmente, in nome del sacro commercio, l’attività di associazioni che operano contro la ludopatia.

Gli sforzi per ridurre emissioni nocive per l’ambiente saranno facili bersagli delle cause degli inquinatori massivi e seriali di certe industrie, che verranno compensati con concessioni regolate, cioè sarà il contribuente a dover pagare i danni delle corporations. Dovranno essere drasticamente ridotti i controlli sanitari all’importazione, che ne aumentano i costi. In più, solo le multinazionali potranno rivolgersi al loro tribunale privato: singoli cittadini, associazioni, sindacati, movimenti sociali non avranno questa possibilità.

Questa è la nuova certezza del diritto: quella che vincono loro e perdiamo noi tutti. Per ulteriore sicurezza, viene prevista l’introduzione di un Consiglio Regolatore della Cooperazione, che nella lingua di legno in cui i significati sono invertiti, significa che ci sarà chi potrà valutare l’impatto commerciale di ogni marchio, regola, etichetta, ma anche contratto di lavoro o standard di sicurezza. A sua discrezione sarà valutato il rapporto costi/benefici – monetari, naturalmente- di ogni misura ed il livello di conciliazione tra le normative nazionali e comunitarie e quelle americane, e quindi deciderne l’effettiva introduzione e mantenimento. La chiusura dei parlamenti, e la stessa disoccupazione dei governi, è assicurata.

Sempre, ed ovviamente, in nome del mercato, del dogma liberoscambista, e, ça va sans dire, della conclamata democrazia.

La materia è esplosiva, ma il Parlamento europeo, verbosa istituzione utile solo a chi ne fa parte, ha rilasciato la delega esclusiva ai negoziati alla Commissione, la quale ha la piena facoltà di negare informazioni, e comunque è a sua volta nelle mani degli “esperti” e dell’alta dirigenza di Bruxelles, tutta schierata dalla parte del mercatismo e devotissima alla religione del denaro.

Si può fare qualcosa, si può impedire questa vergogna che abolisce in un solo colpo la democrazia, la sovranità e lo Stato di diritto? Difficile dirlo, ma conoscere per capire e decidere dovrebbe essere l’alfabeto minimo della libertà, insieme con la diretta partecipazione.

Per questo, anche noi, nel nostro piccolo, utilizziamo i residui spazi di libertà per gridare la nostra indignazione e per mettere in guardia chi vuole essere ancora, nonostante tutto, un uomo libero.

Nel Giulio Cesare, William Shakespeare fa dire ad Antonio una celebre frase, che rivolgiamo a tutti i tiepidi, ai prudenti, a tutti gli indifferenti : “La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi, se restiamo schiavi “.

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