7 Ottobre 2024
Ahnenerbe

Una Ahnenerbe casalinga, quarantaquattresima parte – Fabio Calabrese

Negli ultimi tempi c’è stato un susseguirsi di notizie che parrebbe debbano cambiare per sempre la concezione che abbiamo delle nostre origini. Abbiamo cominciato con il segnalare la scoperta nella grotta francese di Bruniquel di un doppio cerchio di stalagmiti risalente a 175.000 anni fa, che sembrerebbe non potesse essere opera altro che dell’uomo di neanderthal, un’antichissima struttura architettonica che ci induce a rivalutare questi nostri antichi antenati sia per l’abilità manuale che essa dimostra, sia perché non sembra poter aver avuto finalità pratiche, ma verosimilmente di culto, aprendoci uno squarcio sul mondo interiore di questi antichi uomini, che ci appare inaspettatamente più ricco di quel che avremmo pensato.

A questa notizia ne hanno fatto seguito altre due: la scoperta nel DNA di neanderthaliani dell’Altai di tracce con l’incrocio con sapiens che si trovavano nell’Asia centrale almeno 30-50.000 anni prima di quanto previsto dalla “teoria” dell’Out of Africa (che non può essere salvata semplicemente retrodatandola, perché legata all’esplosione del vulcano indonesiano Toba avvenuta tra 50 e 70.000 anni fa, che si suppone avrebbe distrutto tutti gli altri ceppi umani allora viventi per lasciare spazio al “puro” filone africano), e come se non bastasse, la ricerca dell’Istituto di Biologia Evolutiva (IBE) di Barcellona che avrebbe individuato nel DNA dei nativi delle isole Andamane e di altre popolazioni asiatiche le tracce di un per ora misterioso “quarto antenato” diverso dall’uomo di Cro Magnon, da quello di Neanderthal e anche da quello di Denisova.

Non c’è nulla da fare, la nostra è una specie politipica nata dall’incontro di diversi antenati. Questo chiaramente smentisce sia la favola di Adamo ed Eva sia quell’altra favola solo apparentemente più “scientifica”, chiamata falsamente teoria, che conosciamo come Out of Africa? Bene, cercheremo di farcene una ragione.

Dopo questa pioggia di novità veramente grosse, adesso abbiamo una serie di tasselli che vengono ad aggiungersi al quadro già delineato, che vede la nostra specie raccogliere l’eredità di diverse popolazioni pre-sapiens, e un’umanità più umana di quel che avevamo probabilmente pensato, con manifestazioni artistiche e probabilmente religiose di sconcertante antichità.

Ultimamente uno di quegli amici senza il cui contributo tenere questa rubrica sarebbe praticamente impossibile, il buon Joe Fallisi, mi ha segnalato due articoli di Maurizio Blondet non recentissimi, apparsi sul suo blog “Blondet & Friends” nel 2015; il primo lo conoscevo, il secondo no. Il primo dei due è dedicato a uno dei più sorprendenti manufatti che ci sono pervenuti, il cosiddetto idolo di Shigir ritrovato in Siberia; antico di ben 20.000 anni, è sostanzialmente non dissimile dai pali sciamanici, i totem che gli sciamani siberiani erigono ancora oggi. Lo sciamanesimo è dunque, conclude Blondet, la più antica religione vivente, testimonianza di una continuità non solo antropologica, ma culturale con la più remota preistoria. Forse ricorderete che in una precedente Ahnenerbe casalinga vi avevo dato appunto notizia di questo singolare ritrovamento con tutte le implicazioni che esso comporta.

Tuttavia, quello che ora ci interessa maggiormente è forse il secondo articolo che mi sarei perso senza la provvidenziale segnalazione di Fallisi. Quest’ultimo, pubblicato sempre su “Blondet & Friends” il 22 settembre 2015, ha un bel titolo polemico: Addio homo sapiens, adesso trionfa l’insipiens, ed è una risposta ad alcuni lettori che avevano minimizzato e ridicolizzato la scoperta. Persone ignoranti e prive di cultura, ci dice Blondet, ce ne sono sempre state, ma un tempo ammettevano la loro ignoranza rispetto a chi aveva una cultura e padroneggiava certe tematiche, ma oggi, “pompati” da un sistema mediatico che ammannisce frivolezze, costoro tendono a disprezzare e a mettere in ridicolo la conoscenza.

Quello che è di maggiore interesse, però è il fatto che Blondet, rivedendo la questione dell’idolo di Shigir, fa una sorta di panoramica della Siberia preistorica, e ne esce un quadro davvero sorprendente:

I ghiacci occupavano gran parte d’Europa e Nord-America, ma che (mistero) la Siberia e l’Alaska erano coperti di vegetazione lussureggiante, beneficiate da un clima mite: lo provano le immense distese di leguminose selvatiche, felci, campanule, ranuncoli , arbusti in paludi impenetrabili, che oggi formano i giacimenti di torba. Lo provano la quantità enorme di animali di grossa taglia che questa vegetazione sosteneva: mandrie immani di bisonti e renne, cavallini selvatici, cervidi d’ogni tipo, antilopi, pecore selvatiche, e lupi; ma coi lupi anche tigri e iene. Iene vicino al Polo Nord? Dove adesso la terra è gelata dal permafrost sotto le erbe stente, dove esiste solo la tundra e le temperature calano a 40 sottozero? Ebbene sì.

(…).

Qualcosa poi successe, attorno ai 9500 anni fa: l’80% della fauna siberiana morì di colpo, coi ranuncoli ancora in bocca o nello stomaco non ancora digeriti, per quella che sembra essere una tempesta di gelo, inaudita sciagura istantanea su cui i meteorologi si interrogano”.

Ora, si comprende bene che questo quadro della preistoria siberiana esposto da Blondet, in base al quale le regioni artiche avevano decine di migliaia di anni fa un clima molto diverso da quello attuale, e ben più propizio all’insediamento umano, coincide precisamente con quanto a questo proposito hanno sempre asserito le dottrine tradizionali che hanno visto, non nell’Africa ma nelle regioni boreali il luogo d’origine, la culla ancestrale della nostra specie, e d’altra parte, come abbiamo più volte rilevato, è facile rendersi conto che un clima rigido come quello che attualmente domina in queste regioni, non avrebbe certo potuto fornire la quantità di vegetazione necessaria a tenere in vita i grandi branchi di enormi animali come i mammut.

Per un altro verso, è anche interessante il fatto che Blondet butti lì la cosa come una postilla in un articolo di replica, come qualcosa che dovrebbe essere ovvio, ma evidentemente non lo è, e qui torniamo al fatto che certe conoscenze godono di una certa tolleranza finché girano in ambiti specialistici ma non devono arrivare al grosso pubblico, il fatto che la democrazia, teoricamente basata sulla libertà di opinione, porta in effetti al “pensiero unico” in maniera più efficace di qualsiasi sistema totalitario, semplicemente controllando quello che può filtrare o non filtrare attraverso i media. In questo caso, l’idea di un artico abitabile dall’uomo in epoche remote, potrebbe mettere in crisi l’Out of Africa, con tutte le sue ricadute di ideologia “antirazzista” che ne fanno ben altro, nel pensiero democratico, che una “semplice” teoria scientifica. Peccato soltanto che si tratti di una smaccata falsità.

A volte sembra proprio che il dio delle coincidenze faccia gli straordinari: in sintonia temporale davvero sorprendente con la programmazione delle due conferenze di Michele Ruzzai di cui vi ho raccontato le volte scorse, sono emerse in quella grande piazza mediatica che è il web, e che il sistema nel quale viviamo sembra non riesca ancora a controllare, tre notizie fondamentali che scuotono l’ortodossia ufficiale sulle nostre origini fin dalle fondamenta: il ritrovamento nella grotta di Bruniquel che ci lascia intravvedere un uomo di neanderthal molto più creativo e umano di quel che finora avevamo pensato, la prova genetica di incroci fra i neanderthaliani e i sapiens di Cro Magnon avvenuti in Eurasia 100.000 anni fa e quindi la presenza del sapiens “moderno” nell’area eurasiatica molto prima di quanto previsto dall’Out of Africa, e l’individuazione, sempre per via genetica, di un ancora innominato “quarto antenato” dell’umanità attuale, oltre ai tre finora conosciuti: Cro Magnon, Neanderthal e Denisova, ma davvero non finisce qui.

Stranamente, proprio adesso, “The Archaeology News Network” in data 4 febbraio riferisce di una scoperta fatta in realtà nel 1994, ma rimasta fino a ora oscurata da un quasi inesplicabile coverage (nemmeno si trattasse dei segreti della fabbricazione di armi nucleari). Appunto nel 1994 in una grotta nella regione dell’Ardeche in Francia, lo speleologo Jean-Marie Chauvet ha scoperto una serie di pitture parietali raffiguranti cervi, uri, bisonti, cavalli, mammut, rinoceronti, grandi felini che un tempo popolavano la regione, fra le più perfette e dettagliate finora conosciute, ma la grossa sorpresa è arrivata dall’esame al radiocarbonio dei pigmenti vegetali con cui queste immagini sono state tracciate: esse risalgono a 30.000 anni fa, e sarebbero non solo le più perfette, ma anche le più antiche pitture parietali preistoriche finora conosciute. La grotta sarebbe rimasta letteralmente sigillata in seguito a una frana avvenuta 12.500 anni fa, che l’avrebbe isolata dall’esterno, permettendo la conservazione del microclima e quindi delle pitture in condizioni ideali.

Devo dire la verità: l’amico che ha segnalato la notizia vi ha accluso un commento che mi ha fatto sorridere: “Alla faccia dell’evoluzione darwiniana!”. Molte persone non si rendono conto di quale sia la reale scala dei tempi prevista dalla teoria darwiniana, le trasformazioni delle specie non avvengono nell’arco delle decine di migliaia, ma dei milioni di anni, scoprire che uomini di 30.000 anni fa erano in grado di produrre opere d’arte di sorprendente bellezza, erano in definitiva umani quanto lo siamo noi, non la intacca minimamente, ma sappiamo che al riguardo esiste un diffuso equivoco sul quale mi sono soffermato più volte, distinguendo l’interpretazione progressista-buonista-di sinistra dall’originale e reale pensiero del grande naturalista, ma ora non vorrei ripetere punto per punto la disamina della questione che ho fatto nella quarantatreesima parte, e alla quale rimando.

Quel che invece mi pare entri sempre più in crisi è il concetto di progresso, l’idea della storia come sviluppo ascendente verso livelli sempre più alti. L’essere umano così come lo conosciamo sembrerebbe esistere da qualcosa come 200.000 anni. Ora una cosa che proprio non si può contestare, è che 200.000 : 5.000 = 40. In altre parole, esistiamo da un tempo che è quaranta volte più ampio di quello che costituisce tutta la storia documentata. Che in questo lasso di tempo enorme, possano essere esistiti interi cicli di civiltà ed essere poi svaniti nel nulla lasciando dietro di sé ben poche tracce enigmatiche, è un’idea tutt’altro che irragionevole, ed è anche chiaro perché la visione (o l’accecamento) progressista tende a escludere questo concetto, perché se accettato, implicherebbe che anche la civiltà moderna potrebbe condividere la stessa sorte, e se il mondo moderno dovesse crollare domani, fra – poniamo – diecimila anni, avrebbe lasciato ben poche tracce della sua esistenza a beneficio degli archeologi di tempi futuri.

Possiamo spostarci indietro nel tempo quanto vogliamo, scopriamo esseri umani più simili a noi di quel che finora avevamo pensato. A parte le pitture parietali dell’Ardeche, pensiamo al doppio circolo di stalagmiti di Bruniquel, che difficilmente possiamo immaginare opera di creature semi-scimmiesche come spesso sono ancora raffigurati gli uomini di Neanderthal. Nelle illustrazioni che corredano la trentanovesima parte vi avevo riportato la ricostruzione di un ragazzo, e nella quarantunesima quella di un bambino neanderthaliani, nel cui aspetto di scimmiesco non c’è alcunché, e che poco differirebbero dalle immagini che si possono vedere in qualche foto di famiglia. Si potrebbe però obiettare che si tratta di ricostruzioni di soggetti infantili, che sono sempre più “carini” degli adulti, allora stavolta vi allego la ricostruzione della fisionomia di un neanderthaliano adulto, tratta da un articolo de “La Stampa” nella versione on line di data 30.1.2014. Che ne dite? Non potrebbe essere il vostro vicino di casa?

La prima delle altre due immagini che correda questo articolo è quella dell’idolo di Shigir di cui ha parlato Maurizio Blondet. Di per sé forse non ci potrebbe dire molto, finché non teniamo conto che questo manufatto ligneo ha qualcosa come 20.000 anni, che la sua fattura è separata da noi da un arco di tempo quattro volte maggiore di quello che ci separa dall’edificazione delle piramidi e dall’inizio della storia documentata. Non ve n’è più che a sufficienza per mettere in crisi il nostro presuntuoso concetto di progresso?

La terza immagine è la locandina della conferenza che ho tenuto sabato 11 marzo qui a Trieste alla Casa del Combattente, “Alle origini dell’Europa”, introdotta da una presentazione del nostro eccellente amico Michele Ruzzai.

Questa conferenza si è posta su di una linea di continuità con le due già tenute da Michele il 27 gennaio e il 24 febbraio nella sede del circolo “Identità e tradizione” aventi per tema rispettivamente le origini degli Indoeuropei e “Patria artica o madre Africa?”, ossia la confutazione della “teoria” delle origini africane della specie umana che rappresenta la “vulgata” ufficiale che la democrazia vorrebbe imporre come “verità scientifica”. C’è da aggiungere che la disponibilità della più ampia e ricettiva sala della Casa del Combattente è stata possibile grazie alla collaborazione con le Associazioni d’Arma instauratasi grazie a Gianfranco Drioli, di cui dobbiamo sempre ricordare l’ottimo testo Iperborea, la ricerca senza fine della patria perduta.

Quanto al contenuto della conferenza stessa, io non vorrei ripetermi, perché in sostanza lo conoscete ad abundantiam, essendo esso una sintesi di quanto vi ho già esposto nei ventitré articoli della serie “Ex Oriente lux, ma sarà poi vero?”, cioè la confutazione della leggenda della derivazione della civiltà europea dall’oriente (prossimo, medio od estremo), in favore della rivalutazione delle sue origini autoctone.

C’è forse tuttavia un punto che merita un ulteriore approfondimento. Un’osservazione sulla quale mi sono ripromesso di tornare, è l’idea oggi comunemente diffusa e frequentemente rimpallata dai media, secondo la quale la civiltà deriva sempre dalla commistione di popoli e culture, dal fatto che qualcuno prenda qualcosa da qualcun altro. A parte il fatto evidente che questa mentalità è stata diffusa per favorire l’accettazione o la rassegnazione a vedere oggi il nostro continente invaso dalla feccia del Terzo Mondo, magari a pensare che questa catastrofe sia qualcosa di positivo, questa per un altro verso è la mentalità tipica di certa gente che vive in mezzo a noi da un paio di millenni ma non ha mai perso il legame con la sua origine mediorientale, che rappresenta all’incirca lo 0,2 per cento della popolazione umana ma è autrice del cento per cento delle idee della democrazia e della modernità: quello che hai è sempre qualcosa che hai preso a qualcun altro, non è mai il frutto del tuo lavoro, della tua intelligenza, della tua creatività, anche perché costoro per il lavoro non sono molto portati, e creatività non ne possiedono, tranne che nell’inventare modi per impadronirsi di ciò che non è loro, ma si comprende l’assurdità implicita nell’idea di un regresso all’infinito per qualsiasi invenzione umana.

Per quanto riguarda la nostra Europa, molti ricercatori con insistenza degna di miglior causa, hanno costantemente cercato di far risalire a un’origine allogena qualsiasi innovazione, qualsiasi elemento della cultura – intellettuale e materiale – europea. Anche se fosse, non c’è forse creatività nel migliorare, nel trasformare in qualcosa di funzionante le intuizioni che altri hanno avuto ma non saputo sviluppare?

Prendiamo ad esempio l’invenzione della bussola: sarà anche vero che i Cinesi sono stati i primi a scoprire le proprietà dei minerali magnetici, ma le loro “bussole” erano di un’efficienza così scarsa da renderle praticamente inutilizzabili, un ago di magnetite su un tappo di sughero che galleggiava su una bacinella di acqua. L’idea di incernierare l’ago magnetico su di un perno venne ai marinai di Amalfi, è un’invenzione italiana.

Un discorso analogo si può fare per l’invenzione dell’alfabeto: i Fenici, avvalendosi del fatto che nelle lingue semitiche le vocali non hanno importanza, ridussero la scrittura demotica egizia (che era sillabica) a una ventina di segni, ma la VERA invenzione dell’alfabeto, con la divisione della sillaba in consonante e vocale e l’introduzione degli spazi fra le parole, sostanzialmente il sistema semplice e pratico che usiamo ancora oggi, fu opera dei Greci. Qualcuno ha detto che la fissione della sillaba in consonante e vocale, è stata di importanza paragonabile alla fissione dell’atomo.

Ma siamo sicuri che non esista alcuna invenzione tipicamente europea i cui prodromi non possano essere rintracciati fuori dal nostro continente? Pensiamo alle cattedrali gotiche che cominciarono a diffondersi in tutta Europa a partire dai secoli XI e XII. Questi edifici sono il prodotto di una tecnica costruttiva del tutto nuova, grazie alla quale il peso non si scarica sulle murature, ma sulle costolature formate dagli archi rampanti, le potremmo paragonare a enormi tende di pietra che sono sorrette non dal telo ma dall’intelaiatura. E’ questa tecnica che ha permesso di erigere per la prima volta edifici che raggiungono le loro straordinarie altezze senza avere una base enorme (come avviene per le piramidi). Anche in questo caso “benintenzionati” studiosi e orientalisti, hanno cercato di attribuire a questa tecnica costruttiva un’origine non europea. Invano! Non c’è né in Medio Oriente né altrove fuori dall’Europa alcun edificio strutturalmente simile a una cattedrale gotica.

Un’altra invenzione di cui, nonostante tutti i “benintenzionati” sforzi non sono stati trovati precedenti fuori dall’Europa medioevale, è il timone posteriore delle imbarcazioni, che ha reso di gran lunga più sicura la navigazione. Un’invenzione da poco? Mettete insieme il timone posteriore con la nave a sponde rialzate in grado di affrontare i marosi oceanici, invenzione frisone anch’essa di epoca medioevale, aggiungeteci la bussola e le armi da fuoco, anch’esse invenzione europea (la polvere pirica fu scoperta dai cinesi, ma costoro oltre i petardi non andarono), e cosa ottenete? Il controllo degli oceani e del globo terracqueo, quale l’Europa ha avuto dal XVI al XIX secolo.

Noi sappiamo che tra la fine del XIX secolo e la metà del XX secolo l’Europa ha perduto la posizione di predominio mondiale a causa delle due guerre mondiali, e oggi si vede minacciata dall’invasione extracomunitaria nella sua stessa sostanza etnica, ma tanto più dobbiamo essere consapevoli di avere una grande eredità, non solo culturale, da difendere.

2 Comments

  • Charles Vinson 22 Marzo 2017

    “quello che hai è sempre qualcosa che hai preso a qualcun altro”: a mio avvisto, tale frase non dovrebbe essere associata soltanto al noto 0,2% della popolazione, ma a tutto ciò che è di origine mediorientale, dagli arabi ai levantini vari alla nota religione avente sede a Roma e capeggiata da un falso pontefice massimo: mentalità perfettamente coerente con la situazione ambientale delle terre desertiche e predesertiche da cui provengono tutti questi, terre dove per forza di cose non è possibile aumentare la produzione né con l’ingegno né con le braccia.
    Questo comporta due precise conseguenze: 1) ingegno e braccia sono inutili; 2) se ti ritrovi con mille lire più della media, può essere solo per un motivo: le hai sottratte a qualcun altro e quindi è peccato.
    Per il resto, condivido l’articolo al 100%.
    Vale

  • Charles Vinson 22 Marzo 2017

    “quello che hai è sempre qualcosa che hai preso a qualcun altro”: a mio avvisto, tale frase non dovrebbe essere associata soltanto al noto 0,2% della popolazione, ma a tutto ciò che è di origine mediorientale, dagli arabi ai levantini vari alla nota religione avente sede a Roma e capeggiata da un falso pontefice massimo: mentalità perfettamente coerente con la situazione ambientale delle terre desertiche e predesertiche da cui provengono tutti questi, terre dove per forza di cose non è possibile aumentare la produzione né con l’ingegno né con le braccia.
    Questo comporta due precise conseguenze: 1) ingegno e braccia sono inutili; 2) se ti ritrovi con mille lire più della media, può essere solo per un motivo: le hai sottratte a qualcun altro e quindi è peccato.
    Per il resto, condivido l’articolo al 100%.
    Vale

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