Ottobre 2014
Il 4 ottobre scorso ero a Leopoli (Ucraina occidentale) dove ho partecipato al matrimonio di un amico con una ragazza del posto. Ne ho approfittato per fermarmi alcuni giorni e visitare la città, fra le maggiori dell’Ucraina con quasi ottocentomila abitanti, “famigerata” nelle cronache di questi tempi per essere la centrale del nazionalismo ucraino antirusso e delle milizie “nazifasciste” di Pravy Sektor.
Per capire le ragioni dei nazionalisti ucraini occorre subito mettere mano alla cartina geografica e provare a riassumere tanti secoli di storia travagliata. Leopoli (Lviv in ucraino, Lwow in polacco, Lemberg in tedesco…) è il capoluogo della regione storica della Galizia, e, a differenza di Kiev e dell’est del paese, da sempre nell’orbita russa, ha fatto parte per secoli della Polonia e poi, fino al 1918, dell’Impero Austro-Ungarico. La città ha quindi un’impronta architettonica e culturale assolutamente mitteleuropea, con i suoi ottimi caffè e pasticcerie; il grande teatro e i palazzi in stile Belle Epoque ricordano molto Praga o Cracovia e solo per questo Leopoli merita una visita turistica accurata.
In virtù di questa secolare appartenenza polacca ed austriaca, dal punto di vista religioso la popolazione ucraina, pur mantenendo il rito ortodosso, è in comunione con la chiesa di Roma, per cui si parla di comunità greco-cattoliche, i cosiddetti uniati, doppiamente perseguitati da Stalin proprio per la loro ostinata indipendenza dai più controllabili patriarcati ortodossi di Mosca e Kiev.
Dopo essere ritornata fra le due guerre sotto l’amministrazione polacca, con il patto Ribbentrop-Molotov del 1939 la città e la regione passarono per breve tempo all’URSS, una stagione di terrore che vide l’NKVD, la polizia politica comunista, all’opera con deportazioni, stragi ed esecuzioni sommarie per ripulire la città e le campagne da ogni elemento “reazionario e borghese”.
Nel 1941, quando iniziò l’Operazione Barbarossa, i tedeschi furono accolti subito come liberatori e la quasi totalità degli uomini abili (non sono segnalati in alcun modo e in nessuna fonte movimenti partigiani comunisti “autoctoni”) partecipò alla lotta antisovietica inquadrata principalmente in due organizzazioni.
Molti uomini furono arruolati direttamente nella Wehrmacht e nelle Waffen SS, in particolare si formò la 14° Waffen-Grenadier-Division der SS “Galizien” (ukrainische Nr. 1), unità dotata di forte spirito di corpo che combattè tenacemente sul fronte dell’est. Lo stemma della divisione era naturalmente il leone, da sempre simbolo di Leopoli.
Molti appartenenti alle Waffen SS ucraine riuscirono comunque ad arrendersi agli alleati e, in base ai confini del 1939, a farsi passare per polacchi, evitando quindi di essere riconsegnati a Stalin e sterminati, come gli angloamericani fecero con i “collaborazionisti” russi dell’armata Vlassov e con i cosacchi dell’atamano Krasnov di stanza nel nostro Friuli, in una delle operazioni più infami e vergognose di tutta la guerra.
La salvezza di molti di questi valorosi uomini ha permesso il fiorire di una diaspora nazionalista ucraina molto forte, soprattutto in Canada, ma anche in Sudamerica, Australia, USA, che dal 1991 ha contribuito a dare forza alla nuova Ucraina indipendente.
Nella campagne e nei villaggi della Galizia e della Volinia si formò poi un’altra importante organizzazione anticomunista, questa volta indipendente dai tedeschi: l’UPA (Ukrains’ka Povstans’ka Armija) Esercito Insurrezionale Ucraino, sotto la guida del capo carismatico Stepan Bandera.
Con la sua bandiera rosso-nera l’UPA raccoglieva l’eredità della da noi poco conosciuta Armata Nera di Nestor Ivanovič Machno, che durante la guerra civile russa (1918-21) combattè sia contro l’Armata bianca dei reazionari zaristi, sia contro l’Armata rossa dei bolscevichi, nel segno di un’ideologia anarchica e comunitarista che metteva al centro i poveri contadini cui furono distribuite le terre (poi sterminati da Stalin come kulaki), per un’Ucraina indipendente e libera.
L’UPA si propose quindi come una “Terza Posizione” e, un po’ come accadde con i cetnici di Draza Mihailovic in Jugoslavia e Serbia, combattè inizialmente anche contro i tedeschi che volevano germanizzare la regione e la città (ribattezzata Lemberg come ai tempi dell’Austria), oltre che contro i partigiani polacchi dell’Armata nazionale (Armia Krajowa), che nutrivano anch’essi mire annessionistiche sulla zona.
Ma ben presto l’incalzare del comune nemico comunista spinse l’UPA, che aveva raggiunto le dimensioni di un esercito di circa centomila uomini ben organizzati e inquadrati, a dirigere le sue forze contro l’armata rossa e ancora fino al 1949-50, ben oltre la fine della guerra, nelle paludi, nelle foreste e nelle campagne, fu attiva una efficace guerriglia contro l’occupante sovietico.
Stepan Bandera, riparato in occidente per organizzare la diaspora dei rifugiati e per sollecitare aiuti alleati (che ovviamente non arrivarono), venne assassinato, presumibilmente da un sicario del KGB, a Monaco di Baviera nel 1959, ed è oggi venerato a Leopoli come un eroe nazionale e un padre della Patria.
Leopoli e la Galizia hanno quindi “goduto” di appena 45 anni di dominio sovietico-comunista (1945-1991, anno dell’indipendenza dell’Ucraina dall’URSS) che, senza nemmeno il retaggio di una precedente appartenenza russa, come per Kiev e l’Ucraina Orientale, sono stati ancora più duri che nel resto dell’impero sovietico: 45 anni di deportazioni, paura, povertà. Fatalmente, il nemico sovietico-comunista qui ha finito con l’identificarsi con la Russia e i russi in senso lato, generando l’equivoco su cui si basa la crisi odierna.
Leopoli/Lviv, pur essendo una città bella e affascinante, vicina al cuore dell’Europa e con prezzi per noi bassissimi, non è mai stata una meta turistica molto quotata; doveva ricevere un forte impulso in occasione degli europei di calcio del 2012 disputati in Ucraina e Polonia, ma la crisi economica e il conflitto in corso hanno fatto sì che per il momento la città sia ancora lontana dai grandi flussi commerciali e turistici che hanno “corrotto” molte capitali dell’Est Europa.
Passeggiando per le vie della città si nota subito un clima di forte mobilitazione patriottica: bandiere nazionali ovunque, manifesti con appelli alla resistenza all’invasore russo e ad arruolarsi come volontari, presenza in ogni locale di cassette per raccogliere fondi per kit di primo soccorso e vettovaglie per i combattenti all’Est. Anche la TV trasmette tutto il giorno immagini della guerra nel Donbass che qui da noi non si sono mai viste (villaggi distrutti, combattimenti casa per casa, interviste ai comandanti e ai volontari…)
Anche nelle guide (per la Lonely Planet non è “gay-friendly” come le più aperte – ed è tutto dire – kiev e Odessa) Leopoli è descritta come molto tradizionalista e attaccata alle proprie radici e così è. Siamo entrati in una chiesa un giovedì pomeriggio alle 18,30 ed era in corso una normale messa feriale: la chiesa era gremita di persone, moltissimi i giovani fermatisi qui evidentemente dopo il lavoro, la funzione solenne e cantata come da noi nemmeno a Natale, le sacre icone avvolte da una stola con ricamati i motivi tradizionali della tradizione nazionale slava (molto simili alla “greca” e alla croce uncinata).
Un aspetto estremamente piacevole è che quando si parla con qualcuno di “partigiani” e di “resistenza” a Leopoli si da per scontato, è sottinteso, che si sta parlando dei guerriglieri anticomunisti dell’UPA di Bandera e questo per me, che sono emiliano, costituisce una soddisfazione impagabile.
A tal proposito nel centro città si trova il “mitico” pub-ristorante “Kryjivka”, ricavato unendo cantine e seminterrati di palazzine contigue, in modo da ricreare lo stile dei rifugi sotterranei dei guerriglieri nazionalisti dell’UPA (detti anche banderisti, dal comandante in capo Stepan Bandera) disseminati nelle paludi e nelle foreste della Galizia, della Polesia e della Volinia negli anni ’40.
Il locale non ha indirizzo né insegna, occorre trovarlo da soli, magari grazie alle indicazioni di qualche passante: bisogna bussare e, quando ad aprire si presenta nientemeno che un ragazzo vestito da guerrigliero banderista con tanto di vecchio mitra tra le mani, occorre dire “Slava Ukraini” (gloria all’Ucraina), se gli piacete (se avete i capelli lunghi e la maglietta del “Che” meglio evitare direttamente…) lui risponderà “Heroyam slava” (gloria ai suoi eroi) e vi offrirà un bicchierino della vodka locale in segno di ospitalità.
Il locale si dipana nelle cantine ricoperte di manifesti, bandiere, poster e foto dell’UPA e delle Waffen SS ucraine; ci sono poi appese in gran numero uniformi, armi ed equipaggiamenti più o meno originali, con tanto di negozio che vende gadget e magliette.
E’ sicuramente un’operazione commerciale, per certi aspetti anche di dubbio gusto, ma visti i Mc-Donalds e i tanti altri locali a tema che ammorbano le nostre città, direi che possiamo concedere questo “peccato veniale” ai camerati ucraini, tanto più che la birra locale è buonissima e viene servita letteralmente a fiumi e a un prezzo bassisimo.
La parte che mi ha maggiormente impressionato in questo viaggio è stata però la visita al cimitero monumentale Lychakivske, su una collina tra gli alberi in una atmosfera autunnale gotico-romantica davvero unica.
Ma non è solo per le atmosfere dark e romantiche che occorre andare: a un certo punto si apre alla vista il monumento alle Waffen-SS ucraine della divisione Galizia, costruito di recente, ovviamente dopo la caduta del comunismo e l’indipendenza del 1991. Qui vengono a farsi seppellire i vecchi reduci della divisione, anche dal Canada e dall’Australia. Accanto ad essi, si trovano una trentina di tombe fresche, con la terra ancora smossa e la croce di legno, ricoperti di corone e mazzi di fiori gialli e blu: sono i caduti delle milizie volontarie “fasciste” della guerra in corso contro i separatisti filorussi, che hanno voluto farsi seppellire accanto ai combattenti del fronte dell’Est della seconda guerra mondiale! Molti i ragazzi nati chi nell’89, chi nel ’93, caduti in giugno o nel luglio di quest’anno: vedere questi giovani soldati sepolti accanto ai reduci delle SS è stata per me un’immagine fortissima e resterà un ricordo indelebile.
In un’altra zona del cimitero era presente il monumento eretto in epoca sovietica ai caduti dell’armata rossa: i lastroni di marmo con i nomi dei soldati sono piuttosto malmessi e mancano completamente i fiori, e al posto della statua all’eroe dell’unione sovietica è presente una semplice croce di legno dedicata alle vittime dell’NKVD e ai deportati nei Gulag.
Accanto al monumento sovietico ormai in rovina sta sorgendo un altro, più grande memoriale dedicato all’UPA di Bandera, ma lo stile delle tombe con la croce di ferro tedesca stilizzata è sempre lo stesso delle sepolture dei caduti delle Waffen SS.
La crisi ucraina ha diviso profondamente il variegato ambiente della cosiddetta “destra radicale” fra chi manifesta una fedeltà incondizionata alla Russia di Putin e chi sostiene, per affinità ideale, le ragioni dei camerati ucraini.
E’ evidente che dal punto di vista geopolitico è in atto una vergognosa manovra, come sempre opera dei poteri forti mondialisti con base in USA, per allontanare la Russia dall’Europa, sfruttando abilmente le antiche rivalità etniche e storiche che ho descritto e la buona fede della gran parte dei nazionalisti ucraini.
Chi scrive ha sempre visto nella nuova Russia post-comunista l’ultima speranza per l’Europa di affrancarsi dal dominio statunitense e un’ancora di salvezza per il nostro continente sia dal punto di vista economico che etnico, culturale, geopolitico e financo “spirituale”. Il sogno di generazioni di militanti nazional-rivoluzionari è e sempre sarà un grande spazio imperiale europeo “da Lisbona a Vladivostok”.
Detto questo dobbiamo per forza schierarci contro gli abitanti di Leopoli e della Galizia, che hanno difeso per cinquanta anni con indomito coraggio le loro radici e la loro identità; che, unici al mondo, in combattimento levano in alto ancora una volta le nostre bandiere e i nostri simboli e che, infine, una volta uccisi si fanno seppellire accanto ai caduti delle SS, onorati e venerati come eroi da tutto il popolo? Dobbiamo appiattirci anche noi al livello della nuova propaganda antifascista che descrive i nazionalisti di Leopoli come mercenari neonazisti assetati di sangue?
Fra le parti in conflitto ci sono sicuramente infiltrati di ogni specie, mercenari e agitatori al soldo di NATO, USA e Israele, ma non per questo dobbiamo smettere di ragionare e di batterci in nome della verità contro la disinformazione e la propaganda dei media prezzolati di regime.
Certo, se esistesse un’Europa veramente unita e sovrana la soluzione di un conflitto del genere sarebbe semplicissima: le legittime istanze indipendentiste della Galizia e di Leopoli rispetto al mondo russo, ad esse estraneo e ostile, sarebbero accolte nel seno di una confederazione eurasiatica in cui la posizione mediana dell’Ucraina sarebbe il punto di unione, non certo di divisione.
Il sogno di tutti credo sia quello di veder marciare un giorno uniti i camerati ucraini e russi verso Ovest per unirsi a noi e liberare l’Europa tanto dal nemico interno, annidato nei palazzi a Bruxelles e Strasburgo, quanto dal nemico esterno, sia esso americano, sionista o islamico.
Nel frattempo, credo che sia più utile impiegare il tempo a studiare ed informarsi, piuttosto che dividersi in tifoserie e scatenarsi in polemiche da bar su internet: c’è una guerra fratricida in corso e i combattenti in buona fede di entrambe le parti meritano rispetto, specialmente chi è partito volontario invece di rimanere dietro una tastiera a chattare ed ora è sepolto alla meno peggio da qualche parte nel Donbass, in attesa di unirsi ai camerati caduti di ieri e di oggi nel cimitero degli eroi di Leopoli.
Giovanni Facchini
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