Con i tragici fatti d’Ucraina torna d’attualità il tema della cittadinanza e dei suoi valori e doveri morali. Chi vive in Canada (parlo del Canada perché io vi vivo), e oltre ad essere cittadino canadese è anche cittadino ucraino, ode la sua patria d’origine invocare aiuto. E vi è già chi è partito volontario per il fronte.
Gli immigrati russi, residenti da anni in Europa o in Nord America, si trovano in una situazione ben più difficile perché oggi sono visti come nemici. Dai giornali: “Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, atti e parole d’odio contro la diaspora russa sono sorti ovunque in Canada.”
Immaginiamo che questi espatriati inviino al Cremlino i loro eletti canadesi, come facciamo noi che inviamo dal Canada a Roma, in parlamento, i nostri rappresentanti “italo-canadesi”. In un simile caso il sospetto e l’animosità verso di loro sarebbero pienamente giustificati. In Italia il sospetto esiste già: “Nel mirino i russi italiani. Non solo oligarchi, basta avere sul conto più di 100mila euro per subire controlli.”
Vi è solo da sperare che il conflitto in atto non conduca ad atti aggressivi tra la comunità russa e quella ucraina, così come avvenne a suo tempo tra la croata e la serba, anche allora con partenze di volontari sui due fronti contrapposti, e con scontri fisici qui in Canada. O come quando, durante visita di Netanyahu a Montréal, gli studenti filomusulmani vennero alle mani con quelli filoisraeliani sul campus dell’Università Concordia (sic).
Il celebrato multiculturalismo canadese è un modello ben funzionante fino a che le patrie d’origine dei canadesi multiculturali non entrino in conflitto tra loro o in conflitto col Canada. Secondo me, è bene riflettere su nozioni come lealtà e fedeltà a un paese, a una patria, che molti “cittadini del mondo” considerano valori superati.
Gli italiani sentirono il conflitto di lealtà nazionale, causato dalla doppia cittadinanza, quando tra il Canada e l’Italia scoppiò il conflitto dei dazi doganali sulla pasta, poi fortunatamente rientrato. A ogni popolo, dopo tutto, il suo casus belli…
A questo proposito vi racconto quanto segue.
In quell’occasione un conoscente, perché in disaccordo con un mio intervento critico sulla legge elettorale italiana, creante la “circoscrizione estero”, mi obiettò in una email: “Parti dal punto di vista che si può essere patrioti solo per un paese all’esclusione di un altro. Ma chi ti ha insegnato queste favole? E quale forza divina prescrive che il patriottismo deve essere uno solo?”
Meditando la risposta da dargli, mi chiesi a quali esempi ricorrere per far sì che questo mio interlocutore capisse il pericolo di una fedeltà data a due nazioni. Pensai di dirgli che non è bello fare il servo di due padroni, tenere i piedi sue due staffe… ma pensai ad Arlecchino, maschera emblematica italiana, e capii che la maniera più adatta per fargli capire il mio punto di vista fosse parlargli o di mamma o di calcio. Stavo per dirgli che, come per un individuo è impossibile avere due mamme… ma poi mi venne in mente che oggi, grazie al progresso, è possibile avere due mamme e nessun papà. Uhm! mi dissi, è meglio che gli parli di calcio… E così gli controbattei: “Non sta neppure scritto che si debba fare il tifo per una sola squadra di calcio… Sì, si può fare il tifo per due squadre di calcio, il problema però è che quando le due squadre si affrontano è difficile fare il tifo per entrambe.”
Ma dopo avergli detto così, mi venne in mente che nel passato vi era stato un conflitto in materia d’importazione di pasta dalla Penisola. Lui, cosa avrebbe fatto se la cosa si fosse ripetuta? La pasta di quale delle due sue patrie avrebbe messo trionfalmente in tavola, se costretto a scegliere: quella, importata dall’Italia, più cara perché colpita da un forte aumento tariffario, o quella locale, meno cara?
Ma ormai gli avevo già risposto. Mi dissi: peccato, perché, con la mamma e con il calcio, la pasta sarebbe stato l’argomento decisivo.
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