A volte capita di avere dei momenti, se non di sconforto, perlomeno di dubbio e di esitazione, è umano. Ultimamente, mi era venuto da domandarmi se la prosecuzione di questa rubrica avesse un senso. Come avrete senz’altro notato, la maggior parte del lavoro da me fatto negli ultimi tempi ha riguardato l’aggiornamento sull’attività dei gruppi FB. Non che questo non sia importante, la ricerca delle origini è, potremmo dire, un costituente fondamentale della nostra identità, il non concepire la persona, ciò che noi siamo, come individuo atomizzato, ma come momento di una continuità che affonda le sue radici nella notte dei tempi, e siamo tenuti a cercare di far proseguire dopo di noi.
Il rischio però qual’è? Lo avete visto dalle analisi che ho fatto del materiale presente in questi gruppi: molti ripescaggi di testi pubblicati quando ancora la political correctness non obbligava a negare l’esistenza delle razze umane, riferimenti ai classici “di Area” come Evola, Tilak e via dicendo, nonché intuizioni e osservazioni di natura personale. Insomma, il mio timore era che fosse rimasto ben poco da dire in concreto, sebbene questi gruppi rimangano, fortunatamente, molto attivi, ma riciclando un po’ sempre gli stessi argomenti.
Mi è successo altre volte, ma quando mi capita di passare dei momenti di scoramento, dopo un po’ arriva una “botta” di novità che riaprono i giochi, al punto di far pensare che davvero ci sia qualche entità che vuole che io continui il mio lavoro per “Ereticamente” e che quando ho voglia di mollare o accuso un senso di stanchezza, è lì a fornirmi gli stimoli giusti per andare avanti.
In grande e rapida sintesi, fra le scoperte che hanno contrassegnato questo periodo, possiamo citare il ritrovamento in Cina di resti fossili umani la cui antichità è del tutto incompatibile con la “teoria” Out of africana”, dello scheletro di una fanciulla siberiana che attesterebbe un inedito incrocio fra neanderthaliani e denisoviani, e soprattutto delle tracce di un misterioso ponte tra India e Shri Lanka (Ceylon) la cui antichità imporrebbe di rivedere del tutto la storia umana. Per non parlare delle polemiche che hanno accompagnato la scomparsa del celebre genetista Cavalli-Sforza. E’ vero o no che i risultati delle sue ricerche escludono l’esistenza delle razze umane? Ma vediamo tutto con ordine.
Riprendiamo allora da dove ci siamo fermati la volta scorsa, cioè il periodo di ferragosto, notando una volta di più che il periodo vacanziero e il clima torrido di quei giorni non hanno minimamente rallentato l’attività dei gruppi.
Partiamo anzi da qualcosa leggermente più indietro con un paio di notizie che mi erano sfuggite (non voletemene, internet è un mare magnum); il 31 luglio sul sito Nibiru 2012 è apparso un articolo su alcune misteriose piramidi che si trovano nella penisola di Kola che, politicamente russa, costituisce l’estrema propaggine nord-orientale della Scandinavia. Secondo il ricercatore russo Aleksander Barchenko, esse risalirebbero a circa novemila anni fa, sarebbero dunque più antiche di quelle egizie e costituirebbero la testimonianza dell’esistenza di una remota civiltà iperborea. Sempre da questo articolo, apprendiamo che Barchenko è morto nel 1938, non si tratta quindi di una scoperta recente. E’ una cosa che abbiamo visto molte volte la tendenza dell’archeologia e della scienza ufficiali, collegate al sistema mediatico, a occultare tutte le informazioni che contrastano con la visione del mondo che ci si vuole a tutti i costi imporre.
Il 15 agosto sul blog di Daniele Di Luciano, l’autore del libro Le origini dell’uomo ibrido, è comparso un articolo che fa riferimento a un pezzo del “Corriere della sera” del 29 luglio firmato dallo scienziato Claudio Tuniz che a sua volta riprende una comunicazione della rivista scientifica “Journal of Human Evolution”. Dal riesame della dentatura di una collezione di fossili umani di origine cinese provenienti dal famoso sito di Zhoukoudian risalenti a 900.000 anni fa, è risultato che essi non sono di homo erectus come si era sempre creduto, ma di ibridi erectus-sapiens, abbiamo dunque la prova che homo sapiens era presente in Eurasia molto prima di quanto previsto dall’Out of Africa, ed è semmai la sua presunta origine africana a essere sempre meno credibile.
Il 18 agosto, Michele Ruzzai ci segnala che il gruppo MANvantara ha raggiunto i 1500 membri. Congratulazioni, Michele, e andiamo avanti così.
Il 22 agosto Solimano Mutti ha riportato una citazione di Aleksander Dugin che tratta proprio delle nostre tematiche, ve la riporto integralmente:
“Gli strati più antichi e originali della tradizione affermano il primato del nord sul sud. Il simbolo del nord è collegato ad una fonte, ad un paradiso nordico originale, da cui proviene tutta la civiltà umana. Gli antichi greci parlavano di Hyperborée, l’isola nordica con la sua capitale Thule. Questo paese era considerato la patria del Dio luminoso Apollo. E in molte altre tradizioni è possibile rilevare tracce antiche, spesso dimenticate e diventate frammentarie, di un simbolismo nordico”.
Sempre il 22 agosto, un articolo de “Le scienze” che fa riferimento a una ricerca genetica apparsa su “Nature”, ci racconta del ritrovamento dei resti di una ragazzina siberiana tredicenne risalenti a 90.000 anni fa che si è rivelata essere di padre denisoviano e madre neanderthaliana; il padre, a sua volta, non era un denisoviano “puro” ma aveva una lontana ascendenza neanderthal. I ripetuti incroci di cui siamo a conoscenza, lo scambio di materiale genetico, l’esistenza di ibridi fertili, io penso, a questo punto dimostrino in tutta chiarezza che Cro Magnon, Neanderthal e Denisova non erano tre specie diverse, ma tre varietà della stessa specie, la nostra, che ha cominciato a popolare l’Eurasia molto, molto prima della sua presunta uscita dall’Africa raccontataci dalla “scienza” ufficiale.
Il 24 Michele Ruzzai ha postato su MANvantara il link a un articolo di phis.org che ci parla del ritrovamento nella regione siberiana della Yakuzia, della carcassa di un puledro perfettamente conservata nel permafrost, risalente a un’età fra i 30 e i 40.000 anni fa. Un altro indizio del fatto che decine di migliaia di anni fa le regioni artiche avessero un clima del tutto diverso da quello attuale, e ben più propizio all’insediamento umano.
Il 26 agosto un post di Michele Ruzzai tratta di un fenomeno estremamente sgradevole, quello che è stato chiamato il blackwashing, letteralmente la “tintura di nero” della storia e della cultura europee da parte di Hollywood che ha affidato ad attori di colore i ruoli di (vi riporto l’elenco di Michele, peraltro lontano dall’essere completo): Giovanna d’Arco, Atena, Patroclo, Enea, Achille, una Valchiria, Zeus, Lancillotto, Heimdall.
E’ chiaro cosa c’è dietro tutto questo, il tentativo di persuaderci, soprattutto di persuadere i più giovani le cui conoscenze storiche sono alquanto scarse, che le società multirazziali siano qualcosa di normale, sempre esistito e non un’aberrazione moderna foriera di decadenza. Bisogna essere chiari su questo: l’Europa e la sua cultura sono sempre state bianche, e il contributo dato dai neri alla civiltà umana si può esattamente quantificare con un numero che, guarda caso, fa rima con “nero”.
Il 28 agosto MANvantara ha pubblicato un altro link a un articolo sulla bambina siberiana dai genitori denisoviano e neanderthaliana di 90.000 anni fa, questa volta di “The Siberian Times”, apprendiamo che i ricercatori l’hanno soprannominacta Denny.
Sempre il 28, il moderatore ha postato un link a un articolo di phis.org che parla dell’estinzione dell’uomo di neanderthal. Secondo il ricercatore romeno Vasile Ersek, la sua scomparsa sarebbe dovuta a due ondate di freddo intenso che colpirono l’Europa 44.000 e 40.000 anni fa. Bizzarro, è il minimo che si può dire, poiché l’uomo di neanderthal sembra invece essere stato ben adattato al freddo. Il sospetto che viene, è che si cerchi di sminuire el’importanza della concorrenza fra gruppi umani come causa di estinzione delle popolazioni, come abbiamo visto altre volte si interpreta il passato in un certo modo per darci un messaggio taroccato sul presente, in questo caso per evitare che ci preocupiamo troppo degli invasori che oggi scorrazzano per l’Europa e qualcuno cerca di venderci come “risorse”.
Abbiamo poi, ma si tratta di un ripescaggio di un articolo dell’anno scorso (27 maggio 2017) che è una recensione di Michele Ruzzai del libro Gentes di Claudio Mutti (EFFEPI 2010). Tra le cose più interessanti di questo testo,Michele ricorda che Mutti menziona la spedizione del 1997 di Valerij Diomin nella penisola di Kola e la scoperta di reperti risalenti a 20.000 anni fa: in quell’occasione la stampa russa parlò apertamente di Iperborea come della culla di tutti i popoli indoeuropei.
Il 31 agosto, sempre su MANVantara, Jason Pickis ha postato un link a un articolo apparso sul sito “Ancient Goths” in data 28 aprile 2012. Vi si parla degli indo-sciti, popolazione dell’Asia centrale, che sarebbe poi migrata verso l’Europa dando origine agli Sciti e forse agli Unni, i suoi discendenti più diretti sarebbero i Circassi. Si trattava di una popolazione prettamente europide caratterizzata da carnagione chiara, capelli biondi, alta statura. Di essi abbiamo la mummia di una giovane donna, nota come principessa Ukok o la fanciulla dei ghiacci. La donna era alta 1,70, altezza considerevole per un soggetto femminile di epoca preistorica. L’articolo parla anche delle mummie europidi del Takla Makan, di cui mi sono occupato più volte su queste pagine. Queste ultime però appartenevano al popolo dei Tocari, frutto di una colonizzazione diversa e posteriore, probabilmente derivante da una migrazione dall’Europa (ricordiamo che il tocario è una lingua “centum”, indoeuropea occidentale). A ogni modo certamente c’è un’antica storia dell’Asia che conosciamo assai poco, di cui abbiamo solo frammenti sparsi, tuttavia possiamo dire che in essa le popolazioni caucasiche hanno certamente giocato un ruolo molto maggiore di quanto solitamente non si pensi.
Il 1 settembre abbiamo avuto la notizia della scomparsa di quello che è stato forse il più famoso genetista italiano, Luigi Luca Cavalli-Sforza che si è spento all’eta di 96 anni. Il giudizio sulla sua figura resta molto difficile, perché, se da un lato le sue ricerche hanno fornito moltissimo materiale utile alle nostre analisi, è anche vero che dall’altro esse sono state sempre inquadrate in una gabbia di “correttezza politica”, cioè di conformità ai dogmi del sistema dominante.
Come era prevedibile, i media di regime si sono scatenati nell’adulazione postuma sostenendo che tra l’altro Cavalli-Sforza avrebbe “dimostrato l’inesistenza delle razze umane”, cosa che non pare abbia mai in realtà esplicitamente sostenuto. Strano, vero? Si può asserire che l’esistenza di qualcosa non è provata, ma non se ne può dimostrare l’inesistenza: dallo yeti al mostro di Loch Ness, dai fantasmi agli UFO, ma le razze umane presenterebbero questa bizzarra eccezione alla logica. E d’altra parte, se non esistono, come mai si vedono? Se mettiamo l’uno accanto all’altro un angolano, un coreano,uno svedese, e chiediamo quale è il nero, quale il bianco, quale il mongolico, anche un bambino può dare la risposta. Forse non vi stupirà sapere che anche questo paragone non è mio, me l’ha suggerito nel corso di una conversazione Michele Ruzzai.
Di Cavalli-Sforza, comunque, mi piace ricordare una frase che gli “scappò”, una verità detta quasi involontariamente, nell’intervista rilasciata per il suo novantesimo compleanno:
“Etnia e razza sono praticamente la stessa cosa”.
Ma come? Verrebbe da dire, gli antropologi culturali eredi di Claude Levi Strauss (non quello dei jeans), si sforzano da decenni di persuaderci che l’etnia non ha nulla a che fare con la razza, che è un costrutto culturale, che l’essere umano è in tutto il prodotto dell’ambiente e dell’apprendimento, e che la genetica non ha nessuna importanza, e questo qui, distrattamente, quasi senza nemmeno accorgersene, sfascia tutto, come un colpo di scopa che spazza via decenni di ragnatele.
Il 3 settembre MANvantara ha riporato un articolo apparso il 13 agosto sulla pubblicazione australiana news.com.au, che ci parla di Una strana svolta nell’evoluzione umana, L’autrice è Jamie Seidel. Ricercato australiani della New Australian National University hanno condotto una campagna di scavi in un sito di homo erectus in Arabia saudita facendo delle scoperte sorprendenti. Ciò che ha portato all’estinzione questa antica specie umana sembra essere stata la pigrizia. Nelle vicinanze c’è uno sperone roccioso che avrebbe potuto fornire utensili litici di ottima qualità, ma che gli erectus non hanno mai utlizzato, preferendo pietre più scadenti per risparmiare strada. Ancora, quando la regione si andava desertificando, hanno preferito rimanervi fin quando le condizioni di vita sono diventate impossibili, piuttosto che migrare altrove. Poiché noi oggi sappiamo che i neri subsahariani conservano una traccia genetica dell’homo erectus pari fino all’8% del loro DNA, se ne potrebbero fare delle deduzioni molto, MOLTO politicamente scorrette.
Sempre MANvantara il 4 settembre ci riporta la notizia più sorprendente di questo periodo con un link a un articolo di “The Hindustan Times”. Fonti NASA avrebbero rivelato che le foto satellitari avrebbero rivelato la presenza dei resti sommersi di un antico ponte che sembra proprio opera dell’uomo, che risalirebbe a ben 1.750.000 anni fa, nello stretto fra India e Shri Lanka (Ceylon).
Vi è chiaro cosa significa questo? 1.750.000 anni è all’incirca la stessa età del più antico fossile africano identificato come homo (cosa per altro non accettata da tutti i ricercatori), il famoso cranio KNM-ER (Kenya National Museum-East Rudolph) 1470. Se questa scoperta sarà confermata, allora la storia remota della nostra specie sarà tutta da riscrivere, e la posizione dell’Africa risulterà probabilmente marginale rispetto all’Eurasia.
Non finisce qui, e questo mese scarso che ci separa da ferragosto sembra accumulare novità una più sorprendente dell’altra. Il 5 settembre Alessio Longhetti ha postato un link a un articolo di “Ancient Origins” dove si parla della cultura di Varna, in Bulgaria, antica di 7.000 anni e del ritrovamento di una tomba regale con un corredo funebre ricco di oro e monili, una cultura che sembra avesse ben poco da invidiare alle culture mediorientali coeve e posteriori. L’uomo inumato, presumibilmente un sovrano, aveva lineamenti prettamente europidi ed era molto alto per l’epoca: 1,80. Noi, naturalmente, abbiamo imparato a non stupirci del fatto che quando si parla di epoche preistoriche e protostoriche, l’Europa sia la grande misconosciuta e sottovalutata.
Siamo, lo si vede, in un orizzonte temporale del tutto diverso da quello delle centinaia o delle decine di migliaia di anni, tuttavia possiamo dire che un sapiens che calpestava il suolo eurasiatico centinaia di migliaia di anni fa, come suggeriscono i denti di Zhoukoudian e forse il misterioso ponte cingalese, e civiltà evolute presenti sul nostro continente in età neolitica e calcolitica, ci rimandano lo stesso messaggio: ci è stata raccontata, ci si racconta una storia falsa in cui il ruolo dei nostri avi è stato ingiustamente minimizzato.
Sta a noi riscoprire e tenere vivo l’orgoglio delle nostre radici.
NOTA: Nell’illustrazione, a sinistra la copertina del libro Gentes di Claudio Mutti, al centro, il genetista Luigi Luca Cavalli-Sforza recentemente scomparso, a destra, una foto satellitare della NASA che mostrerebbe i resti sommersi del ponte fra India e Ceylon risalente a 1.750.000 anni fa.
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