Questa volta, nell’attesa di novità nel campo delle origini, nei settori archeologico, paleoantropologico e quant’altro riguarda quell’enorme spazio di tempo che separa le tracce dell’umanità più remota dall’inizio della storia documentata, faremo un sempre utile ripasso dei fondamentali.
Cominciamo da quello che è assolutamente un concetto chiave: fra di noi sono alquanto diffuse delle forme di pensiero anti-scientifico per l’ovvia ragione che quel che chiamiamo “scienza” ci appare perlopiù come una serie di armi puntate contro una certa visione del mondo, dall’economia marxista alla psicanalisi, all’evoluzionismo, alla presunzione dell’inesistenza delle razze umane, eccetera, eccetera. Ma bisogna distinguere: quella che l’ortodossia democratica oggi ci presenta e ci impone come “scienza” non è affatto tale se per scienza intendiamo il metodo galileiano di indagine della natura basato sull’osservazione, l’esperimento, la ricerca delle prove, ma è solo costruzione ideologica, manipolazione, ciarlataneria, “fuffa”. Ho dedicato il saggio Scienza e democrazia suddiviso in sei parti e pubblicato sulla nostra “Ereticamente” a esplorare questo concetto nei più diversi campi, dalla fisica alla psicologia, e ora vi rimando a questo scritto.
Io personalmente dubito che esista un altro metodo valido oltre a quello galileiano per indagare il reale, un metodo che si ricollega alla razionalità del pensiero europeo che discende dall’antica Grecia. E’ forse il caso di ricordare che la matematizzazione della realtà da esso implicata, è stata definita dallo storico e filosofo della scienza Alexandre Koyré “Una rivincita di Platone”.
Ora però non sarà il caso di ripetere tutto quello che ho già scritto, ma di concentrarsi sull’aspetto della questione maggiormente attinente la tematica delle origini, cioè l’evoluzionismo. E’ stato osservato che quando la teoria di Darwin è stata formulata alla metà dell’ottocento, c’è stata un’immediata sovrapposizione tra il concetto di evoluzione e quello di progresso che ha favorito la diffusione di entrambi: l’evoluzionismo ha dato a quella che era una dubbia constatazione su di un segmento molto piccolo della storia umana la forza di una legge naturale, mentre il progressismo ha “calato nella storia” e nelle lotte politiche quella che altrimenti poteva rimanere una speculazione astratta circa l’ordine della natura. Tutto ciò, unito al fatto che le tesi evoluzioniste contraddicono apertamente la narrazione biblica della Genesi, ha infuso nei più la convinzione, che permane ancora oggi, che l’evoluzionismo sia “una cosa di sinistra”.
Tutto ciò, però, si basa su una somma di fraintendimenti davvero impressionante. Per prima cosa, le scale dei tempi sono inconfrontabili: la nozione di progresso è stata elaborata – lasciamo perdere con quale fondatezza – a partire dall’osservazione di una parte delle società umane in un arco temporale ristretto di un paio di secoli, e chiaramente non si estende al mondo naturale, mentre l’evoluzione riguarderebbe la totalità della vita lungo l’arco dei miliardi di anni.
In secondo luogo, questa concezione non riflette ma deforma l’immagine del mondo naturale uscita dalle ricerche del naturalista inglese. Si è messo in bocca a Darwin quello che non ha mai detto, cioè che le trasformazioni che vediamo nel tempo fra gli esseri viventi vadano interpretate come uno sviluppo ascendente, una continua marcia verso qualcosa di “migliore” come prescrive il dogma progressista, in modo da fare dell’evoluzionismo, ha osservato qualcuno, “Quella teoria che permette a qualsiasi imbecille di sentirsi più intelligente di suo padre”.
In compenso, aspetti di importanza cruciale del pensiero di Darwin sono sottaciuti, a cominciare dal fatto che egli non amasse per nulla la parola “evoluzione” e non la ritenesse adeguata a descrivere il suo punto di vista sul mondo naturale, tanto che nel suo monumentale L’origine delle specie compare una sola volta. Il concetto fondamentale della sua opera è quello di selezione naturale, della sopravvivenza del più adatto come meccanismo che spiega le trasformazioni delle specie nel tempo, selezione che non è solo il carnefice degli inetti, ma, attraverso l’accumulo delle variazioni favorevoli, costruisce i tipi superiori. Se ci pensate bene, questo riecheggia un pensiero molto antico, soppiantato in Europa dalla svirilizzazione cristiana, il pensiero di Eraclito: “La guerra è madre e regina di tutte le cose”.
Se vogliamo applicare questo pensiero alla società umana, esso non va certo a favore né della democrazia, né del progressismo, né del cristianesimo né del marxismo, ma in direzione della costruzione o della ricostruzione di élite aristocratiche. Ma il discorso non finisce qui, perché la tendenza insita in ogni vivente (e che noi, come esseri senzienti, possiamo assumere consapevolmente oppure pervertire), è quella di diffondere nelle generazioni future il proprio genoma, il proprio, non quello di chissà chi, il che va decisamente a favore di quelle “brutte cose” (per un democratico) che sono il nazionalismo o anche l’ identitarismo.
Se la visione naturalistica di Darwin appoggia un’ideologia politica, essa non è certamente quella democratica o di sinistra, e non è certamente un caso se gli scienziati che hanno cercato di basare le loro concezioni sulla conoscenza della natura invece che sui dogmi imposti dalla democrazia sono stati regolarmente bollati come “fascisti” e “razzisti”, dal grande Konrad Lorenz, a Richard Dawkins, a James Watson (scopritore del DNA assieme a Francis Crick), ma se risaliamo indietro nel passato, a quando la democrazia non era ancora riuscita a imporre la sua opprimente ortodossia dogmatica, scopriamo cose davvero sorprendenti, ad esempio Ernst Haeckel, lo scienziato e filosofo che ha formulato la legge biologica che porta il suo nome (“l’ontogenesi ricapitola la filogenesi”), ha lasciato scritto che se tra due chiocciole si riscontrassero le stesse differenze fisiche e comportamentali che vediamo tra un uomo bianco e un nero, nessun naturalista avrebbe dubbi nel classificarle in due specie diverse.
Che le specie viventi mutino nel tempo, è un fatto facilmente provato dal fatto che noi oggi non vediamo ammoniti, trilobiti e dinosauri se non sotto forma di resti fossili, ma di esso sono possibili più interpretazioni. Julius Evola, ad esempio, ha osservato che la comparsa nella storia della vita di forme man mano più complesse può essere spiegata con la caduta nel piano materiale di entità progressivamente superiori, essa dunque sarebbe la prova non di un’evoluzione ma di una decadenza cosmica.
Un concetto probabilmente un po’ troppo difficile per certi giovincelli cosiddetti evoliani a cui non è quindi rimasto altro che ricascare nel creazionismo abramitico, e questo è uno dei motivi (sicuramente non il solo, per questo tipo di persone “fa gioco” il potersi appoggiare a una “tradizione positiva” e a un’autorità dogmatica) che ha spinto diversi di loro a tornare nel grembo di Santa Madre Chiesa. Sentirli considerare Julius Evola una specie di ponte che ha permesso loro di tornare al cattolicesimo, è difficile dire se avrebbe provocato maggiormente lo stupore o l’irritazione dell’autore di Imperialismo pagano.
Al punto di vista di Evola, ed è lui stesso a indicare questa affinità, può essere accostato quello del paleontologo tedesco Edgar Dacquè, attivo fra le due guerre mondiali. Secondo quest’ultimo, l’uomo non sarebbe la creatura più evoluta, ma quella che ha subito meno adattamenti rispetto a una forma primordiale ancestrale a tutti i viventi. Ogni adattamento comporta una perdita di plasticità. Pensiamo alla zampa di un cavallo in cui “la mano” è ridotta a un solo dito, è splendidamente adattata per la corsa, ma non ridiventerà mai un arto in grado di afferrare e manipolare qualcosa. Quindi l’uomo invece di essere uno dei frutti più tardivi dell’evoluzione, sarebbe una forma archetipica, ancestrale a tutte le altre.
In tempi più vicini a noi, quest’idea è stata ripresa da Louis Pauwels e Jacques Bergier, gli autori del celebre Mattino dei maghi in libro che si intitola appunto L’uomo eterno e dove giungono alla conclusione che “Esiste un primo uomo quanto esiste un’estremità dell’universo”.
Ora, questa stessa idea che potrebbe valere in grande per l’insieme del mondo vivente, potrebbe valere in piccolo per “la famiglia dell’uomo”, cioè i vari ominidi, pitecantropi, australopitechi i cui resti sono stati dissotterrati dai paleoantropologi, potrebbero non essere nostri antenati, tappe di una staffetta destinata ad arrivare fino a noi, ma “cugini”, rami collaterali che hanno preso una direzione abortita rispetto alla via maestra che sbocca nell’umanità. La cosa interessante, è che ammissioni incaute che vanno in questa direzione si possono trovare anche negli scritti di ricercatori e divulgatori rigorosamente evoluzionisti e out-of-africani.
Vediamone qualche esempio. I signori del pianeta di Ian Tattersall è un libro pubblicato da “Le Scienze” nella “Biblioteca delle Scienze” nel 2013 e, come c’è da aspettarsi da un testo apparso in questa sede, rappresenta la più rigida ortodossia evoluzionista e out-of-africana, eppure…
Eppure a pagina 32, dove ci parla dell’ominide Ardipithecus Ramidus, noto colloquialmente come “Ardi”, Tattersall osserva:
“Ardi in sostanza è un animale misterioso. Non ha eguali tra le forme viventi per quanto riguarda la struttura dello scheletro e la ricostruzione del suo cranio è, almeno in parte, ambigua. Se era un ominide, di certo non si trovava sulla linea di discendenza degli ominidi successivi”.
Dunque in realtà non si trattava di un nostro antenato ma dell’esponente di una linea collaterale probabilmente abortita, e se lui, perché non altri o anche molti altri di questi esseri scimmieschi che ci si è voluti attribuire come antenati?
Nel 1986. Johanson è subentrato a Mary Leakey, vedova di Louis Leakey nella gestione del sito tanzaniano di Olduvay, e diede inizio assieme a un team di ricercatori da lui guidato a una campagna di scavi che portò alla scoperta dei resti di un ominide noto come “Ominide della Dik Dik Hill”, contrassegnato ufficialmente come OH 62. Si tratterebbe di una creatura di sesso femminile (non sono state trovate ossa del bacino, ma il sesso è stato diagnosticato in base alle piccole dimensioni, sarebbe stata non più alta di 105 centimetri), vissuta attorno al milione e ottocentomila anni fa, all’epoca della transizione tra australopitechi e homo, e che è stata classificata come appartenente alla specie homo habilis.
Nel libro I figli di Lucy scritto in collaborazione con il divulgatore James Shreeve, Johanson non nasconde il suo stupore per questo ritrovamento che non riesce a far quadrare con i suoi schemi mentali.
“A giudicare dai frammenti dell’ominide della Dik Dik Hill, dal collo in giù il nostro esemplare femminile era in pratica la gemella di Lucy… Ne derivava che in un periodo di non più di duecentomila anni i nostri antenati avevano compiuto un sorprendente salto in fatto di dimensioni; e ancor più stupefacente era l’improvviso cambiamento di proporzioni corporee. L’ominide della Dik Dik Hill era munito di braccia lunghe al pari di Lucy, ma l’Homo erectus aveva arti superiori e inferiori proporzionalmente più simili ai nostri…Durante quelle poche centinaia di migliaia di anni di evoluzione, era accaduto qualcosa di straordinario: un mutamento comportamentale destinato a trasformare assai rapidamente un Homo con cervello relativamente ridotto e un corpo primitivo in un Homo con un grosso cervello e un corpo moderno” (pagine 239-240).
Riguardo all‘Homo Habilis c’è una storia molto interessante da raccontare, che rivela a quale livello infimo e ciarlatanesco si trovi quella che passa per “scienza” paleoantropologica. Questa creatura è stata inventata da Louis Leakey. Ho scritto e sottolineo, inventata, non scoperta.
Louis Leakey era un uomo dall’ambizione e dall’autostima esagerate. Nel 1954 ritrovò nella gola di Olduvai (canalone della Tanzania settentrionale che fa parte del sistema di faglie della Rift Valley africana) il teschio di un australopiteco e decise di spacciarlo come “primo uomo” o antenato diretto dell’umanità. Fra tutti gli australopitechi fin allora scoperti, era forse il candidato più inverosimile per tale ruolo. Questi ominidi sono distinti in due rami, i gracili e i robusti, quello da lui trovato era un super-robusto dall’aspetto probabilmente molto simile a quello di un gorilla, con una dentatura enorme e un’imponente cresta ossea sulla sommità del cranio. Ciò nonostante, riuscì a spacciare per qualche tempo questa creatura che chiamò Zinjanthropus (o più familiarmente “Zinj”) per un “primo uomo”.
La cosa era talmente poco credibile, che crollò da sé, ma questo non impedì a Leakey di tornare alla carica sei anni dopo, nel 1960. Grazie al ritrovamento dei resti di alcuni crani di australopiteco molto frantumati (e nei quali una ricostruzione precisa del volume interno della scatola cranica era di fatto impossibile), proclamò di aver scoperto i veri antenati dell’uomo, da lui battezzati homo habilis. Non tutti gli credettero, ma molti si, sebbene il flop di Zinj avrebbe dovuto mettere in guardia circa la credibilità di questo personaggio, ma bisogna capirli questi paleoantropologi: per far stare in piedi le loro teorie, avevano un gran bisogno di trovare un anello di congiunzione fra la scimmia estinta australopithecus e homo, e in questo il fatto che fino al ritrovamento di OH 62 non fossero disponibili ossa di homo habilis dal collo in giù, indubbiamente aiutava.
Immaginate di andare allo zoo e di soffermarvi davanti al recinto degli scimpanzé. Da una parte della recinzione ci siete voi, creature dal cervello grande e a stazione eretta, perfettamente bipedi, dall’altra loro, con un cervello considerevolmente più piccolo, dalle braccia lunghe e le gambe corte, che camminano sulle nocche, e non siete separati da un intervallo di tempo di duecentomila anni, ma vivete contemporaneamente.
Ciò non desta alcuna meraviglia, perché appartenete a due lignaggi diversi.
E’ verosimile che tutte le creature classificate come homo habilis non fossero altro che australopitechi. OH 62 è sostanzialmente uguale alla sua “nonna” Lucy vissuta due milioni di anni prima: cervello di dimensioni paragonabili a quelle di uno scimpanzé, braccia lunghe e gambe corte che fanno supporre un’andatura scimmiesca, e nessun segno di transizione verso l’umanità. Duecentomila anni più tardi compare Homo, che non ha nessuna relazione con essa, Homo erectus, un homo primitivo, nondimeno pienamente umano, che potrebbe anche non essere originario dell’Africa, ma esservi immigrato.
A questo punto sarebbe quasi superfluo ricordare lo studio condotto nel 2017 da un team di anatomisti britannici diretto da sir Solly Zuckerman che ha riesaminato lo scheletro di Lucy e concluso che si tratta di una scimmia estinta che non ha nulla a che fare con le origini dell’umanità, o quello di cui abbiamo parlato una delle volte scorse, sui resti dell’altro australopiteco, Littlefoot, “Piedino”, che ha portato a escludere che questa creatura camminasse eretta.
L’Out of Africa, l’abbiamo già visto, non è una teoria ma due inscatolate una dentro l’altra, una teoria-matrioska se volete, l’Out of Africa II, che è quella che interessa di più per le sue implicazioni “antirazziste”, che prevede per la nostra specie una filogenesi “corta” che non le da il tempo di differenziarsi in razze, ci parla di un’uscita dall’Africa a livello di Homo sapiens, alcune decine di migliaia di anni fa, ed è chiaramente smentita dai numerosi ritrovamenti di fossili umani in Eurasia di età superiore ai centomila anni, e nasconde la sua scarsa plausibilità scientifica dietro l’Out of Africa I che prevede un’uscita dal continente nero a livello di Homo erectus attorno al mezzo milione di anni fa. Ora, anche quest’ultima appare francamente non plausibile, sia per la scoperta di ominidi non africani (fra cui – viene proprio voglia di dirlo – il nostro El Greco che ha fatto dare di matto gli antirazzisti), sia perché gli ominidi africani appaiono candidati sempre meno verosimili al ruolo di precursori dell’umanità.
A questo punto, dell’Out of Africa non rimane niente, o almeno non dovrebbe rimanere niente, se non sapessimo che non si tratta di una teoria scientifica, ma di un dogma ideologico imposto per motivi politici dal potere mondialista, per cui le prove e i dati di fatto non hanno alcuna importanza.
Ma finché avremo la possibilità di farlo, saremo sempre qui a ribattere alle loro mistificazioni.
NOTA: nell”illustrazione: l’area del ritrovamento dei fossili di Graecopithecus Freybergi, “El Greco”.
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