12 Ottobre 2024
Ahnenerbe

Una Ahnenerbe casalinga, quarantaseiesima parte – Fabio Calabrese

Il nostro amico Michele Ruzzai ormai lo conosciamo bene, e sappiamo che su certe tematiche, come appunto quelle relative alle origini, alla preistoria, a quella che sarebbe forse bene chiamare la storia non documentata, ha una competenza davvero invidiabile di cui ha dato un eccellente esempio sabato 11 marzo nell’introduzione che ha fatto alla mia conferenza sulle origini dell’Europa tenutasi a Trieste alla Casa del Combattente, un’introduzione talmente bella e puntuale da mettermi nella situazione di chiedermi con imbarazzo se la mia conferenza sarebbe stata all’altezza della presentazione. Forse l’unica cosa che si può rimproverare al nostro eccellente amico, è la relativa rarità con cui i suoi scritti compaiono su “Ereticamente”.

Bene, nella presentazione della mia conferenza (di cui abbiamo il testo che Michele si era diligentemente preparato, mentre io, presentando le sue del 27 gennaio e del 24 febbraio, ho parlato a braccio), il nostro amico ha toccato un punto di estrema importanza che ora conviene rimarcare:

Come in nessun altro continente, apparteniamo tutti ad unico ceppo razziale, quello europide, mentre invece altre aree del pianeta presentano fenotipi molto più eterogenei. Ad esempio, l’America ha una base caucasoide arcaica sulla quale si sono inseriti ceppi mongolidi più recenti, e forse anche alcune influenze più specificatamente cromagnoidi nel settentrione del continente. L’Asia è terra mongolide ad est, caucasoide ad ovest e a sud, presenta forme intermedie al centro e a nord (popolazioni turaniche e siberiane) ed alcuni isolati pigmoidi nel sud-est (negritos). L’Oceania è australoide, ma anche negroide (melanesiani) ed ha nei polinesiani un gruppo dalla classificazione controversa (mongolidi dai caratteri attenuati per alcuni, caucasoidi per altri). L’Africa è caucasoide a nord, etiopoide ad est, capoide all’estremo sud (boscimani ed ottentotti) e negride in tutte le altre zone, con un’importante presenza pigmoide al centro. In termini bio-antropologici l’Europa si presenta quindi come una terra molto più omogenea di tutte le altre, anche se ciò comunque non implica una totale uniformità umana vista la presenza di una piacevole varietà di tipi lievemente diversificati (nordici, dalici, mediterranei, alpini, adriatici, baltici…) tra i quali è tuttavia palpabile una stretta vicinanza di base.

(…).

Se al mondo vi è una terra con una sua ben precisa individualità ed una stirpe, a livello continentale, con una sua ben definita identità la risposta è chiara: siamo noi Europei”.

Questo è ciò che ci ha sempre caratterizzati per tutto l’arco della nostra storia, e questa compattezza etnico-antropologica è certamente stata la molla mica tanto segreta dell’originalità e della creatività europea che ha posto il nostro continente alla testa della civiltà umana, almeno fino a ora, mentre oggi stiamo assistendo al lento assassinio del nostro continente attraverso l’immigrazione, il meticciato e la sostituzione etnica, destino che non è scritto nelle stelle, ma che il potere mondialista dietro le quinte, i nemici dell’Europa, le forze disgraziatamente vincitrici del secondo conflitto mondiale anche se gli esiti ultimi si vedono solo adesso, hanno deciso per noi.

Bene, può essere interessante sapere che tra gli zelanti servitori del potere mondialista che ha deciso la nostra morte, c’è qualcuno che ha deciso di portarsi avanti con il lavoro. Uno degli amici senza le cui segnalazioni questa rubrica non esisterebbe o sarebbe molto più difficile da tenere, e che considero “collaboratori indiretti” della nostra “Ereticamente”, ma dato che non so se abbia piacere di essere nominato qui, citerò solo con le iniziali, A. F., mi ha recentemente segnalato il fatto che se si va su google immagini e si digita (per ora in inglese, ma è probabile che la versione italiana non tardi ad arrivare) “European History People”, ci si trova davanti una sorprendente (e repellente) carrellata di fisionomie negroidi, è la “gente d’Europa” come la vuole il potere mondialista, come hanno intenzione di farla diventare. Certo, noi possiamo semplicemente pensare che qualcuno dei rinnegati e traditori al servizio del nemico abbia semplicemente precorso i tempi scambiando il suo infame desiderio per la realtà, ma voi pensate semplicemente a un ragazzo che faccia ricerche in internet per motivi di studio (e i giovani oggi non sanno nulla a parte le falsità che gli ammannisce il sistema scolastico), sarà portato a credere che il meticciato e la società multietnica siano qualcosa di normale, sempre esistito, non si renderà conto che, se è un europeo di stirpe nativa, nella società multietnica simil-americana che si va costruendo, lui è il pellerossa.

Vi ho parlato più volte dell’interessante gruppo facebook che il nostro Michele ha creato per esplorare la questione delle origini, “MANvantara”, tuttavia avrete anche visto che qui non ho riportato se non pochissime volte stralci dei testi che vi compaiono, e in genere sotto forma di citazioni molto brevi, e il motivo è semplice, non mi sembra utile creare doppioni, ed è meglio che andiate a consultare direttamente le molte cose pubblicate in questo gruppo sia da Michele sia da altri collaboratori (trovate anche articoli miei, vi prego di avere pazienza). Stavolta però facciamo un’eccezione. In data 16 marzo, Michele ha pubblicato nel gruppo un breve articoletto-recensione sull’ultimo numero de “Le Scienze” (pensate che fonte estremista di destra, “Le scienze”!) dove in un articolo si parla del fossile cinese noto come l’uomo di Liuijang. Questo fossile dalle caratteristiche chiaramente sapiens sembrerebbe, in base allo studio dei sedimenti in cui era incluso, avere un’età fra i 111.000 e 139.000 anni. Bene, se ricordate in un precedente articolo di questa serie vi ho parlato di un altro sapiens cinese estremamente antico, l’uomo di Dali, che sembrerebbe collocabile attorno ai 124.000 anni or sono, quindi nello stesso orizzonte temporale del fossile di Liuijang.

Perché sono importanti questi ritrovamenti? Non solo perché attribuiscono all’Asia orientale un ruolo di importanza finora sottovalutata nell’origine della nostra specie, ma perché costituiscono la smentita definitiva dell’Out of Africa.

Secondo questa sedicente teoria imposta dalla democrazia per motivi “antirazzisti” come “ortodossia scientifica”, infatti, noi tutti saremmo i discendenti di un gruppo di sapiens africani migrati dal Continente Nero dopo che l’inverno nucleare provocato dalla gigantesca esplosione del vulcano indonesiano Toba avvenuta fra 50 e 70.000 anni fa, avrebbe cancellato le numerose popolazioni pre-sapiens o sapiens arcaiche fin allora esistenti. E’ chiaro che i ritrovamenti di reperti sapiens più antichi di 70.000 anni (e in questo caso posti a una distanza temporale quasi doppia) tagliano le gambe a questa presunta teoria, che se non fosse sostenuta dalla censura e dal potere mediatico, dalla disinformazione costante e sistematica, sarebbe scomparsa da un pezzo nel limbo delle idee sballate o dimostratesi palesemente false.

Un fatto ormai accertato, è che noi caucasoidi, a differenza degli africani “puri” che non ne presentano traccia, abbiamo nel nostro patrimonio genetico una frazione non trascurabile di geni che derivano dall’uomo di neanderthal. Come ho ribadito più volte, questo nostro antenato era lontano dall’essere il bruto scimmiesco come spesso lo si continua a raffigurare pur sapendo che ciò non corrisponde affatto alla realtà.

Ora sembra proprio che noi abbiamo gravemente sottovalutato questi nostri remoti antenati. L’8 marzo il sito “labroots” ha pubblicato un articolo riportato da “Genomics & Genetics” che ha a sua volta ripreso dalla prestigiosa rivista scientifica americana “Nature”, a firma della ricercatrice Carmen Leicht, dove si parla di una ricerca condotta da paleoantropologi australiani dell’Australian Centre for Ancient DNA (ACAD) dell’università di Adelaide in collaborazione con l’università inglese di Liverpool sui resti di due gruppi di neanderthaliani provenienti da Spy in Belgio e da El Sidron in Spagna. I ricercatori hanno esaminato la placca dentale dei fossili, che conserva anche per decine di migliaia di anni le tracce del DNA degli organismi animali e vegetali che questi uomini di tempi remoti ingerirono come cibo.

La ricerca ha evidenziato una dieta ricca e diversificata sia per gli alimenti di origine animale, sia per i vegetali in entrambi i gruppi, ma quel che è emerso a sorpresa, ed è probabilmente l’elemento di maggior interesse, è l’uso delle piante officinali che testimonia una buona conoscenza della farmacopea.

A quanto pare gli uomini di Neanderthal hanno posseduto una buona conoscenza delle piante medicinali e delle loro proprietà antidolorifiche e anti-infiammatorie”, riporta l’autrice.

In particolare, fa riferimento a un uomo i cui resti sono stati ritrovati a El Sidron, che soffriva di un ascesso dentario e di un parassita intestinale che gli doveva procurare attacchi di diarrea acuta. La sua placca conserva le tracce del consumo di corteccia di salice (che contiene l’acido salicidico, il principio attivo dell’aspirina), e muffa del genere penicillum, da cui in tempi moderni si è ricavata la penicillina. Gli antidolorifici e gli antibiotici che noi consideriamo le armi di punta della farmacopea moderna, dunque erano già conosciuti nella remota preistoria dai nostri antenati neanderthaliani!

Aggiungiamo, tanto che siamo in argomento una notizia che viene da ANSA.it del 6 marzo (Naturalmente l’ANSA, così come “Nature” o anche “Le scienze” o “La Repubblica” – “L’Espresso” dai cui articoli scientifici più volte abbiamo tratto elementi a sostegno delle nostre tesi, sono tutti siti di estrema, estremissima destra). Sapete di dove erano i neanderthal più antichi conosciuti in Europa? Romani! Un riesame di resti fossili umani e animali degli insediamenti neanderthaliani della valle dell’Aniene, ha permesso di stabilire una data di almeno 250.000 anni (con un margine di incertezza fra 295.000 e 245.000 anni) che ne fa in assoluto i più antichi reperti neanderthaliani conosciuti. Lo studio è stato compiuto dai ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) in collaborazione con i paleontologi delle università La Sapienza, Tor Vergata e Roma 3. Occorre ricordare, riporta l’articolo, che già negli anni ’30 nel non distante sito di Saccopastore furono rinvenuti due crani neanderthaliani che presentavano caratteristiche di notevole antichità.

Caso singolare, proprio in questo periodo, il 6 marzo, su “MANvantara”, Raffaele Giordano ha riproposto un articolo di Mario Quagliati già apparso nel 2000 sul sito del Centro Studi La Runa sull’Uomo del Pliocene di Savona. Si tratta di questo: Nel 1852 a Savona nel corso di lavori di sbancamento fu ritrovato uno scheletro umano pressoché completo sepolto a circa 3 metri di profondità in un orizzonte stratigrafico risalente al Pliocene (da 5 a 3 milioni di anni fa, all’incirca); le condizioni del sedimento in cui lo scheletro era incluso, portavano ad escludere che si trattasse di una sepoltura recente intrusiva in strati molto più antichi. Data l’epoca, il ritrovamento fu accolto dalla comunità scientifica di allora con totale scetticismo e disinteresse (questo ritrovamento avvenne, è il caso di ricordarlo, sette anni prima della pubblicazione de L’origine delle specie di Charles Darwin), e queste importantissime ossa andarono quasi completamente disperse. Tuttavia, ed è questa la cosa davvero scandalosa, nemmeno in tempi recenti, le poche ossa che si sono conservate, sono state degnate di un serio studio da parte degli specialisti.

Il perché noi lo comprendiamo molto bene: un serio studio sui resti di un essere umano pienamente umano contemporaneo dei famosi ominidi africani, e per di più vissuto non in Africa ma in Europa, metterebbe in crisi in modo irrimediabile il quadretto sulle nostre origini tracciato dalla “scienza” ufficiale, che non ha lo scopo di cercare la verità, ma quello di avvalorare i dogmi del pensiero democratico.

C’è poi un punto che va evidenziato: siamo in Italia. Mentre altrove esiste la tendenza a ingigantire l’importanza di tutto ciò che ha a che fare con la propria nazione, da noi sembra che valga la regola opposta: tutto ciò che riguarda il ruolo del nostro passato nel contesto più vasto della storia umana, sembra che debba essere a tutti i costi minimizzato. Ad esempio perlopiù si ignora che il più probabile e verosimile antenato comune all’uomo di Neanderthal e a quello di Cro Magnon, l’uomo di Ceprano (soprannominato anche Argil) è stato ritrovato nel 1994 in Italia, a Ceprano, appunto. E’ vero che questo reperto ha il difetto fondamentale di rendere più che mai inverosimile una filogenesi africana della nostra specie…

Un discorso a parte andrebbe fatto sulla questione degli ominidi, infatti, anche rimanendo in un’ottica strettamente evoluzionistica, l’origine africana degli ominidi, gli australopithecus come la famosa Lucy e tutti gli altri, non depone minimamente a favore della supposta origine africana della nostra specie, anzi per far passare questo discorso occorre ignorare, primo, il concetto di speciazione allopatrica; ossia è improbabile che una nuova specie si formi nel luogo d’origine dei suoi predecessori, ma è più verosimile che compaia con mutazioni che avverrebbero in una popolazione ristretta che ha colonizzato aree marginali, secondo, il considerevole iato temporale che separa la comparsa degli ominidi africani attorno a 4 – 5 milioni di anni fa e l’origine della nostra specie decine o centinaia di migliaia di anni fa, quindi un evento verificatosi in ogni caso a milioni di anni di distanza dal primo (ma qui credo che l’Out of Africa “giochi sporco”, nel senso che sfrutta la tendenza dell’uomo della strada a non fare troppo caso ai numeri e agli ordini di grandezza).

Ma, come è facile rendersi conto, questo discorso già traballante finisce a gambe all’aria nel momento in cui si vede che questi ominidi che secondo la teoria evoluzionista sarebbero stati i nostri lontani precursori, non erano affatto un’esclusiva dell’Africa. I resti di creature ominidi sono stati trovati ad esempio in India, e sono stati dati loro i nomi di ramapithecus e sivapithecus in riferimento a due divinità indiane, ma di ominidi a quanto pare ne abbiamo anche in Italia. In Italia sono noti dal 1875 i resti dell’Oreopithecus Bambolensis, una creatura antropoide, che furono trovati per la prima volta in una cava di carbone a Monte Bamboli in provincia di Grosseto. Pare che questa creatura, perlopiù classificata come scimmia antropomorfa, avesse una dentatura di tipo umano e fosse in grado di camminare eretta, cioè presentasse esattamente quelle caratteristiche che sono servite per diagnosticare in Lucy un precursore dell’umanità. Come se non bastasse, nel 1983 si parlò con un certo scalpore del ritrovamento di resti di australopiteco in Sicilia, poi della creatura battezzata australopithecus siculus non si parlò più per nulla, forse era troppo pericolosa per la “teoria” dell’origine africana.

Sommando tutto, considerando l’oreopiteco, l’australopiteco siciliano, l’uomo di Savona, quello di Ceprano, i neanderthaliani vecchi di un quarto di milione di anni, verrebbe da dire “Altro che Out of Africa, è semmai di Out of Italy che si dovrebbe parlare”, ma sappiamo che ai sostenitori di questa sedicente teoria, la veridicità dei fatti non interessa per nulla, quello che interessa loro, è spingerci a un atteggiamento di soggezione verso la presunta centralità delle origini africane, in modo che opponiamo meno resistenza possibile, o non ne opponiamo affatto, all’invasione di cui oggi siamo oggetto.

Nota: l’immagine che correda il presente articolo è una foto scattata a Trieste alla Casa del Combattente sabato 11 marzo, alla mia conferenza sulle Origini dell’Europa. Al tavolo dei relatori ci siamo Michele Ruzzai e io.

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