Riprendiamo i lavori della nostra Ahnenerbe casalinga, della nostra ricerca delle origini. Questa volta però ci dedicheremo a un tema molto specifico. Secondo una vulgata molto diffusa nella mentalità democratica, marxista e via dicendo, i motivi della guerra, del conflitto fra esseri umani diversi, nascono con le società storiche complesse e organizzate.
“l’uomo nasce buono e la società lo corrompe”. Questa famosa frase di Jean Jacques Rousseau è diventata una specie di dogma per democratici e “sinistri” di ogni specie, assieme al rimpianto per una presunta condizione edenica precedente alla presunta corruzione e il sogno di rifondare la società in modo da tornare alla dimensione paradisiaca delle origini. Che poi tutti i tentativi di muoversi in una simile direzione si siano trasformati in nuove ondate di sangue, violenza, orrore, è una contraddizione da cui queste anime pure non sono generalmente toccate.
Non occorrerebbe nemmeno dirlo, ma qui “il pensiero” (lo sragionamento) di sinistra s’incontra con quello cristiano; anche qui è tipico il rifiuto di un mondo competitivo, l’invito a fare come i gigli dei campi, che “non filano e non tessono”, e mai re Salomone non ebbe una veste più splendida della loro. Anche qui si passa dal porgere l’altra guancia all’inquisizione e ai roghi degli eretici.
E’ importante capire che questa visione del tutto contraria alla realtà dei fatti continua a essere alla base della concezione di sinistra e cristiana. Se non si vedesse nelle popolazioni extraeuropee che oggi l’immigrazione ci porta in casa una qualche sorta di inesistente purezza primigenia, sarebbe impossibile capire come costoro riescono a vedere “delle risorse” in questi immigrati che in realtà ci arrecano soltanto degrado, sporcizia, malattie, stupri, criminalità e violenza di ogni sorta oltre a costituire un aggravio di bocche da sfamare che vengono a pesare su economie già in crisi.
Bene, gli indizi che la concezione democratica, cristiana e marxista sia al riguardo assolutamente errata, l’esatto contrario della realtà, sono, per usare il linguaggio giuridico, “gravi, precisi, concordanti”.
Che i cosiddetti “buoni selvaggi” fossero in realtà caratterizzati dalla propensione al furto alla violenza, alla pratica disinvolta dell’omicidio, se ne accorsero nonostante i loro paraocchi illuministi, già i navigatori europei del settecento, a cominciare da James Cook e i suoi marinai a cui capitò di finire a riempire gli stomaci dei nativi delle Hawaii. Per inciso, al contrario di quanto hanno cercato di darci ad intendere da mezzo secolo a questa parte, oggi abbiamo le prove che il cannibalismo è tutt’altro che scomparso ad esempio dall’Africa.
All’altro estremo della scala, arretrando verso quel passato pre-umano da cui origina la nostra specie, sappiamo che gli scimpanzé, i nostri parenti biologici più stretti nel mondo animale, sono tutt’altro che i pacifici mangiatori di frutta che si credeva un tempo, che sono abili e accaniti cacciatori di piccoli primati, che sono accanitamente territoriali e l’incontro di una loro tribù con quella di altri consimili dà luogo a scontri violenti e spesso a episodi di cannibalismo.
Che anche l’uomo di Neanderthal fosse aggressivo verso i suoi simili appartenenti ad altre tribù e cannibale, appare oggi altamente probabile. C’è da segnalare tra l’altro il recente ritrovamento in un sito musteriano di un osso cranico umano che mostra i segni di essere stato a lungo usato come raschiatoio. Chi considera i suoi simili materia prima per utensili, non avrà certo difficoltà a considerarli anche riserve ambulanti di proteine.
E’ probabile che fino a quando le società umane sono rimaste allo stadio di cacciatori-raccoglitori nomadi, le guerre siano rimaste delle scaramucce locali, ma questo in primo luogo perché il popolamento umano del nostro pianeta era estremamente rado, e secondariamente perché ciò che ciascuna tribù possedeva era poco e ben poco diverso dal patrimonio dei suoi vicini, al punto che non valeva la pena rischiare la pelle per impadronirsene, NON perché costoro avessero nei confronti dei non appartenenti al loro gruppo un atteggiamento amichevole e non aggressivo.
Le conclusioni sono estremamente chiare: la guerra, la violenza, il razzismo, l’odio verso chi non appartiene al proprio gruppo NON SONO un’invenzione delle società storiche organizzate, ma affondano le radici nel passato pre-umano, derivano direttamente dagli atavici istinti sociali dei primati. Ciò che cristiani e sinistri fanno oggetto di un rimpianto edenico, è qualcosa che in realtà non è mai esistito.
Bene, ora siamo in grado di passare dagli indizi gravi, precisi, concordanti alle prove irrefutabili. Naturalmente, si tratta di nozioni che restano piuttosto circoscritte nell’ambito degli specialisti e si evita che arrivino al grosso pubblico, dato che potrebbero mettere in crisi la concezione cristiana, illuminista e marxista. E’ impossibile non pensare ai reperti egiziani di Jebel Sahaba che suggerivano conclusioni simili, e sono rimasti in un magazzino per trent’anni senza essere studiati.
“Le scienze” on line del 24 agosto riporta un articolo già apparso sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”, firmato dai ricercatori di un team tedesco-svizzero delle Università di Mainz e Basilea guidati da Christian Meyer, e già il titolo dell’articolo non potrebbe essere più esplicito: Massacri e torture nei conflitti del neolitico europeo. I ricercatori hanno studiato i resti umani emersi da una fossa comune di età neolitica risalente a 7000 anni fa nella località tedesca di Schoneck-Kilianstandten in Germania, contenente i resti di almeno 26 persone. Il ritrovamento si colloca nella facie culturale della ceramica a nastro (LBK per gli specialisti) e fa seguito al rinvenimento di altre due fosse comuni all’incirca coeve scoperte ad Asparn/Schletz in Austria e a Talheim in Germania.
Le sepolture non presentano nessuno dei segni di inumazioni rituali caratteristiche dell’epoca, i corpi vi sono stati buttati dentro alla rinfusa. Tutti gli scheletri, fra cui ve ne sono diversi di bambini, presentano i segni di torture e mutilazioni. Colpisce in modo particolare una delle foto che corredano l’articolo, quella del cranio di un bambino di età presumibile fra i tre e i cinque anni, sfondato da un violento colpo d’ascia. Tutti gli scheletri hanno le gambe sistematicamente spezzate, a riprova che torture e mutilazioni furono inflitte in modo intenzionale. E’ la prova evidente della distruzione di un gruppo umano ad opera di un gruppo rivale.
L’articolo fa parte un vero e proprio fascicolo che la più nota rivista di divulgazione scientifica dedica al tema dell’aggressività umana e al radicamento di quest’ultima nel passato biologico della nostra specie, perché è certo che Rousseau si sbagliava attribuendola alla “civiltà corruttrice”, tanto quanto è in errore la bibbia disegnando una prospettiva edenica ante-peccato originale, tanto quanto si sbagliava Marx illudendosi che bastasse cambiare la struttura sociale per porvi rimedio (ma naturalmente, che cristianesimo, illuminismo e marxismo abbiano preso delle cantonate grosse come montagne, non è una conclusione de “Le scienze” ma mia, sebbene mi sembra che tutto il discorso non lasci spazio a esiti diversi).
Sempre di questo “fascicolo” fa parte un articolo di Gianbruno Guerriero (nomen est omen?), che s’intitola Nati per distruggere? Guerre e aggressività nella specie umana. Quest’ultimo parte da una considerazione di politica/storia recente: la caduta del muro di Berlino, la sparizione del sistema sovietico, la fine del mondo diviso in blocchi contrapposti, avevano ingenerato la speranza dell’inizio di un’epoca di pace per l’umanità, speranza che gli eventi successivi hanno amaramente deluso. Oggi la tipologia dei conflitti appare mutata rispetto al passato: in genere cominciano come crisi interne di uno stato che man mano diventano l’epicentro di convulsioni sempre più gravi, di un sisma che progressivamente coinvolge i Paesi vicini; la crisi della ex Jugoslavia e quella siriana-irachena con l’emergere dell’ISIS sono forse gli esempi più tipici.
Subito dopo, l’autore fa un’osservazione a mio parere estremamente importante: la globalizzazione e l’avvento di società multietniche non hanno portato a una riduzione della conflittualità umana ma, al contrario, l’hanno decisamente inasprita, perché hanno portato al formarsi di una serie di “identità di ghetto”, una frammentazione in gruppi ciascuno dei quali indifferente od ostile (potenzialmente ostile) a ciò che lo circonda. Basterebbe questa constatazione a tagliare le gambe a qualsiasi buonismo sinistroide (catto-sinistroide, perché la differenza tra cristianesimo e sinistra è diventata sempre più impalpabile).
La tradizione illuminista-buonista risalente a Rousseau che ha trovato i suoi interpreti moderni nell’antropologia culturale, Margareth Mead oltre a Claude Levi Strauss, ha trovato una totale smentita nelle ricerche etologiche recenti, Konrad Lorenz innanzi tutto, ma l’autore si lascia scappare anche un’allusione a Robert Ardrey e al suo discusso e ingiustamente ghettizzato L’istinto di uccidere, e agli studi sul comportamento dei primati a noi affini, che rimandano all’idea che comportamenti aggressivi che possiamo “in nuce” definire bellici, fossero già propri del pan ancestrale, l’antenato comune dell’uomo e dello scimpanzé.
Ciò non toglie naturalmente che con l’emergere della nostra specie, i conflitti abbiano fatto un netto salto di qualità, poiché asce, lance e zagaglie, le stesse armi forgiate per la caccia, si rivelavano ancor più utili nelle dispute con gruppi concorrenti.
Infine Guerriero si sofferma sull’influenza del fattore religioso: la religione non sarebbe di per sé causa di conflitti, ma ha la proprietà di rendere qualsiasi contrasto non negoziabile, perché posizioni che riguardano vantaggi e risorse di natura materiale, grazie ad essa diventano questioni di principi e di valori sulle quali non è ammesso transigere o ricercare un compromesso.
So che questo è ovviamente impossibile, ma sarebbe davvero bello che il signor Bergoglio e soci prendessero atto di queste considerazioni che si appoggiano su ricerche seriamente documentate, capissero quanto sia pericoloso e irresponsabile favorire l’importazione in Europa di sempre più massicce comunità islamiche, e la smettessero di raccontarci favole che non hanno alcun fondamento nella realtà e con le quali vorrebbero indurci a comportamenti suicidi, comportamenti che vanno nella direzione del suicidio etnico.
In base al principio di par condicio o quello che comunemente si dice “dare un colpo al cerchio e uno alla botte”, nel fascicolo de “Le scienze” è presente anche una difesa d’ufficio delle tesi illuministe-democratiche-marxiste che vedrebbero nella guerra il portato recente delle società storiche complesse. Quest’ultima è affidata a un articolo non firmato ma che sintetizza le opinioni di due ricercatori finlandesi, Douglas Fry e Patrick Sonderberg, e s’intitola Origini recenti per la passione umana per la guerra. Tuttavia, l’argomento è alquanto debole e inconsistente, interamente basato sul fatto che le odierne società di cacciatori-raccoglitori non appaiono particolarmente aggressive, un argomento che presta subito il fianco a una grossissima obiezione: fino a che punto le società di cacciatori-raccoglitori oggi superstiti possono essere considerate rappresentative dei nostri antenati precedentemente alla scoperta e alla diffusione dell’agricoltura?
A mio parere, molto poco: bisogna innanzi tutto tenere conto del fatto che si tratta di frazioni marginali dell’umanità, rimaste attardate in uno stile di vita arcaico probabilmente proprio perché meno competitive di altri gruppi, e in secondo luogo che queste ultime oggi sono circondate per ogni dove da popolazioni di agricoltori sedentari demograficamente ben più numerose e compatte che le costringono a essere molto meno aggressive di quel che sarebbero in un ambiente per loro naturale. Pretendere di prendere a modello del comportamento dei nostri antenati del paleolitico superiore un ipotetico incrocio fra l’esquimese e il pigmeo di oggi, in definitiva è un’insensatezza.
Alla fine, il ritratto più veritiero della nostra specie è quello disegnato da Konrad Lorenz e da Robert Ardrey, anche se questo può dar fastidio alle “anime nobili” che ci vorrebbero più simili a un gatto da salotto, possibilmente castrato, che a un leopardo.
Io so che il contenuto di questo articolo sarà di difficile accettazione per alcuni di voi, mi si rimprovererà, suppongo, un atteggiamento eccessivamente “scientistico”. Ebbene, ciò dipende da un errore di prospettiva sul quale mi sono soffermato più volte ma sul quale è forse il caso di tornare ancora, la credenza che “la scienza” avalli in definitiva una visione di sinistra, il che porta molti di noi a un deprezzamento del pensiero scientifico stesso. In realtà “la scienza di sinistra”, chiamiamola così, questo impasto di Marx, Freud, Levi Strauss, Margareth Mead, di scientifico non ha proprio nulla se per scienza intendiamo l’applicazione sistematica del metodo galileiano, si appoggia su di una serie di concezioni chiaramente smentite dai fatti.
Vediamo invece cosa c’è sull’altro piatto della bilancia. Il miraggio di un mondo pacifico ed edenico non “corrotto dalla civiltà” secondo il falsissimo cliché inventato da J. J. Rousseau induce nei “compagni” (sinistri o mentecattolici) il disprezzo per tutto ciò che è “occidentale” oltre alla cecità totale su cosa sono questi invasori che costoro cercano in ogni modo di favorire.
Tutto ciò si traduce in disprezzo verso i propri connazionali che hanno il torto di essere “occidentali” e bianchi, un vero e proprio razzismo anti-bianco celato (talvolta piuttosto malamente) sotto la maschera dell’antirazzismo. Come ricorderete, tempo addietro avevo dedicato al razzismo rosso un articolo sulle pagine di “Ereticamente” che ha precisamente questo titolo.
Ricordo in particolare una certa signora, una conoscenza – non certo un’amicizia – di quelle con le quali occasionalmente (più occasionalmente possibile) tocca avere contatti e alla quale mi sono ben guardato dal rivelare i miei punti di vista, una tale che, se ve n’è qualcuno, si può definire un’autentica fan del cosmopolitismo, la cui casa è assiduamente frequentata da gente di tutte le etnie extraeuropee finché non avrà qualche brutta sorpresa (quando, e non se). Bene, un giorno la udii fare una violenta sparata anti-meridionale motivata (si fa per dire!) dal fatto che un suo collega di lavoro proveniente dal sud le aveva confidato di trovarsi male a Trieste e di desiderare di avere l’occasione di tornare a casa propria. Particolare grottesco: questa donna è di madre siciliana.
Rimasi di sasso; lì per lì trovai la cosa grottesca: ma come? Tu noi sei disposta a concedere a un tuo connazionale pugliese o siciliano nemmeno un’unghia della benevolenza e disponibilità che effondi con larghezza a qualsiasi nero o pachistano? Mi parve un’incoerenza assoluta, ma poi mi sono reso conto che alla base c’è una sorta di logica per quanto aberrante.
A chiunque provenga da una “cultura” extraeuropea (prescindiamo dal fatto che gli ingredienti di questa “cultura” sono spesso l’inferiorità della donna, l’infibulazione, l’odio verso altri gruppi etnici o magari il cannibalismo) è concesso l’imprescindibile diritto alla conservazione della sua “identità culturale”, ma se sei “occidentale” DEVI essere cosmopolita, senza radici, per te un posto deve valere l’altro e una gente deve valere l’altra.
Questo mi porta a una domanda. Abbiamo chiesto noi di essere “occidentali”? Abbiamo chiesto noi agli angloamericani durante la seconda guerra mondiale di venire a seppellire le nostre città sotto tonnellate di bombe per “occidentalizzarci”?
La realtà delle cose è molto semplice: poiché la conflittualità è ineliminabile nei rapporti fra i gruppi umani, noi non possiamo considerare le cose con neutrale distacco, sub specie aeternitatis, ma è DALLA PARTE DELLA NOSTRA GENTE che bisogna essere.