Nel recente confronto elettorale regionale il centrodestra strappa alle sinistre un loro storico feudo, le Marche, ma non riesce a conquistare anche la Toscana e la Puglia. Ecco, però, che una mancata débacle per la sinistra si trasforma, nella narrazione dei media a tutto servizio, in una folgorante vittoria del PD e del suo segretario. Si potrà discutere sulle cause delle mancate affermazioni della destra, ma trasformare la sua innegabile avanzata nel trionfo dello schieramento opposto è la dimostrazione della pervicace attitudine truffaldina della sinistra, che si autotutela sempre con la contraffazione e la menzogna.
Ugualmente, la vittoria del SI al Referendum sul taglio dei parlamentari viene rappresentata come l’affermazione del M5S e come un viatico per Conte e il suo governo. Tutta la stampa di regime titola sulla sconfitta del “populismo” e sulla blindatura della legislatura come conseguenza del risultato referendario.
Ma è proprio così?
In realtà, a favore del SI s’era espresso uno schieramento trasversale che è stato premiato nel suo insieme dal risultato. Perciò, non si capisce per quale ragione quel risultato dovrebbe essere appannaggio di un unico partito né perché mai si debba leggere come un sostegno all’attuale maggioranza.
Anzi, la consistenza numerica dei favorevoli alla riduzione dei parlamentari rappresenta un sostanziale segnale di rifiuto e di sfiducia nella classe politica, in primis proprio di quella attualmente al potere. Se c’era una scelta che poteva essere definita autenticamente “populista” era proprio quella uscita vincitrice dalle urne. Via tutti, sembrerebbero chiedere gli elettori, meno deputati uguale meno ladri e incapaci al potere. Questo appare il senso politico di quel voto.
Pertanto, le ottimistiche previsioni di durata della legislatura, che ne scaturirebbero, nonché la strada in discesa fino al 2023, che dovrebbe essere percorsa dal governo, potrebbero essere, alla prova dei fatti, solo un miraggio.
Molto dipenderà anche dall’azione dell’opposizione. I risultati elettorali non mettono l’attuale maggioranza al riparo né dalle tensioni interne né dalle difficoltà da dover affrontare per il crollo dell’economia (circa 12 punti di Pil). La grave crisi del Paese che, al termine del blocco dei licenziamenti e della cassa integrazione, potrebbe vedere decine di migliaia di lavoratori in mezzo alla strada e senza prospettive, se non affrontata con i tempi e le modalità opportune, potrebbe innescare gravi tensioni sociali.
Sono problemi che non potranno essere risolti da questo esecutivo diviso su molte questioni e sostanzialmente incompetente, incapace di elaborare una visione comune e inabile a formulare un progetto unitario di rilancio del Paese.
Il tanto vagheggiato Recovery Fund, spacciato irresponsabilmente come una manna dal cielo, rappresenta, in ogni caso, un enorme debito che dovrà essere saldato nei tempi stabiliti e utilizzato secondo i criteri dettati dall’Europa, con una ulteriore cessione di sovranità nazionale. Cosa accadrà se non saranno rispettati i parametri europei? Cosa accadrà se le somme tanto annunciate non ci verranno concesse per l’inadeguatezza dei piani presentati? Non è un mistero che, al riguardo, l’esecutivo s’è mosso malamente, andando a richiedere alle varie amministrazioni la lista dei loro progetti e dei loro desiderata. E’ così che sono stati presentati oltre 600 progetti, in una logica spartitoria e disarmonica con la quale ogni centro di potere ha avanzato richieste di denaro, anche per le finalità più stravaganti.
Le passerelle di esperti, le commissioni di saggi, le innumerevoli task force, nominate e stipendiate da Conte per fronteggiare l’emergenza e per il rilancio del Paese, hanno lasciato il posto a un vuoto programmatico imbarazzante.
Con tali premesse non sarà facile ottenere prestiti dall’Europa, mentre le nostre imprese hanno necessità di interventi immediati, i settori attraverso i quali operare la ripresa del Paese necessitano di interventi strutturali e decine di opere già finanziate attendono solo di essere sbloccate.
Ma, soprattutto, la fanfara di Conte e dei suoi sodali ha nascosto la realtà di un Recovery che, allo stato, ancora non esiste se non come progetto, ma privo di qualsiasi concretezza, perché tuttora soggetto nei suoi meccanismi all’approvazione e poi alla ratifica dei vari stati membri.
Al riguardo, anzi, occorre tenere in conto le resistenze di vari Stati che non accettano il collegamento dell’erogazione dei prestiti al requisito dello “Stato di diritto”. In sostanza i governi dell’UE che minano i diritti fondamentali, quali ad esempio l’uguaglianza e la libertà di stampa, dovrebbero essere soggetti a sanzioni finanziarie ai sensi del Recovery Fund, per cui l’accesso agli aiuti dell’UE dovrebbe essere condizionato al rispetto dei valori europei fondamentali, ma tale rispetto dovrebbe essere sottoposto al giudizio del fronte radical progressista attualmente al potere nella Commissione e nel Consiglio europei.
Ovviamente, Stati come l’Ungheria di Orban o la Polonia non accettano l’intrusione di organismi europei pregiudizialmente avversi alle loro politiche, specie sull’immigrazione e la famiglia, che mirano a piegare le loro scelte nazionali e la loro sovranità utilizzando il ricatto economico.
In queste condizioni, anche l’approvazione del bilancio comunitario per il 2021-2027, legato a doppio filo al Next Generation Eu, cioè il Recovery Fund, è destinato a slittare determinando l’allungamento dei tempi di erogazione dei prestiti tanto strombazzati e agognati da Conte e dal PD.
Un’ipotesi del genere, travolgerebbe le aspettative di tanti settori economici, marchierebbe di inaffidabilità gli annunci del premier e del suo governo, ma riaprirebbe pericolosamente anche la strada al MES.
Si finirebbe dalla padella nella brace, con lo “stigma” della Nazione in difficoltà, con il coinvolgimento di un organismo privato com’è il MES, opaco e insindacabile, che diverrebbe creditore privilegiato del nostro Paese, col potere di cambiare le condizionalità e le regole del prestito in corso e, soprattutto, col potere di dettarci una tabella di interventi per rifondere il prestito ottenuto, obbligandoci ad adottare provvedimenti lacrime e sangue.
E’ un’ipotesi estrema, ma potremmo ritrovarci senza i soldi del Recovery, con il MES e con il governo delle sinistre che abolisce i “decreti sicurezza” e apre le porte all’invasione, come contropartita alla disperata ricerca di fondi europei. Un’ipotesi estrema che potrebbe rivelarsi una realtà distopica.
Peraltro, un governo che continua a utilizzare le settimane e i mesi per varare progetti demagogici, dannosi, ideologici e miserabili, dallo ius soli all’insegnamento di “Bella ciao” nelle scuole, rimanda l’immagine di un esecutivo allo sbando che ipocritamente promette mari e monti al Paese, ma di fatto opera per un risultato contrario e molto meno esaltante.
In sostanza, i prossimi mesi potrebbero rivelarsi qualcosa di più arduo e complesso rispetto alla passeggiata di salute annunciata dalla informazione mainstream.
Si parla spesso di un coinvolgimento dell’opposizione nella gestione del dopo emergenza e nel piano di utilizzo dei fondi europei per il rilancio del Paese.
Ma se le mosse dell’esecutivo ripercorreranno gli indirizzi xenofili e strumentalmente antifascisti delle sue componenti, nessuna collaborazione dev’essere prestata dall’opposizione. Gli accordi per un’azione comune possono essere raggiunti solo su basi di equità, non assecondando le pregiudiziali radical progressiste o appiattendosi sulle loro ossessioni propagandistiche e ideologiche.
I prossimi mesi possono rappresentarsi per Conte e il governo PD-5S un ostacolo insormontabile, contro il quale andare finalmente a schiantarsi
Enrico Marino
1 Comment