di Michele Rallo
Non è vero che fra la cosiddetta prima repubblica e la cosiddetta seconda non ci siano differenze. Prendete le grandi manovre per le elezioni presidenziali, per esempio. Durante la prima repubblica la maggioranza presidenziale era, il più delle volte, la stessa maggioranza parlamentare che esprimeva il governo, tutt’al più allargata a qualche forza politica contigua. Durante la seconda repubblica, invece, la tendenza consolidata è quella di scegliere un nominativo di provata fede europeista e di farlo votare da uno schieramento il più ampio possibile: è stato il caso di Carlo Azeglio Ciampi, eletto nel 1999 con 707 voti contro i 72 del leghista Luciano Gasperini; ed è stato anche il caso di Giorgio Napolitano, eletto nel 2006 con 543 voti e con la benevola melina di 347 schede bianche da parte del centro-destra.
La fede europeista, insomma, sembra essere diventata la carta vincente nella corsa al Quirinale, e le collocazioni partitiche contano poco o nulla. Io stesso sono stato testimone diretto del primo atto di questo nuovo corso. A suo tempo, infatti, la candidatura di Ciampi (vicino ai DS) venne sorprendentemente avanzata dalla assemblea plenaria dei “grandi elettori” di Alleanza Nazionale, che aveva accolto la proposta in tal senso di Gianfranco Fini.
Per la cronaca, la proposta Fini ebbe soltanto quattro voti contrari; e uno di questi quattro voti fu il mio. Oggi, però, assistiamo a un deciso salto di qualità: sembra che, oltre al requisito di essere un euroentusiasta a prova di bomba, le regole non scritte della campagna presidenziale richiedano un’altra condizione essenziale: quella di avere — o di aver avuto — rapporti di dipendenza e/o di consulenza con la Goldman Sachs, la più influente fra quelle “banche d’affari” che governano l’economia del pianeta all’insegna della finanza “creativa”.
Orbene, il candidato più accreditato del Partito Democratico sarebbe l’ex premier Romano Prodi, il quale — oltre ad essere il responsabile primo dell’ingresso dell’Italia nell’Unione Europea — è stato consulente della Goldman Sachs dal 1990 al 1993 e dopo il 1997 (Wikipedia). Ma — se Prodi è il candidato-principe di una sinistra finanziarizzata e globalizzata — il centrodestra cerca di non sfigurare nel confronto. Il candidato di Silvio Berlusconi, infatti, è Gianni Letta (zio dell’Enrico Letta del PD) che dal 2007 è — cito sempre Wikipedia — «membro dell’advisory board di Goldman Sachs International con compiti di consulenza strategica per le opportunità di sviluppo degli affari». Sembra quasi che una regìa occulta manovri per imporci a tutti i costi un Presidente targato Goldman Sachs, che nel Gotha della politica italiana andrebbe ad aggiungersi al Presidente del Consiglio Mario Monti (“international advisor” di GS dal 2005 al 2011), al Governatore della Banca Centrale Europea Mario Draghi (vicepresidente per l’Europa di GS dal 2002 al 2005), al presidente della Borsa italiana Massimo Tononi (“partner managing director” di GS dal 1994 al 2006 e “advisory director” nel 2010). Certo, si sarà trattato di semplici coincidenze. E forse, se dovesse essere eletto un Presidente della Repubblica che sia o sia stato sul libro-paga della Goldman Sachs, sarebbe anche quella una coincidenza. Ma troppe coincidenze — come insegnano i cànoni della letteratura poliziesca — nascondono talora un disegno criminoso.
Nota di Ereticamente
Ringraziamo l’Autore e il periodico Social (Settimanale indipendente di Trapani) per la gentile concessione