9 Ottobre 2024
Ahnenerbe

Una Ahnenerbe casalinga, decima parte

Intorno alla questione delle origini, non vi sarebbero più molte cose da dire, non ve ne sarebbero, beninteso, se si trattasse semplicemente di esporre i dati in nostro possesso e le teorie che in base a essi si possono ragionevolmente formulare, ma le cose sono alquanto più complesse e difficili di così, perché il compito non poco impegnativo che ci si presenta, è quello di controbattere una visione del mondo falsata che ci si impone con tutti i mezzi propagandistici e coercitivi del potere, che non ha alcuna base nella realtà, ma piuttosto nei dogmi dell’ideologia democratica che ci è imposta da settant’anni, e per la quale la realtà dei fatti non ha alcuna importanza e, scopertamente mira al plagio delle coscienze, senza scrupolo, naturalmente, di ricorrere a mezzi repressivi quando quest’ultimo non funziona.

Sarà bene per prima cosa fare una rapida sintesi delle conclusioni a cui porta il lavoro svolto finora, conclusioni che mi pare si possano riassumere in tre punti che sono altrettante smentite dei dogmi che l’ideologia democratica tenta di imporre come ortodossia scientifica a questo riguardo:

Primo: smentita dell’ipotesi dell’origine africana della nostra specie, la cosiddetta teoria (che poi non è una teoria per il semplice fatto che queste ultime richiedono elementi di prova a loro sostegno) dell’ “Out of Africa”, talvolta indicata – stante l’orribile vezzo anglosassone di siglare tutto – con l’acrostico OOA. Per chi non è addentro alla problematica delle origini, sarà bene ricordare che quella dell’origine africana RECENTE della specie homo sapiens a cui apparteniamo, è questione completamente diversa da quella dell’origine africana remota dei più antichi ominidi, Lucy e tutti gli altri le cui ossa sono state ritrovate lungo la Rift Valley che solca il continente nero dall’Etiopia alla sua estremità meridionale. Questi ritrovamenti, per quanto importanti dal punto di vista scientifico, non ci dicono nulla circa l’origine recente della specie cui apparteniamo, quando si passa dall’arco temporale dei milioni a quello delle decine di migliaia di anni.

Ora, per malcelata ammissione dei suoi stessi creatori, l’OOA non ha nulla di scientifico: la presunzione che gli Europei avrebbero avuto origine assieme a tutto il resto della nostra specie da una migrazione all’Africa che si suppone avvenuta qualche decina di migliaia di anni fa, che sarebbero in sostanza dei neri “sbiancati” dal diverso clima, è stata inventata per rendere impossibile la formulazione stessa del concetto di razza e, oggi siamo in grado di rendercene pienamente conto, in prospettiva per farci accettare l’immigrazione e il meticciato che stiamo oggi subendo, LA NOSTRA SPARIZIONE COME POPOLI.

L’OOA è imposta dal sistema “educativo” e mediatico come l’ortodossia scientifica dalla quale è proibito discostarsi, ma se andate a leggere i lavori degli specialisti, non è difficile scorgere tra le righe un quadro del tutto diverso. Mi rifaccio, per esempio, a un caso che ho già citato in precedenza: l’analisi del DNA dei resti di un uomo di Cro Magnon risalente a 28.000 anni fa, ha mostrato una forte affinità con gli Europei attuali, ma nessuna relazione con genomi africani.

Qui, direi, si svela il vero volto della democrazia: essa è un sistema tirannico formalmente ammantato di libertà ma nella realtà dei fatti pronto non soltanto a colpire con la repressione i dissidenti, ma, ESATTAMENTE COME LA MOSTRUOSITA’ SCOMPARSA NEL 1991 DAI NOSTRI CONFINI ORIENTALI, caratterizzata dall’imposizione mediante il sistema propagandistico mediatico, di un dogmatismo avulso dalla realtà e finalizzato alla perpetuazione del proprio potere.

Un punto che finora non abbiamo sufficientemente approfondito, è il ruolo giocato in tutta la faccenda dalla cosiddetta sinistra. Essa è “ovviamente antirazzista” e per il dogmatismo a blocchi di cemento, la rigidità mentale che caratterizza “l’essere di sinistra”, già la semplice constatazione che le razze esistono, NON il sostenere la supremazia di una razza sulle altre, è già razzismo. Basta che voi guardiate in faccia la realtà senza lasciarvi abbagliare dai dogmi che cercano di imporvi, e siete già sul libro nero di coloro che vanno sorvegliati a vista. E cosa dire poi del fatto che “i compagni” hanno accettato a scatola chiusa un dogmatismo preconfezionato creato da coloro che TEORICAMENTE negli anni della Guerra Fredda sarebbero dovuti essere i nemici?

C’è da sentire un brivido gelido scenderci lungo la schiena vedendo quello che scriveva negli anni ’70 una psicanalista francese, ovviamente di sinistra, Françoise Dolto. Costei, occupandosi dei complessi di un ragazzo mulatto, gli aveva detto che “era l’avanguardia di una nuova umanità”, che un giorno tutti sarebbero stati come lui. Che lei e qualcun altro fossero già edotti del destino che il mondialismo intendeva imporci, e che oggi è diventato sciaguratamente manifesto?

Il secondo punto, la seconda smentita che – abbiamo visto – si impone, riguarda l’origine dei popoli indoeuropei. Anche qui, tanto per sgombrare il campo da equivoci e malintesi, sarà bene premettere una precisazione: i “buoni” democratici, contagiati da un’ideologia avulsa dalla realtà, saranno pronti a obiettare che noi possiamo parlare di lingue, non di popoli indoeuropei, e allora occorre sottolineare che di norma una lingua corrisponde a una comunità di parlanti che tende a essere etnicamente e geneticamente omogenea (anche se non si tratta di un’omogeneità assoluta e scambi genetici fra popolazioni vicine sono sempre avvenuti), che le società multietniche sono un’eccezione, e per di più un’eccezione quasi interamente confinata all’età moderna, rara al punto da essere sconosciuta man mano che si risale indietro nel tempo.

Per la dittatura orwelliana che conosciamo come democrazia, la verità storica non ha, naturalmente, alcuna importanza, e le sue mistificazioni sono demandate soprattutto alla fabbrica di menzogne hollywoodiana che condiziona il modo di pensare della gente a livello planetario senza che quest’ultima se ne renda conto. Così, ad esempio, nelle pellicole “storiche” noi vediamo spesso neri fra i legionari romani, gli spartani di Leonida o addirittura i guerrieri vichinghi. Ci si vuole surrettiziamente dare a intendere per “normale”, “ovvio”, “scontato” ciò che normale non è affatto, ossia la società multietnica.

Ciò premesso, è del tutto chiaro che man mano che si risale indietro nel tempo, possiamo essere sempre più certi della coincidenza fra lingue e popoli etnicamente omogenei.

La concezione tradizionale che vede l’espansione dei popoli indoeuropei come il risultato di una serie di conquiste ad opera di guerrieri-cavalieri-allevatori provenienti dall’Europa orientale o dalle steppe eurasiatiche, che sottomettono le società agricole dell’Europa mediterranea e dell’area indo-iranica, è stata sostituita da una “nuova ortodossia” (pseudo)scientifica che ne fa invece agricoltori di origine mediorientale che si sarebbero pacificamente espansi in Europa alla ricerca di nuove terre da coltivare.

Non conquistatore guerriero, ma pacifico contadino, manca solo che ci venga detto che l’antico indoeuropeo era anche hippy e figlio dei fiori!

I primi formulatori di questa ipotesi (escogitazione, delirio?) sono stati due linguisti “russi”, Aharon Dolgopolskij e Vladislav Illic-Svityc (le virgolette si giustificano per il fatto che – guarda caso – dopo la caduta dell’Unione Sovietica  Dolgopolskij si è trasferito in Israele). Costoro ritengono di aver individuato un’antica proto-lingua da cui sarebbero derivati i linguaggi indoeuropei oltre a quelli semitici (caldeo, babilonese, assiro, fenicio, ebraico, arabo) e camitici (egizio, copto, berbero), e l’hanno chiamata “nostratico” dal latino “noster”, nostro.

Anche in questo caso, è evidente che si tratta di una formulazione ideologica volta a distruggere il “mito ariano” e, esattamente come l’OOA, è chiaramente smentita da un’informazione corretta, soprattutto dai dati messi a nostra disposizione dalle ricerche sul DNA. Se l’ipotesi del nostratico fosse corretta, infatti, sarebbe riscontrabile negli Europei di oggi una forte presenza di geni di origine mediorientale, cosa che invece non si verifica, c’è una modesta presenza di geni di origine mediorientale rilevabile soprattutto nell’area balcanica, ma non altro.

Le ricerche sul DNA dei popoli europei hanno rivelato soprattutto tre componenti: una componente molto antica, paleolitica che è la traccia lasciata dal più antico popolamento “sapiens” del nostro continente, che si riconnette direttamente all’uomo di Cro Magnon, una componente di origine mediorientale risalente probabilmente agli agricoltori neolitici, e un gruppo denominato “eurasiatico settentrionale” che deriverebbe dai cacciatori del Paleolitico superiore. Quest’ultima componente è maggioritaria in maniera schiacciante rispetto alle altre due. Noi portiamo nelle nostre cellule la traccia dei nostri antenati, e questo nuovo strumento, l’analisi del DNA sta arricchendo in maniera notevole le nostre conoscenze; peccato che nello stesso tempo distrugga i dogmi e i pregiudizi dell’ideologia democratica, o almeno li distruggerebbe se il confronto delle idee avvenisse su basi eque, e dalla parte della democrazia non ci fosse il potere di un uso esorbitante degli strumenti propagandistici e repressivi.

Io confesso di non avere dalla mia una conoscenza delle culture preistoriche e protostoriche paragonabile a quella di un Ernesto Roli o di un mai troppo rimpianto Adriano Romualdi. Fra le non poche che l’archeologia preistorica ha identificato sul suolo europeo, tuttavia, una che mi pare particolarmente significativa dal punto di vista simbolico, è quella dell’ascia da combattimento, perché è proprio l’ascia da combattimento che i sostenitori del nostratico vogliono sfilarci metaforicamente dalle mani per sostituirla con la zappa del contadino. Invece, considerando i difficili tempi che ci si preparano, abbiamo più che mai bisogno di tenere affilata e impugnare la nostra ascia.

Anche il terzo punto è una confutazione, una smentita, ed è un argomento al quale tengo in maniera particolare e a cui sulle pagine di “Ereticamente” ho dedicato non poco spazio: che le origini della civiltà siano da cercarsi in oriente, in pratica quel che ci viene raccontato da tutti i libri di storia, che vedono le origini della civiltà tra il Nilo e la Mezzaluna Fertile, passare dagli Egizi e dai Sumeri ai Babilonesi, agli Assiri, ai Fenici, agli Ebrei, ai Persiani, e solo in tempi successivi giungere in Europa attraverso i Greci e i Romani. Ho dedicato i dodici articoli di “Ex oriente lux, ma sarà poi vero?” alla confutazione di questa tesi che viene presentata come una banale ovvietà.

Non solo la civiltà europea si è costruita con le proprie forze essendo debitrice di ben pochi apporti dall’esterno, come dimostra ad esempio il fatto che la cultura megalitica del Wessex è di un millennio più antica delle piramidi egizie e mesopotamiche, ma l’ottica di questo tipo di asserzioni andrebbe capovolta, infatti, dovunque nel nostro mondo troviamo i segni di grandi civiltà, riconosciamo sempre un’impronta europea, europide, caucasica, “bianca”.

Un antico popolamento europide dell’Asia centrale e orientale potrebbe essere alle origini delle grandi civiltà di questa parte del mondo. Ne sono testimonianza le mummie “europee” e “celtiche” di Cherchen nel Takla Makan, i resti del misterioso popolo dei Tocari che abitavano il bacino del fiume Tarim, il popolo dei Kalash, biondi e pagani che ancora oggi nelle alte valli dell’Afghanistan e del Pakistan resistono all’assedio dei bruni mussulmani delle pianure, le popolazioni europidi del Giappone, gli Jomon e Ainu (il sostrato nativo del Giappone non è mongolico, è “bianco”), le sepolture dei kurgan, i grandi tumuli funerari delle steppe eurasiatiche dove si vede bene che un tipo antropologico mongolico si sostituisce gradualmente a uno caucasico.

Per quanto riguarda le Americhe, la più antica cultura litica del Nuovo Mondo, la cultura Clovis sarebbe stata introdotta da “immigrati” europei, cacciatori paleolitici dell’età glaciale che vi sarebbero giunti costeggiando la banchisa artica, abbiamo poi le leggende di “dei” bianchi e barbuti apportatori di civiltà: Viracocha, Quetzalcoatl, Gucumatz, e popolazioni di strani amerindi “bianchi”, Mandan e Aracani.

Là dove non è possibile scorgere un’influenza europide/caucasica, vediamo che le popolazioni native non si sono schiodate un millimetro dal paleolitico: Africa nera, Aborigeni australiani, Nuova Guinea.

Questo è il quadro complessivo che possiamo tracciare, e proprio perché ormai è abbastanza chiaro e definito, gli aggiornamenti da fare non sono molti. Ci rifacciamo ancora all’ampia ricerca condotta dal team americano-tedesco diretto da Johannes Krause dell’Università di Tubinga e da David Reich della Harvard Medical School del Massachusets sui genomi preistorici, che, oltre ad averci dato un quadro di una chiarezza che finora non avremmo potuto sperare, della nostra eredità ancestrale, ci permette di comprendere tante cose.

Questa indagine ha permesso di evidenziare nel DNA tratto dai resti di amerindi (vissuti, s’intende, prima del 1492) la presenza di 1/3 di geni di origine europea. E’ una conferma schiacciante della teoria che collega la cultura Clovis alle industrie litiche europee, e quindi della presenza di un’impronta caucasica, “bianca” tutte le volte che incontriamo culture che hanno dato vita a una civiltà, la regola vale anche per il mondo precolombiano.

A conclusione (per ora!) del nostro discorso, vale la pena di menzionare un ottimo articolo di Alfonso De Filippi comparso da poco sulle pagine di “Ereticamente”, e che ci racconta una storia molto interessante, ci parla di Charles Richet, (1850-1935), scopritore della sierologia e premio nobel per la medicina, che fu anche un assertore dell’eugenetica e della superiorità razziale dell’uomo bianco, la cui conservazione richiede l’evitare il mescolamento razziale. Ha espresso queste idee in un saggio del 1919, “La sélection humaine”. E’ ovvio che questi concetti sono incompatibili con la democrazia e il suo presupposto fondamentale, la presunta uguaglianza degli uomini.

Egli scrive:

“Invece di coltivare questo immenso errore che si chiama eguaglianza delle razze umane, errore che ci condurrà a dei disastri, bisognerà marciare verso un altro scopo, elevato e nobile: il perfezionamento dell’uomo. Noi creeremo tra le razze che popolano la terra una vera aristocrazia :quella dei bianchì, di razza pura, non mescolati con i detestabili elementi etnici che l’Asia e l’Africa potrebbero introdurre tra di noi”.

Come fa notare De Filippi, gli fa eco un altro grande pioniere della medicina, Alexis Carrel:

“L’ eguaglianza dei… diritti è pura illusione. Il debole di mente e l’uomo di genio non debbono essere considerati uguali di fronte alla legge; l’essere stupido, incapace di attenzione, abulico, non ha diritto ad una educazione superiore ed è assurdo dargli, ad esempio, lo stesso potere elettorale che all’individuo completamente sviluppato. I sessi non sono uguali. E ‘molto dannoso non riconoscere queste disuguaglianze Il principio democratico ha contribuito all’indebolimento della civiltà, impedendo lo sviluppo dei migliori, mentre è evidente che le disuguaglianze individuali debbono essere rispettate. Vi sono, nella società moderna, funzioni appropriate ai grandi, ai piccoli, ai medi e agli inferiori; ma non bisogna attendersi di formare individui superiori con gli stessi procedimenti validi per i deboli. La standardizzazione delle creature umane da parte dell’ideale democratico ha assicurato il predominio dei mediocri… il solo mezzo di produrre l’uguaglianza fra gli uomini era di portarli al livello più basso”.

Queste, occorre sottolinearlo, non sono le opinioni di due persone qualsiasi, ma di due padri della medicina moderna con una profonda conoscenza dell’essere umano dal punto di vista fisico e psicologico, formulate in un’epoca in cui, prima della catastrofe del 1945 e l’imposizione planetaria della tirannide democratica, era ancora possibile parlare liberamente di questi argomenti.

Le conclusioni le lascio a voi.

Fabio Calabrese

2 Comments

  • Michele Ruzzai 26 Settembre 2014

    Il mondo si regge sulle diversità, sono proprio queste che creano quelle “differenze di potenziale” (usando un termine elettrotecnico) dalle quali origina la storia. Personalmente tendo a porre più l’accento sulle differenze e le specificità delle razze umane, piuttosto che a gerarchizzarle; penso che già questo sarebbe un pilastro più che sufficiente per una compiuta autocoscienza, ora quasi inesistente, di noi Europei. Poi, in merito alla frase di Carrel sulla negazione del diritto ad una educazione superiore per le persone “abuliche”, credo che basterebbe creare un sistema scolastico fortemente selettivo per far emergere queste naturali disomogeneità – e di conseguenza una giusta ed equa società dove ciascuno sarebbe, e si sentirebbe, al suo posto – piuttosto che negare a priori almeno una situazione che parificasse le condizioni di partenza; diversificando invece – e notevolmente – il traguardo raggiunto. Stesso discorso per il voto: secondo me non è un “diritto inalienabile” che nasce con l’individuo, ma un qualcosa che spetta a chi se lo merita, che fa un “di più” rispetto ad una vita basata sui soli bisogni materiali: andrebbero create le condizioni per consentire a chiunque – anche qui, in partenza senza ad esempio distinzioni di censo – di dimostrare quel livello di partecipazione al “bene comune” che ne farebbe una persona degna di essere ascoltata nella sua opinione politica.

  • Michele Ruzzai 26 Settembre 2014

    Il mondo si regge sulle diversità, sono proprio queste che creano quelle “differenze di potenziale” (usando un termine elettrotecnico) dalle quali origina la storia. Personalmente tendo a porre più l’accento sulle differenze e le specificità delle razze umane, piuttosto che a gerarchizzarle; penso che già questo sarebbe un pilastro più che sufficiente per una compiuta autocoscienza, ora quasi inesistente, di noi Europei. Poi, in merito alla frase di Carrel sulla negazione del diritto ad una educazione superiore per le persone “abuliche”, credo che basterebbe creare un sistema scolastico fortemente selettivo per far emergere queste naturali disomogeneità – e di conseguenza una giusta ed equa società dove ciascuno sarebbe, e si sentirebbe, al suo posto – piuttosto che negare a priori almeno una situazione che parificasse le condizioni di partenza; diversificando invece – e notevolmente – il traguardo raggiunto. Stesso discorso per il voto: secondo me non è un “diritto inalienabile” che nasce con l’individuo, ma un qualcosa che spetta a chi se lo merita, che fa un “di più” rispetto ad una vita basata sui soli bisogni materiali: andrebbero create le condizioni per consentire a chiunque – anche qui, in partenza senza ad esempio distinzioni di censo – di dimostrare quel livello di partecipazione al “bene comune” che ne farebbe una persona degna di essere ascoltata nella sua opinione politica.

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