A volte sembra che il destino sia, non so se beffardo o benevolo, ma certamente giochi con ironia. Già altre volte mi era accaduto di segnalare su questa serie di articoli, che ha ormai superato la quota di cinquanta ed è diventata – si può dire – una rubrica sulle pagine di “Ereticamente”, il fatto che in un campo scientifico come quello della ricerca delle nostre origini, non fosse possibile trovare una scadenza di novità sostanziali come avviene per la politica spicciola, il gossip, lo sport o altro, e a distanza di poco tempo dopo aver espresso una simile lamentela, mi è capitato di trovarmi riversate addosso una serie di novità, di informazioni inedite, di scoperte sulle nostre origini, da lasciare sorpresi, se non proprio storditi. A volte ho l’impressione che ci sia qualche divinità – benevola, ma che non mi risparmia una tiratina di orecchie ogni tanto – che mi incoraggia ad andare avanti.
Bene, la volta scorsa, se non mi sono proprio lamentato, avevo comunque affermato che dopo due scoperte rivoluzionarie sulle tematiche delle origini come la scoperta di un ominide europeo vecchio di 7,2 milioni di anni i cui resti sono stati ritrovati nella area balcanica (Grecia e Bulgaria) e che è stato soprannominato “El Greco”, e quella dei resti di Homo sapiens anatomicamente moderni vecchi di 300.000 anni ritrovati a Jebel Irhoud in Marocco, sarebbe stato difficile che si presentassero di nuovo a breve scadenza scoperte altrettanto notevoli in grado di ridisegnare la storia della nostra specie.
A quanto pare, anche stavolta la divinità, genio, numen o daimon che sia, che sembra avermi preso sotto la sua tutela, si è divertita a smentirmi.
Per capire meglio l’importanza dell’ultima scoperta che segue le due sopra accennate e di cui ci siamo già occupati, sarà bene dire due parole introduttive.
Contrariamente a quanto asserito dalla maggior parte dei testi scolastici e di divulgazione “scientifica” che sono solo PROPAGANDA DI REGIME a favore del meticciato, la specie a cui apparteniamo, homo sapiens, è una specie politipica caratterizzata da importanti differenze sia di aspetto fisico sia comportamentali che trovano un puntuale riscontro nella genetica. Oggi non si vuole, anzi non è consentito usare la parola “razze”, ma al di là delle parole e degli artifici che è necessario usare per cercare di aggirare la censura di regime che esiste su questo argomento, la sostanza delle cose non cambia.
Queste differenze che hanno le loro origini nella genetica (gli studi scientifici seri smentiscono la credenza nell’onnipotenza dell’ambiente cara alle sinistre) risalgono al nostro remoto passato, al fatto che la nostra specie è nata da una pluralità di antenati che, distaccatisi da homo erectus hanno intrapreso per proprio conto il cammino verso il livello sapiens, anche se con incroci e apporti genetici reciproci che non hanno però fatto scomparire la peculiarità dei diversi gruppi umani. Oltre all’eredità dell’uomo di Cro Magnon che rappresenta “il classico” sapiens, negli europei (caucasici) e negli asiatici è riscontrabile la traccia genetica dell’uomo di Neanderthal, negli asiatici e negli australoidi quella di un uomo i cui resti fossili finora disponibili (alquanto scarsi) sono conosciuti da poco, l’uomo di Denisova. L’eredità denisoviana parrebbe essere particolarmente forte nei melanesiani che si differenziano in maniera caratteristica da tutti gli altri gruppi umani oggi esistenti.
Come se non bastasse, uno studio compiuto da un team di ricercatori catalani dell’Istituto di Biologia Evolutiva (IBE) di Barcellona sul genoma degli indigeni delle isole Andamane e di altre popolazioni asiatiche, ha evidenziato la presenza di geni che non risalirebbero né al sapiens di tipo Cro Magnon, né all’uomo di neanderthal, né a quello di Denisova, ma richiedono di ipotizzare un nuovo e per ora sconosciuto antenato dell’umanità attuale. In Italia e in lingua italiana, la notizia è stata riportata da un articolo apparso sul sito ecologista “Greenreport” (www.greenreport.it), Scoperto un nuovo misterioso antenato degli esseri umani moderni, di data 26 luglio 2016.
“La vulgata” ufficiale sulla storia più antica della nostra specie è completamente diversa, si pretende che gli esseri umani presenterebbero una pressoché totale uniformità genetica, che tutte le differenze fisiche e comportamentali che indubbiamente esistono fra loro, siano riconducibili a fattori ambientali e culturali, che i nostri antenati sarebbero emigrati in tutto il Vecchio Mondo (e poi nelle Americhe) provenendo dall’Africa (“teoria”, ma ci vuole un grosso sforzo di benevolenza per considerarla tale, dell’Out of Africa), e tutto lo sciocchezzaio tipico della sinistra; infatti se la base genetica è identica in tutti gli esseri umani, si può continuare a ragionare come se non esistesse e risuscitare o tenere in vita l’antico sogno della sinistra di riformare la società umana a partire dalla manipolazione dell’ambiente, come quando di genetica non si sapeva ancora nulla.
Poiché circa centomila anni fa in tutto il Vecchio Mondo esistevano varie popolazioni pre-sapiens o sapiens arcaiche, ecco che si è arrivati a immaginare un immenso colpo di spugna che le avrebbe spazzate via per lasciare spazio al solo e “puro” ceppo sapiens di origine africana. Questo colpo di spugna sarebbe consistito in una mega-eruzione del vulcano indonesiano Toba che avrebbe annientato tutti gli esseri umani allora esistenti, tranne un pugno di superstiti africani che sarebbero stati i nostri antenati (appena un po’ meno plausibili di quelli di Italo Calvino). Solo a formularla, ci si rende conto di quanto poco plausibile sia un’ipotesi del genere: è possibile che una catastrofe planetaria porti una specie sull’orlo dell’estinzione senza lasciare alcun segno visibile sulle altre?
La ricerca genetica ha dimostrato che le cose non stanno affatto così, e che questo psicodramma sulle nostre origini non ha nessuna reale consistenza. Naturalmente, i sostenitori dell’Out of Africa non potevano ignorare completamente il responso della genetica, e ne hanno preso atto in maniera alquanto schizofrenica. Mi è capitato più di una volta, seguendo il dibattito sulle origini come si è sviluppato sui social di notare una quasi umoristica (se non fosse tragica) esaltazione della “pura linea” africana in confronto a noi europei e asiatici, ibridi di Neanderthal e di Denisova, un atteggiamento che si può definire soltanto in un modo: RAZZISMO, un paradossale razzismo pro-africano, oltre che grottesco, penoso alla luce del fatto che gli autori di queste sparate sono in genere bianchi caucasici, si tratta quindi di un auto-razzismo, un razzismo contro la propria gente, che non si capirebbe se non per il fatto che costoro escono regolarmente da quelle fucine di paranoie e distorsioni mentali che conosciamo come sinistra e (mente)cattolicesimo.
Bene, qui arriva la sorpresa, perché il nero subsahariano, ben lungi dal rappresentare il tipo sapiens “puro” è a sua volta il prodotto di un’ibridazione con un ominide arcaico.
Il 2 agosto 2012 “Le scienze” ha pubblicato un articolo a firma di Gary Stix, In Africa i primi umani moderni si incrociarono con altre specie che è un’intervista con Sarah Tishkoff, una ricercatrice che l’articolista definisce “una star della genetica delle popolazioni”. La Tishkoff riferisce i risultati di uno studio genetico condotto su tre popolazioni di cacciatori-raccoglitori africani, e i risultati sono sorprendenti: per prima cosa, nel genoma di queste popolazioni non è stata trovata nessuna traccia di DNA risalente all’uomo di Neanderthal o a quello di Denisova, in compenso però:
“Abbiamo visto molti dati che testimoniano incroci con un ominide che si è separato da un antenato comune circa 1,2 milioni di anni fa”.
Questo è il quadro che avevamo disponibile finora, e questa nuova scoperta in che cosa consiste, che cosa aggiunge?
Cominciamo con il dire che si tratta di una scoperta che riguarda non i fossili, di cui per ora non abbiamo evidenze, ma la genetica (sebbene questo registro del nostro passato che portiamo in noi stessi sia ancor più conclusivo e probante), o meglio ancora in questo caso lo studio delle proteine, che sono l’espressione diretta della base genetica (una proteina è composta di aminoacidi, e ogni aminoacido è codificato in maniera univoca da una tripletta di basi accoppiate del DNA).
In questo caso si tratta di una ricerca dell’Università di Buffalo che è stata pubblicata su “Molecular Biology and Evolution” in data 21 luglio, gli autori sono il biologo Omer Gokcumen dell’Università di Buffalo e Stefan Ruhl, docente di biologia orale alla Scuola di Medicina Dentale. La ricerca e il suo interessante esito sono stati ripresi e commentati su diversi siti on line, in particolare phys.org.news del 21 luglio 2017 con il titolo In saliva, clues to a ‘ghost’ species of ancient human e da “Paleoanthropology” del 22 luglio in un articolo intitolato Gene Study Suggests Homo sapiens Migrated into Africa, Not Out of the Continent – Interbreeding with Local Hominins 150,000 Years Ago, a firma di Bruce R. Fenton. Una versione alquanto sintetica dello stesso articolo, limando i punti più “scottanti” è apparsa in lingua italiana su “Le scienze” del 24 luglio, e il nostro “MANvantara” l’ha subito postata.
Devo essere sincero: inizialmente non avevo colto l’importanza dell’articolo, sebbene gli avessi dato una rapida scorsa, sembrandomi semplicemente una conferma di quanto già emerso dalle ricerche di Sarah Tishkoff, e di cui “Le scienze” ci aveva già resi edotti nell’agosto 2012 (e poi sono sincero, non è che io ami moltissimo leggere testi in inglese). Per fortuna un amico, uno di quegli amici che io considero “collaboratori indiretti” di “Ereticamente” e senza il cui aiuto tenere questa rubrica sarebbe considerevolmente più difficile, Maurizio N., ha richiamato la mia attenzione su questo pezzo e mi ha spinto a una lettura più approfondita.
Di che si tratta, allora?
I due biologi hanno studiato una proteina, una mucina, la MUC7, presente nella saliva umana, sono risaliti ai geni che la codificano, e hanno scoperto che essa si presenta nei neri subsahariani e i geni che la codificano si presentano in una forma diversa rispetto agli altri gruppi umani, viventi ed estinti, caucasici, asiatici, ma anche gli uomini di Neanderthal e di Denisova. Per questi ultimi, ovviamente, non si è potuta esaminare la saliva, ma solo le sequenze di DNA ricavate dalle ossa.
La conclusione a cui i due ricercatori sono giunti, è che questa proteina deve essere l’eredità di un antenato esclusivamente africano, un homo arcaico o un ominide con cui i sapiens antenati dei neri subsahariani si sarebbero re-incrociati. Fino a questo punto, come si vede la conclusione a cui i due ricercatori sono giunti, è semplicemente una conferma di quanto emerso dalle ricerche di Sarah Tishkoff, ma i nostri ricercatori si spingono alquanto più in là, innanzi tutto, l’assenza assoluta presso qualsiasi altra popolazione al mondo della variante “africana” di questa proteina mette seriamente in dubbio che le popolazioni sapiens sparse per il mondo possano essere derivate da antenati africani, perché in questo caso essa sarebbe dovuta essere presente anche altrove, sia pure in proporzioni minoritarie. E’ di gran lunga più verosimile, sostengono gli autori, che homo sapiens sia nato in Eurasia e da qui abbia colonizzato l’Africa incontrandosi e incrociandosi con questo antico homo od ominide che, con un tocco di poesia, gli autori definiscono “specie fantasma” (“Ghost Species”) per l’assenza di riscontri fossili. (non è verosimilmente la sola “specie fantasma”, la stessa cosa si può dire del “nonno” degli isolani delle Andamane le cui tracce i ricercatori spagnoli dell’IBE di Barcellona avrebbero scoperto nel DNA dei suoi discendenti, ma di cui non abbiamo evidenze fossili).
Quasi tutti i ricercatori sono molto reticenti da questo punto di vista o cercano di salvare la capra delle loro scoperte assieme ai cavoli dell’ortodossia di regime, inventando funambolismi che cercano di persuaderci che “in realtà” le loro scoperte sono compatibili con l’Out of Africa, esattamente allo stesso modo in cui gli astronomi del cinque-seicento sostenevano che l’eliocentrismo era un semplice accorgimento per semplificare i calcoli, ma “in realtà” il sistema solare era geocentrico. Oggi lo scienziato che rivela verità che dispiacciono al potere, perlopiù non rischia di finire sul rogo, non rischia la pelle (non sempre, se pensiamo agli attentati subiti da Arthur Jensen), ma l’establishment politico e culturale ha ugualmente un gran potere di rovinare le vite e le carriere (anche gli scienziati devono mangiare).
Fa dunque un gran piacere che Omer Gokcumen e Stefan Ruhl abbiano il coraggio di affermarlo esplicitamente: homo sapiens è nato in Eurasia, e ha colonizzato l’Africa attorno a 150.000 anni fa (i 70.000 anni che ci concede “la teoria” del Toba sono veramente troppo pochi), con un movimento che è il contrario di quello che viene solitamente descritto.
L’OUT OF AFRICA E’ FALSA! Possiamo dire di averlo dimostrato e che il nostro compito è finito? Non credo che le cose siano così semplici, perché anche se abbiamo maturato la certezza definitiva della sua falsità, non è che questo renda superflua la lotta contro l’establishment accademico e culturale interessato a diffonderla, perché in ultima analisi non è che una propaggine del potere politico che vuole imporre l’universale meticciato.
Ricordiamo le parole dello storico Greg Gefferys, parole che oggi suonano quasi profetiche:
“Tutto il mito dell’Out of Africa ha le sue radici nella campagna accademica ufficiale negli anni ’90 intesa a rimuovere il concetto di razza. Quando mi sono laureato, tutti passavano un sacco di tempo sui fatti dell’Out of Africa ma sono stati totalmente smentiti dalla genetica. (Le pubblicazioni) a larga diffusione la mantengono ancora”.
I media continuano e continueranno a propagandare l’Out of Africa per quanto le ricerche di genetica o altra natura possano averla smentita, perché è una dottrina troppo utile per il potere che ci domina e vuole imporre ovunque l’universale meticciato, e per questa ragione continueremo a parlarne e a contrastarla.
“Ereticamente” continuerà, io continuerò, questa serie di articoli continuerà.
NOTA L’illustrazione, una suggestiva immagine della “specie fantasma” è stata ripresa dall’articolo originale apparso in lingua inglese e poi su “Le scienze”.