QUOTA CENTO. No, non si tratta della riforma pensionistica introdotta dal governo che permetterà ad alcuni di lasciare il posto di lavoro prima di quanto finora previsto. A tal proposito, vi informo che sto per andarmene in pensione ma con la legge Fornero in pieno, l’ennesima fregatura dello stato italiano ai propri cittadini, ma prescindiamo. La quota cento di cui vi voglio ora parlare, è quella della nostra rubrica. Siamo arrivati alla centesima parte, alla numerazione con tre cifre.
Vi dico subito, però, che questo è l’ultimo articolo che posto sotto questo titolo. La ragione in realtà è piuttosto semplice: io avevo e ho intenzione di continuare a occuparmi delle tematiche riguardanti la nostra eredità ancestrale, ma il titolo, un po’ enigmatico, degli articoli di questa rubrica, mi ha soddisfatto sempre meno. “L’eredità degli antenati” (che è anche il nome del gruppo facebook dove ho raccolto questi articoli) mi è sembrato e mi sembra più chiaro e pertinente, soltanto che, visto che ero ormai giunto a una novantina di articoli, mi è sembrato giusto arrivare fino a cento prima di compiere il cambio dell’intestazione e ripartire daccapo con la numerazione. Devo ammetterlo: per quanto mi riguarda, sono sensibile al fascino delle cifre tonde. Se ricordate, in occasione del cinquantesimo numero avevo fatto una sorta di riepilogo di quanto esposto fin allora, un tipo di operazione che però adesso non vorrei ripetere per non ridire cose dette più volte, anche perché, arricchito di nuove informazioni, lo schema di base è rimasto sostanzialmente lo stesso.
Poiché si tratta di tematiche che abbiamo visto insieme innumerevoli volte, non ve lo ripeterò se non in estrema sintesi. Le tesi della “scienza ufficiale” sulle nostre origini, ben lungi dal rappresentare qualcosa di obiettivo, fanno parte di un programma di indottrinamento politico che ha lo scopo di sminuirci ai nostri stessi occhi e di ridurre le resistenze alla sostituzione etnica, sono nel loro complesso una serie di falsità. Riguardo alla specie umana nel suo insieme, la tesi ufficiale è quella dell’origine africana, e abbiamo visto mille volte i motivi per cui essa non è assolutamente credibile, mentre ve ne sono per supporre invece un’origine eurasiatica, forse nordica-iperborea. Per quanto riguarda i popoli indoeuropei, quando, come fanno alcuni, non si nega esplicitamente la loro esistenza, la tesi ufficiale, che peraltro fa sempre più fatica a sostenersi perché ampiamente contraddetta dalla genetica, è quella della loro origine dalla migrazione in Europa di agricoltori mediorientali che (pacificamente, mi raccomando) si sarebbero espansi nel nostro continente alla ricerca di nuove terre da coltivare. Abbiamo visto invece che gli abitanti dell’Europa odierni discendono perlopiù dagli Europei paleolitici. I primi portatori dei linguaggi indoeuropei erano probabilmente allevatori e cavalieri nomadi delle steppe eurasiatiche, e in ogni caso è ben poco credibile che somigliassero a una versione preistorica delle comunità hippy.
La terza questione è strettamente connessa alla precedente, e si tratta di una storia completamente falsa ma che si siamo sentiti raccontare fin da piccoli, fin dai banchi delle elementari, ci siamo cresciuti in mezzo al punto che molti la considerano un’ovvietà nonostante le imponenti evidenze contrarie: la leggenda dell’origine della civiltà in Medio Oriente, nella cosiddetta Mezzaluna Fertile tra Egitto e Mesopotamia, civiltà di cui l’Europa sarebbe stata tardiva allieva al termine di un passaparola fra una catena di popoli e culture. Eppure, a smentire tutto ciò, ci sono perlomeno i grandi circoli megalitici, di millenni più antichi delle piramidi e delle ziggurat che costellano il nostro continente da un estremo all’altro. Per la verità, data l’importanza di questa tematica, più che in Una Ahnenerbe casalinga, ho sviscerato la questione in un’altra serie di articoli, Ex Oriente lux, ma sarà poi vero?
Quarto strato della torta: l’origine dei popoli italici e degli Italiani attuali. Anche qui c’è una grossa menzogna di regime da contrastare, quella secondo la quale gli Italiani sarebbero uniti dalla configurazione geografica molto ben delineata della nostra Penisola e da un lieve collante linguistico e culturale, ma da nessuna coerenza etnica e genetica. In altre parole, ci vogliono far credere di essere già oggi i meticci che intendono farci diventare, di non avere quell’identità etnica che intendono portarci via. Invece al riguardo i dati della genetica sono estremamente chiari: gli Italiani sono un popolo indoeuropeo etnicamente coerente, certo con sfumature locali e infiltrazioni di sangue allogeno, ma non in misura maggiore degli altri popoli europei. In realtà si tratta di un discorso che non coinvolge soltanto l’Italia: oggi vediamo dappertutto un pullulare di separatismi, di localismi, di campanilismi. Non è un caso: questo emergere dovunque di “identità” di piccolo respiro e sostanzialmente fittizie è uno strumento usato dal potere mondialista, dal NWO in parallelo con l’immigrazione allogena, per sradicare le uniche forze che possono ancora opporglisi: le identità nazionali. Bene, questo è lo schema che ho tracciato nella prima metà del nostro discorso. Ora, a parte tutto ciò che possiamo considerare analisi di ulteriore dettaglio o approfondimenti, come è mutato, se è mutato?
Rispetto a esso, io direi che occorre introdurre due variazioni o approfondimenti importanti: la prima, l’individuazione di un quinto strato della torta, che andrebbe inserito tra il primo e il secondo, cioè l’origine dei popoli caucasici, di cui gli Indoeuropei sono solo una frazione. C’è da dire che a questo riguardo, questa tematica si confonde quasi con quella stessa delle origini della nostra specie, homo sapiens, perché il responso della paleontologia è estremamente chiaro: i tipi antropologici mongolico e congoide (“nero”) non compaiono se non relativamente tardi nella documentazione paleoantropologica. Quello che è considerato un po’ il prototipo dell’homo sapiens, l’uomo di Cro Magnon, aveva caratteristiche che possiamo considerare caucasiche o molto simili, stando a tutte le ricostruzioni che ne sono state fatte. La teoria dell’origine africana, l’Out of Africa, l’abbiamo rilevato più volte, è una teoria matrioska, composta in realtà da due teorie una dentro l’altra: la prima asserisce che questa fantomatica uscita dall’Africa sarebbe avvenuta attorno al mezzo milione di anni fa, a livello di homo erectus, la seconda vorrebbe posticipare questa uscita di parecchio, attorno ai cento o addirittura cinquantamila anni fa, da parte di un’umanità già sapiens. E’ quest’ultima che interessa davvero i sostenitori dell’origine africana, perché non darebbe alla nostra specie il tempo di differenziarsi in razze, delle quali si vuole a tutti i costi negare l’esistenza, ma è chiaramente contraddetta dal gran numero di fossili umani risalenti a centinaia di migliaia di anni fa che sono stati ritrovati in Eurasia e in Australia, allora nasconde la sua scarsa o nulla plausibilità dietro l’omonimia con la prima.
Ma, come a questo punto possiamo facilmente intuire, c’è un altro livello di equivoco. Nessuno lo dice in maniera troppo esplicita perché i fatti sono lì a contraddirlo, ma quel che ci si vuole dare a intendere, è che “veniamo dai neri”. In altre parole, si gioca sull’equivoco fra “africano” in senso geografico e “nero” in senso antropologico. Ora, è certo che gli uomini di Cro Magnon fossero – li potremmo definire – dei proto-caucasici, esattamente come non è che Mosè, Cleopatra, Chris Barnard, John Tolkien fossero neri perché nati su suolo africano. Quindi possiamo vedere bene che l’Out of Africa non è nemmeno una teoria, ma un abracadabra, un gioco delle tre carte, un imbroglio. In secondo luogo, bisogna prendere nota delle risultanze della paleogenetica, delle ricerche sul DNA antico che sono state sviluppate da Svante Paabo. Esse hanno permesso di accertare che i nostri antenati Cro Magnon si sono accoppiati con popolazioni più antiche che hanno lasciato traccia nel nostro DNA, gli uomini di Neanderthal e quelli di un ceppo scoperto in tempi recenti e ancora oggi poco conosciuti, gli uomini di Denisova. Noi caucasici avremmo fino al 4% di geni di Neanderthal nel nostro patrimonio genetico, mentre asiatici e australoidi, avrebbero fino al 6% di geni di Denisova, mentre nei neri non risulta traccia né degli uni né degli altri.
Come dice un noto proverbio, “la mamma dei cretini è sempre incinta”. Questo ha spinto alcuni sprovveduti ad esaltare “la purezza” della linea africana rispetto a noi, ibridi di Neanderthal e Denisova. Come se non bastasse, hanno pure inventato un termine orribile per indicare questi apporti al nostro DNA: introgressioni, come se si trattasse di intrusioni o infezioni. Ma ci stanno prendendo in giro? Gli esseri umani non sono batteri, ma mammiferi superiori, e l’unico modo in cui può avvenire uno scambio di materiale genetico è attraverso il rapporto sessuale. Come sempre, come accade regolarmente per tutte le utopie di sinistra, la realtà dei fatti è giunta presto a smentirli. L’aveva già raccontato Sarah Tishkoff, considerata una delle più autorevoli genetiste degli Stati Uniti in un’intervista pubblicata nel 2011, poi l’hanno confermato nel 2017 due biologi dell’Università di Buffalo, Homer Gockumen e Stephen Ruhl mediante una ricerca sulle proteine della saliva: i neri subsahariani non presentano traccia di geni di Neanderthal né di Denisova, ma in compenso hanno un’ “introgressione” molto estesa, più alta di quelle registrate in qualsiasi altro gruppo umano, pari all’8% del loro DNA di geni non sapiens provenienti da una specie umana od ominide per ora sconosciuta.
Sia l’intervista con Sarah Tishkoff, sia l’articolo di Gockumen e Ruhl sono stati pubblicati da “Scientific American” (versione italiana “Le Scienze”) che, come tutti sanno, è una pubblicazione di estrema, estremissima destra. I due ricercatori dell’Università di Buffalo, riguardo all’ominide africano con cui i sapiens provenienti dall’Eurasia si sarebbero accoppiati dando origine al ceppo subsahariano (cosa che sarebbe avvenuta attorno ai 40.000 anni fa) hanno parlato di una “specie fantasma”, perché rimane un grande punto interrogativo, ma forse qualche idea sulla sua identità ce l’abbiamo, grazie al lavoro di un’archeologa italiana, Margherita Mussi che ha studiato il sito di Melka Kunture in Etiopia e li ha riportati nel libro Due acheuleani, due umanità. Un concetto importante da capire, è che la capacità e la flessibilità mentali che hanno permesso alla nostra specie di passare dalla pietra scheggiata alle astronavi senza che le dimensioni e la struttura del cervello abbiano dovuto subire ulteriori modifiche (abbiamo per così dire ingigantito il software, ma l’hardware è rimasto lo stesso di 50.000 anni fa) compare soltanto con sapiens, ma fino ad allora l’evoluzione degli strumenti litici è strettamente parallela a quella delle capacità intellettive a loro volta correlate all’evoluzione biologica, e questo permette di “leggere” lo sviluppo degli strumenti litici come un vero albero genealogico. L’acheuleano è appunto il corredo litico tipico di Homo erectus.
Bene, partendo da questo assunto, cosa si osserva? Si vede che mentre in Eurasia Homo erectus si sviluppa in Heidelbergensis poi in Sapiens, in Africa abbiamo una totale stagnazione con la persistenza dell’acheuleano fino a poche decine di migliaia di anni fa, cioè fino all’arrivo dei Sapiens provenienti dall’Eurasia. La “specie fantasma” dunque non sarebbe altro che il “vecchio” Homo erectus che sul suolo africano sarebbe rimasto immutato almeno per un milione di anni. A questo punto tutti i pezzi del puzzle sono sul tavolo, basta solo metterli assieme. A farlo è stato Ulfur Arnason biologo dell’Università di Lund (Svezia), sulla base di un ragionamento in effetti piuttosto semplice: se è in Eurasia e non in Africa che Homo erectus si è evoluto in Heidelbergensis e da quest’ultimo sono discesi i tre rami di Cro Magnon, Neanderthal e Denisova, allora non si può mettere in dubbio il fatto che la nostra origine sia eurasiatica e non africana. Arnason ha chiamato la sua teoria Out of Eurasia in deliberata contrapposizione all’Out of Africa. A questo punto per l’Out of Africa non c’è partita, o meglio non ce ne sarebbe se fossero semplicemente i fatti a parlare, se ne dovrebbe riconoscere la totale, smaccata falsità, ma sappiamo che non si tratta di una teoria scientifica, bensì di un assunto ideologico creato allo scopo di costringerci ad accettare l’immigrazione africana, e possiamo essere sicuri che essa continuerà a essere sostenuta dal sistema accademico, dai media, dalla scuola anche se gli elementi a suo favore sono più esigui di un filo di ragnatela, e le prove contro di essa pesanti come elefanti.
Una cosa che non ha mai cessato di sorprendermi, ed è ancora più sorprendente guardandosi indietro dopo aver raggiunto l’obiettivo dei cento numeri, è il fatto di essere riuscito a pubblicare questi articoli con una scadenza più o meno bisettimanale, eppure sappiamo che l’archeologia e la paleoantropologia non sono certo la politica, lo sport o il gossip caratterizzati da scadenze fisse e ricorrenti. In parte ciò si deve al fatto che oggi è possibile, grazie a internet, navigare in tempo reale in un mare magnum di informazioni che un tempo non sarebbe stato nemmeno immaginabile, poi anche all’apporto di amici che hanno supportato in vario modo me e questa rubrica e ai quali vorrei esprimere un ringraziamento. Vorrei ricordarne in particolar modo tre, anche se temo di fare torto ad altri: Luigi Leonini, Daniele Bettini e il nostro Michele Ruzzai. Tuttavia non tutti i periodi sono uguali. La prima parte di quest’anno di grazia 2019 è stata un periodo particolarmente intenso di novità, mentre nella seconda si nota un certo rallentamento, e vediamo ora di ricapitolare in breve le più importanti. Un fatto particolarmente importante, io penso, è che noi oggi non solo abbiamo la prova scientifica dell’esistenza delle razze umane (e ricordiamo che tutto il marchingegno truffaldino dell’Out of Africa è stato messo in piedi al preciso scopo di negarle), ma che questo fatto ha riflessi importanti e innegabili sulla stessa salute delle persone.
Se ricordate, ve ne ho parlato nella novantaquattresima parte: il caso è stato sollevato da una donna di colore residente in Germania, che si è rivolta alle autorità federali perché il figlio, malato di una grave malattia del sangue, necessita di periodiche trasfusioni, ma il sangue dei bianchi non è adatto, viene rigettato dal suo organismo a prescindere dalla compatibilità dei fattori AB0 e Rh. Abbiamo visto poi che diversi studi medici suggeriscono una diversa vulnerabilità dei diversi gruppi razziali a determinati tipi di tumori. Bisognerebbe tenere conto dei fattori razziali per curare adeguatamente le persone, ma certamente per IL POTERE la salute della gente ha un’importanza infinitamente minore della salvaguardia dei dogmi della democrazia. L’altra grande questione emersa nella prima metà del 2019 è quella relativa all’identità dell’uomo di Denisova, assai meno conosciuto degli uomini di Cro Magnon e di Neanderthal, anche perché i resti ossei di cui disponiamo sono meno di una manciata. Questo enigmatico personaggio e il tentativo di metterlo meglio a fuoco hanno dominato il convegno di paleoantropologia di Cleveland (Stati Uniti). Da quel che pare di capire, i denisoviani si sono incrociati varie volte con gli umani moderni, soprattutto in Asia orientale.
Un altro fatto che sembra ormai assodato, è che le loro popolazioni presentavano una variabilità maggiore sia di quella degli umani moderni, sia dei Neanderthal. Di alcuni di loro, ad esempio ci sono rimasti denti e ossa molto grandi. Vi è una forte tentazione di ricondurre al loro ricordo ancestrale le leggende di giganti che si trovano nel folclore di tutti i popoli. Sempre in questo periodo, da una grotta nelle Filippine sono emersi i resti di un’antica popolazione umana finora sconosciuta che è stata battezzata Homo luzonensis. Io non ci metterei la mano sul fuoco, ma data l’area geografica e l’età (50.000 anni fa) mi sembra verosimile che possa trattarsi di un ennesimo gruppo di denisoviani.
Ultimamente (ne riparleremo) sembra emergere una tendenza a prendere le distanze dai nostri predecessori di Neanderthal e Denisova che pare un tentativo estremo di salvare la sempre meno credibile Out of Africa. Questo è peggio che ridicolo: se noi troviamo le loro tracce nel nostro DNA, questo significa che i nostri antenati si sono incrociati con loro, che,almeno in parte, discendiamo anche da loro, e le regole della tassonomia sono molto chiare: se due creature possono accoppiarsi e dare luogo a una discendenza fertile, vanno considerate della stessa specie per quanto grandi possano essere le differenze morfologiche (pensate ai cani: le varie razze canine hanno morfologie diversissime, ciò nonostante, sono tutti cani). Non si sta solo cercando di prendere per il fiocco noi, si sta sovvertendo la biologia per salvare l’Out of Africa e i dogmi democratici. Con questo centesimo numero, Una Ahnenerbe casalinga chiude, ricominceremo presto con una nuova testata e una nuova numerazione, ma di una cosa potete essere sicuri, il mio impegno (e oserei dire il nostro impegno di tutti noi di “Ereticamente”) nel riscoprire le tracce della nostra eredità ancestrale, continuerà inalterato.
NOTA: Nell’illustrazione, una rappresentazione schematica della teoria dell’Out of Eurasia secondo Ulfur Arnason.
Fabio Calabrese
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