Questo nuovo numero della nostra Ahnenerbe casalinga, della nostra ricerca dell’eredità degli antenati si pone su di un piano di stretta continuità con la quarantottesima parte.
Oramai, io penso, il quadro che possiamo tracciare delle nostre origini, che abbiamo disegnato in tutti questi anni, è chiaro, i suoi punti salienti sono, come sappiamo, la dimostrazione della falsità della “teoria” dell’Out of Africa, a cui va invece contrapposta quella dell’origine boreale della nostra specie, della falsità di quell’altra cosiddetta teoria del nostratico, che vorrebbe i popoli indoeuropei provenienti dal Medio Oriente e la diffusione delle lingue indoeuropee nel nostro continente il risultato dell’espansione di comunità di agricoltori di origine mediorientale (il che abbiamo visto, non solo non trova riscontro nella genetica, ma l’origine mediorientale dell’agricoltura è fortemente discutibile), quando invece essa appare collegata all’espansione di cavalieri e allevatori delle steppe eurasiatiche.
Abbiamo visto, e ci siamo soffermati molto su questo punto, che del pari vanno rifiutate tutte quelle interpretazioni che tenderebbero a far risalire l’origine della civiltà europea a fattori esogeni, piuttosto che alle capacità creative degli Europei stessi, e infine per quanto riguarda le nostre origini come italici, abbiamo visto che la nostra nazione esiste dal punto di vista genetico, e non è come vorrebbe la vulgata “democratica” e pro-invasione un puzzle di genti provenienti da ogni parte del mondo, ma un popolo rientrante nella famiglia indoeuropea, con una precisa identità genetica, oltre che storica e culturale.
Rispetto a questo quadro ormai ben delineato, non ci sono da aspettare novità che possano sconvolgerlo radicalmente, ci sono semmai tasselli da aggiungere per rendere il quadro delle nostre origini sempre più preciso e completo o, se vogliamo, una serie di conferme.
Come già la quarantottesima che l’ha preceduta, questa parte sarà per così dire “di servizio”, un aggiornamento di ciò che è comparso recentemente riguardo alla tematica delle origini sui siti “di area”, e diciamo subito che è un fatto importante che nei nostri ambienti la sensibilità riguardo a queste questioni sia sempre viva, è il miglior modo di contrapporsi, di marcare la distanza rispetto a una “cultura” mondialista che vorrebbe fare di tutti noi degli sradicati senza identità per poterci manipolare a piacere.
Un concetto che forse è l’occasione giusta per ribadire, è che noi non siamo estremisti perché non siamo l’estremità di nulla, siamo i portatori di una visione del mondo radicalmente contrapposta a quella democratica-liberal-marxista oggi imposta ai popoli europei per favorirne l’estinzione.
Andando dal demo-liberal all’americana e spostandosi man mano verso sinistra fino ai Centri Sociali, noi troviamo una radicalizzazione di metodi e di obiettivi, ma tutti quanti – possiamo dire – partecipano in ultima analisi della stessa visione del mondo caratterizzata dall’illusione progressista, dal disinteresse per le origini e l’identità etnica dei popoli, dalla concezione dell’uomo come individuo atomizzato mosso soltanto dai puri meccanismi economici e dalla ricerca del soddisfacimento delle pulsioni elementari, ciò che appunto vogliono farci diventare attraverso una pedagogia che è una profezia che si auto-adempie. Già alla nostra “immediata sinistra” (e perdonatemi questo certamente improprio linguaggio parlamentare), troviamo una destra conservatrice con cui non abbiamo nulla a che spartire.
E’ appunto in relazione a quest’ottica che va collocato il permanente interesse per le nostre origini, le nostre radici, la nostra identità, interesse che non è erudito e accademico, ma è un fatto politico.
E’ quasi inevitabile, ma anche questa volta cominciamo dal nostro amico Michele Ruzzai che in data 25 aprile (evidentemente anche in questa data si può fare qualcosa di meglio che celebrare la sedicente “resistenza”, il servilismo della parte peggiore del nostro popolo nei confronti degli invasori vincitori del secondo conflitto mondiale), ha riproposto nel gruppo facebook “Frammenti di Atlantide – Iperborea” un suo post già pubblicato su “MANvantara” in data 21 febbraio 2016.
(Anche questa – per inciso – è una cosa importante, il fatto che fra i vari gruppi e le presenze dell’Area si crei un clima di sinergia piuttosto che di concorrenza e antagonismo).
Questo post è la sintesi di un articolo di Giampiero Petrucci pubblicato su MeteoWeb il 17 dicembre 2012, e riguarda la cosiddetta frana di Storegga, un evento geologico di vasta portata che si sarebbe verificato circa 8.000 anni fa: un’immensa frana sottomarina che avrebbe colpito il Mare del Nord e l’Atlantico settentrionale provocando un enorme tsunami che avrebbe investito le coste della Norvegia, della Scozia, delle Faer Oer, delle Shetland fino al Circolo Polare, l’Islanda e la Groenlandia, nonché altre terre allora emerse (ricordiamo che in età glaciale il livello degli oceani era considerevolmente più basso) in corrispondenza di quello che oggi è il Banco di Rockall, forse la Avalon delle leggende celtiche, forse Atlantide ricordata da Platone.
Questo gigantesco tsunami dovette provocare una migrazione massiccia verso sud-est delle popolazioni costiere interessate. Si tratterebbe della “migrazione trasversale” di cui hanno parlato sia Hermann Wirth sia Julius Evola, e che avrebbe avuto un ruolo chiave nella diffusione delle lingue indoeuropee sul nostro continente.
Una tappa importante di questo processo migratorio sarebbe stata una terra all’epoca sicuramente emersa e oggi sommersa dall’innalzamento degli oceani, che si trovava fra le Isole Britanniche e la Danimarca in corrispondenza dell’attuale Dogger Bank e che gli archeologi hanno denominato Doggerland.
Tuttavia, il punto centrale della questione che l’amico Michele Ruzzai giustamente rimarca, è forse un altro: la “direttrice di marcia” di questa migrazione coincide con la diffusione di quella che il genetista Luigi Luca Cavalli-Sforza ha chiamato “la prima componente principale” del patrimonio genetico delle popolazioni europee. Ora, bisogna tenere presente che mappando le componenti genetiche di una popolazione, noi ne otteniamo una rappresentazione bidimensionale: possiamo cioè vedere che in questo caso la componente si è diffusa lungo la direttrice da nord-ovest a sud-est o viceversa, ma non siamo in grado di dire quali siano i punti di partenza e di arrivo, conosciamo la direzione ma non il verso.
Ovviamente, in obbedienza all’ortodossia “scientifica” dominante, Cavalli-Sforza fa partire la diffusione della prima componente principale non da nord-ovest, ma da sud-est, essa sarebbe cioè il risultato dal punto di vista genetico, della colonizzazione dell’Europa da parte di quei famosi quanto fantomatici agricoltori di origine mediorientale previsti (o immaginati) dalla “teoria” del nostratico. Ebbene, fa notare Michele Ruzzai, non solo ciò non può essere provato, ma il punto d’origine della migrazione viene a essere del tutto incongruo, se consideriamo tale l’estremità sud-orientale invece di quella nord-occidentale, infatti esso verrebbe a cadere non nella Mezzaluna Fertile, ma nel deserto arabico, un’area che non può aver mai ospitato popolazioni umane numericamente consistenti.
Ma sappiamo che in democrazia “la scienza” non serve a ricercare la verità, ma a riconfermare i dogmi democratici stessi, per quanto assurde possano essere le loro implicazioni.
In data 11 maggio, il sito GenealogiaGenetica ci racconta una storia davvero interessante: la società svizzera iGENEA avrebbe portato a termine l’analisi del DNA della mummia del faraone Tutankhamon ottenendo dei risultati davvero sorprendenti.
Come è noto, questo giovane faraone, salito al trono bambino e morto a un’età compresa fra i diciotto e i diciannove anni, non ha avuto molto peso nella storia egizia, ma il ritrovamento della sua tomba a opera di Howard Carter, tomba che, miracolosamente sfuggita ai saccheggiatori che hanno operato per millenni nella Valle del Nilo, ci ha restituito uno splendido corredo funerario praticamente intatto, ne ha fatto il faraone più conosciuto e popolare, al punto da oscurare la fama di grandi condottieri come Ramesse II.
Ebbene, le analisi del suo DNA condotte dalla iGENEA dimostrano che il giovane faraone era portatore dell’aplogruppo R1b1a2 del cromosoma Y, vale a dire quello tipico delle popolazioni dell’Europa occidentale. E’ una prova in più, che si affianca a numerose altre. Ricorderete che tempo addietro avevamo parlato di un esame della mummia di Ramesse II, a differenza di Tutankhamon morto a tarda età, ultraottantenne sembra, che aveva rivelato che il faraone negli ultimi anni si tingeva i capelli con l’henne, ma da giovane doveva averli biondo-rossicci. Non si possono ormai nutrire dubbi sul fatto che l’antica élite egizia rappresentasse un tipo umano nettamente diverso dal resto della popolazione, avesse cioè origini europee, e questo spiega lo strano mistero di una civiltà che sembra nascere adulta, e poi nel corso della sua storia non conosce ulteriori evoluzioni, ma semmai una progressiva decadenza (ad esempio, si perdono le tecniche relative alla costruzione delle piramidi, i cui esempi appartengono tutti alla fase più antica della storia egizia), che noi possiamo ipotizzare parallela all’affievolirsi del sangue di origine europea nelle sue classi dominanti.
E’ sempre più chiaro che storici e archeologi “ufficiali” che ipotizzano un’origine mediorientale della civiltà, un’influenza mediorientale sulla civiltà europea, girano (volutamente?) il binocolo dalla parte sbagliata: è semmai un’influenza e un apporto etnico a livello di élite, sull’Egitto ma non solo sull’Egitto, ci sono indizi che fanno pensare che per l’area mesopotamica valga esattamente lo stesso discorso, dell’Europa sul Medio Oriente.
Io non vorrei che si pensasse che io ritenga tutto quello che scrivo di una particolare rilevanza solo perché porta in calce la mia firma, ma solo per completezza dell’informazione, vi informo che un uno dei prossimi numeri de “L’uomo libero”, la bella rivista fondata da Mario Consoli e oggi diretta da Fabrizio Fiorini, sarà pubblicato il testo della mia conferenza “Alle origini dell’Europa”, da me tenuta qui a Trieste alla Casa del Combattente sabato 11 marzo. Il motivo per cui non mi è sembrato opportuno proporre questo testo su “Ereticamente” è semplice, perché in realtà ve lo trovate già pubblicato, si tratta della giustapposizione dei due primi articoli della serie Ex Oriente Lux, ma sarà poi vero?
Questa conferenza si è posta in una situazione di continuità rispetto alle due tenute da Michele Ruzzai il 27 gennaio e il 24 febbraio, che hanno trattato rispettivamente de Le radici antiche degli Indoeuropei e Patria artica o madre Africa?
Precisamente nell’ottica di un completamento di questa rassegna sulla tematica delle origini, è previsto che io tenga un’altra conferenza, dedicata stavolta alle nostre origini italiche.
A un livello più vicino a noi, infatti, c’è un’altra menzogna “democratica” e “politicamente corretta” che i media di regime, fra i quali vanno sciaguratamente comprese anche le istituzioni scolastiche, cercano di instillarci a tutti i costi, l’idea che gli Italiani sarebbero un popolo meticcio, frutto di innumerevoli innesti di popolazioni provenienti da ogni dove. Questa è una smaccata falsità che ha il preciso scopo di darci a intendere (di illuderci) che la massiccia immigrazione di cui oggi siamo oggetto (vittime!) in ultima analisi non cambierebbe un granché.
Si tratta di qualcosa di cui abbiamo già parlato più volte, denunciandone la “democratica” falsità. Le invasioni e le dominazioni che la nostra Penisola ha disgraziatamente subito nel corso dei secoli tra la caduta dell’impero romano e il risorgimento, hanno sempre rappresentato un apporto etnico-genetico del tutto trascurabile o inesistente, anche perché l’assoggettamento politico è una cosa, la colonizzazione da parte di un invasore tutta un’altra, e questo è un destino che ci è stato finora risparmiato.
Il popolo italiano (ma forse sarebbe meglio dire italico, perché quella che conta è l’appartenenza etnica, di sangue, mentre la cittadinanza burocratica, l’aver scritto “Repubblica italiana” su un pezzo di carta vale meno di nulla), è un popolo appartenente al ceppo delle genti indoeuropee, che ha una sua coerenza etnica e una sua fisionomia che si sono mantenute nei millenni da già prima della formazione dello stato romano, ed è questa coerenza etnica la base a partire da cui si sono sviluppate la cultura e la civiltà italiane, la nostra eccellenza in campo artistico e culturale.
Anche a questo riguardo, forse non servirebbe ribadirlo una volta di più ma repetita iuvant, c’è un’altra menzogna prodotta da quell’apparato di imposture e veleni che conosciamo come democrazia, che occorre decisamente smentire, la presunzione che la creatività delle culture umane e la civiltà nascerebbero dall’incontro e dall’ibridazione tra culture diverse: l’ibridazione e il meticciato possono produrre solo popoli parassiti in grado di impadronirsi, di riciclare ciò che è stato fatto da altri, ma incapaci di per sé di creare alcunché: la massa ibrida di sradicati di sangue misto che oggi popola (o impesta) quel deserto intellettuale che si trova tra Messico e Canada ne è un chiaro esempio, e non si può considerare altrimenti che con orrore la prospettiva che anche l’Europa si appresta a essere ridotta allo stesso modo.
Io credo che il quadro teorico, la realtà dei fatti e delle conoscenze che possiamo opporre alle menzogne della sedicente democrazia, menzogne che non sono altro che un veleno soporifero inteso a favorire la nostra scomparsa per sostituzione etnica, sia ormai abbastanza chiaro. Quello che conta ancora veramente sapere, è se abbiamo la forza e la volontà, e saremo capaci di mobilitare le energie necessarie per evitare questo destino a noi stessi, ai nostri figli, ai nostri discendenti.
NOTA: Nell’illustrazione che correda questo articolo, da sinistra: la frana di Storegga, la maschera funeraria del faraone Tutankhamon, e la locandina della mia conferenza.