Riprendiamo adesso il nostro discorso sull’eredità degli antenati, verificando quali novità recenti o quali spinti di approfondimento siano emersi ultimamente.
Bisogna dire che era quasi inevitabile che a un periodo di intensa attività su queste tematiche come è stato quello dell’inizio del 2017, seguisse un periodo più vuoto. Sempre molto attivo e ricco di articoli e spunti interessanti per la riflessione sulle nostre origini, è il gruppo facebook MANvantara gestito dal nostro Michele Ruzzai, ma credo che non abbia senso copiare da esso, e sia meglio rimandarvi piuttosto alla lettura degli articoli in originale.
A meno, naturalmente, che non vi sia qualche spunto idoneo a essere sviluppato per un’analisi più approfondita.
A fine marzo sul gruppo è comparsa una recensione di Michele Ruzzai di un articolo di Michel B. Stringer, La comparsa dell’uomo moderno, pubblicato su “Le scienze” nel febbraio 1991, dove si evidenzia che “I dati molecolari a sostegno dell’origine subsahariana di Homo Sapiens in sé stessi non sono così evidenti, in quanto dipendono dal criterio adottato in partenza per interpretarli”. In poche parole, questo dogma della paleoantropologia, l’Out of Africa non è per nulla così certo come ci viene dato a intendere, tutto dipende dall’ottica in cui ci si pone, e in pratica non si finisce per trovare altro che quello che si cerca.
Tuttavia, l’aspetto che ora ci interessa maggiormente di questo scritto è l’albero genealogico della nostra specie disegnato da Stringer e che io ora qui riproduco. Non è qualcosa di completamente nuovo, l’avevo già riportato in una Ahnenerbe casalinga precedente, ma vi prego di osservare la parte destra dell’illustrazione, dove ho posizionato la freccetta rossa.
Si nota che oltre alle tre ramificazioni che da homo erectus-heidelbergensis portano all’uomo moderno, Neanderthal, Denisova, sapiens-Cro Magnon, ce n’è una quarta, più sottile, posizionata all’estremità destra del diagramma. Si tratterebbe di un sopravvissuto erectus africano che, incrociatosi con sapiens gromagnoidi, avrebbe dato origine al tipo umano che conosciamo come nero subsahariano. Si tratterebbe di un antenato di cui non abbiamo evidenze archeologiche o paleoantropologiche, ma che ha lasciato la sua chiara impronta genetica nei suoi discendenti.
La rivista “Le scienze” (“Le scienze”, pensate che fonte di estrema, estremissima destra!) del 2 agosto 2012 ha riportato un’intervista con Sarah Tishkoff dell’Università della Pennsylvania. La ricercatrice, che è considerata una delle massime autorità mondiali nel campo della genetica delle popolazioni, ed ecco cosa ci riferisce in proposito:
“[Vari studi genetici hanno rilevato la presenza di DNA neanderthaliano fra le popolazioni non africane] Ma non tra gli africani, che non avevano DNA neanderthaliano. Quando abbiamo applicato la statistica agli africani, in compenso, abbiamo visto molto dati che testimoniano incroci con un ominide che si è separato da un antenato comune circa 1,2 milioni di anni fa”.
Qualche decina di migliaia di anni fa nell’Africa subsahariana dunque si sarebbe verificato un incrocio tra popolazioni sapiens di tipo Cro Magnon e un homo erectus molto più antico, separatosi dalla linea principale della nostra specie qualcosa come un milione e duecentomila anni fa. I neri subsahariani, a quanto pare, sono il frutto di questa ibridazione e – tra parentesi – si vede quanto giusta sia a tale proposito l’osservazione del nostro Michele Ruzzai che la maggiore variabilità genetica rispetto ad altre popolazioni umane che si riscontra in Africa potrebbe essere SIA il prodotto di un’ancestralità della popolazioni nere (come affermano i sostenitori dell’Out of Africa) SIA di un meticciato relativamente recente, e la genetica conferma quest’ultima ipotesi, non solo, ma essendo il prodotto di un’ibridazione con un homo tanto antico, separatosi oltre un milione di anni fa dalla linea principale della nostra specie, il nero africano può essere considerato un vero e proprio passo indietro sulla via che porta a sapiens. Qui non si tratta di speculazioni tipo Ku Klux Klan, ma di inoppugnabili dati genetici, anche se si evita graziosamente di informare il grosso pubblico di simili scoperte.
Ultimamente in altri articoli di questa rubrica vi avevo esposto il concetto che l’antirazzismo, il cosiddetto antirazzismo si incammina lungo la china di tutte le altre utopie, che lo porta a capovolgersi nel suo esatto contrario, un razzismo basato su di un materialismo biologico che avrebbe fatto arrossire un positivista del XIX secolo, l’esaltazione della “pura linea” africana in confronto a noi europei e asiatici, ibridi di Neanderthal e di Denisova. Bene, un fatto che ho messo tra parentesi per non complicare troppo le cose, è che alla prova dei fatti rappresentata in questo caso dagli studi sul DNA, la “linea africana” si rivela tutt’altro che pura.
Un tema a cui sulle pagine di “Ereticamente” ho accennato più volte, è il razzismo di sinistra, il razzismo peggiore che possa esistere, che in pratica si traduce in un sistematico odio verso i propri connazionali. Ultimamente, ad esempio, hanno fatto un certo scalpore le dichiarazioni del ministro del lavoro Poletti secondo il quale i nostri giovani farebbero meglio ad andare a giocare a calcetto piuttosto che perdere tempo a cercare lavoro mandando in giro curricola. Poco tempo prima lo stesso individuo (per il quale è difficile usare parole grosse come “uomo” o “persona”), commentando il problema della fuga dei cervelli, cioè il fatto che i nostri giovani migliori sono costretti ad andare all’estero per trovare sbocchi lavorativi adeguati alle loro capacità, aveva commentato “Prima si tolgono di torno, meglio è”. In un Paese normale e in una situazione normale, dopo simili dichiarazioni, un ministro sarebbe stato costretto a dimissioni immediate, ma questo non c’è pericolo che succeda perché la sinistra che disgraziatamente governa l’Italia, e la stessa cosa vale per quella che oggi è la sua peggiore complice, la Chiesa cattolica, hanno fretta di veder scomparire gli Italiani nativi e sostituirli coi reflussi cloacali del Terzo Mondo.
Questo razzismo pratico trova il suo risvolto e il suo appoggio nel razzismo anti-bianco teorico, appunto nell’esaltazione della “pura linea africana” che esce dalla “teoria” dell’Out of Africa, nonché da echi del “buon selvaggio” rousseauiano, dalla cosiddetta antropologia culturale di Claude Levi Strauss e da altre farneticazioni di cui la sinistra si è abbondantemente nutrita e che rientrano puramente e semplicemente nella patologia di un pensiero che non ha nulla a che spartire con la realtà dei fatti.
Il testo di Stringer, che è del 1991, andrebbe aggiornato alla luce di scoperte più recenti. In particolare, bisogna ricordare che una ricerca genetica condotta dall’IBE (Istituto di Biologia Evolutiva) di Barcellona avrebbe individuato in tempi recenti nel DNA dei nativi delle isole Andamane e di altre popolazioni asiatiche le tracce di un altro antenato dell’umanità attuale oltre ai già conosciuti uomini di Cro Magnon, di Neanderthal, di Denisova nonché all’Homo africano di cui ho detto più sopra, e in tal modo gli antenati dell’umanità attuale salgono a cinque.
In tutto ciò, vorrei evidenziare, non c’è assolutamente nulla di strano o che contrasti in qualche modo con ciò che conosciamo e con le regole che valgono per il mondo animale. I nostri animali domestici, ad esempio, provengono spesso da una pluralità di antenati selvatici, anche perché in cattività si verificano facilmente incroci che allo stato selvatico avrebbero scarsa probabilità di avvenire, non fosse altro che per la distanza geografica fra le diverse popolazioni. Pensiamo per esempio ai nostri cani che sono certamente il prodotto dell’incrocio di diverse varietà di lupi (e forse anche di canidi diversi. Konrad Lorenz, ad esempio, sosteneva che nei nostri cani ci dovrebbe essere una discreta componente genetica derivata dallo sciacallo), da qui l’estrema variabilità genetica e fenotipica che i nostri fedeli amici presentano, oppure ai lama, frutto dell’incrocio di diversi camelidi andini quali il guanaco, l’alpaca, la vigogna. In questi casi, naturalmente capiamo che i limiti di una specie non sono stati realmente varcati, altrimenti l’ibrido sarebbe sterile come avviene per i muli. L’uomo, ci dicono gli etologi, è una specie che si è auto-addomesticata, e questo rende ancora più persuasiva l’analogia.
Tutto ciò non si concilia né con l’Out of Africa né con la favola di Adamo ed Eva raccontata dalla bibbia? Beh, ce ne faremo una ragione.
I dati della ricerca genetica più recente dimostrano che la nostra è una specie politipica nata dall’incontro di diversi antenati. Bene, è interessante vedere che il grande oracolo dei nostri tempi, Wikipedia dice esattamente il contrario.
Sull’enciclopedia on line che è divenuta un grande sunto, se non del sapere, quanto meno di quella che dovrebbe essere la Weltanschauung universale almeno nelle intenzioni di coloro che vogliono imporre a livello planetario il pensiero unico “politicamente corretto”, alla voce “Uomo”, (Homo sapiens) infatti leggiamo:
“L’attuale variabilità genetica della specie umana è estremamente bassa, comparativamente a quanto succede in altri raggruppamenti tassonomici animali. (…) la variazione del DNA umano è piccolissima se comparata con quella di altre specie (…). L’Homo sapiens è una specie monotipica”.
Non vi pare che in tutto questo discorso ci sia qualcosa di strano? Gli esseri umani presentano in maniera evidente differenze notevoli in termini di aspetto (dal colore della pelle – che non è la cosa più importante per individuare le appartenenze – alla taglia, ai lineamenti), di comportamento, di reazione agli stimoli, di tempi di maturazione sessuale e via dicendo, differenze che si notano spesso a colpo d’occhio. Tutto questo corrisponderebbe a una differenziazione genetica praticamente nulla?
Questa affermazione ripetutamente asserita (orwellianamente, una falsità ripetuta abbastanza a lungo e da fonti “autorevoli” finisce per diventare “la verità” comunemente accettata) ha una storia interessante. Nel 2001 un “ricercatore indipendente”, tale Craig Venter annunciò al mondo di aver portato a termine la mappatura del genoma umano e di aver scoperto che il DNA di tutti gli esseri umani esaminati era praticamente identico, con meno differenze, asserì, di quelle che è possibile rilevare all’interno di una tribù di una quindicina di antropoidi strettamente imparentati.
In seguito si è venuto a sapere che questa “scoperta” era un falso. Venter aveva sostenuto di aver esaminato il DNA di centinaia di persone provenienti da ogni parte del mondo, ma in seguito ai dubbi e alle obiezioni di altri ricercatori, ha dovuto confessare di non aver analizzato altro DNA che il proprio. Ovvio che somigliasse a se stesso ancor più di un parente stretto! Tanto per capire di che tipo si trattava, qualche tempo dopo è tornato alla carica sostenendo di aver creato la prima forma di vita completamente artificiale. Anche in questo caso è stato presto sbugiardato, non si trattava di “vita artificiale”, ma di un batterio nel cui DNA erano stati inseriti dei geni estranei, niente altro che un “volgare” OGM.
Ben presto, di un simile imbarazzante personaggio non si è parlato più, ma la favola che il DNA umano, di miliardi di individui diversissimi l’uno dall’altro che popolano questo pianeta, sia praticamente identico, è rimasta in circolazione, infatti come costui aveva sicuramente ben intuito, essa va incontro a un desiderio profondo della democrazia.
Non potendo abolire la natura, questo sistema “di pensiero” profondamente mistificato che conosciamo come democrazia, vorrebbe che essa fosse identica per tutti e quindi in ultima analisi irrilevante, che tutte le differenze che rileviamo fra gli esseri umani fossero dovute esclusivamente a fattori ambientali e culturali, e Venter le dava proprio questo.
La mistificazione di Venter s’incontra bene con quella di un altro presunto genetista, Richard Lewontin, che nel 1976 avrebbe “dimostrato” l’inesistenza delle razze umane sulla base di un “ragionamento” così fallace che verrebbe da chiedersi secondo il detto popolare se “ci è o ci fa” (io personalmente sono sicuro che “ci fa”). Poiché un qualsiasi gene dell’enorme quantità di essi che forma il DNA umano, può ritrovarsi in un qualsiasi gruppo umano purché scelto con sufficiente ampiezza, ecco dimostrato che le razze umane non esistono.
Si tratta, come altri genetisti hanno prontamente rilevato, di una fallacia che non tiene conto né della frequenza relativa con cui un determinato gene compare in determinati gruppi umani, né della correlazione fra i diversi geni, fatto importantissimo poiché in un organismo complesso come è quello umano, i geni che esprimono da soli un dato carattere fenotipico, sono pochissimi, e ciascuna delle nostre caratteristiche, dall’altezza all’intelligenza, è perlopiù determinata dalla sinergia fra una costellazione di geni.
Nonostante questo, si continua a sentir dire in giro, i media ripetono costantemente che “la scienza” avrebbe dimostrato l’inesistenza delle razze umane, il che è una totale e smaccata falsità.
Un piccolo particolare che rende la cosa ancor più sospetta: Richard Lewontin fa parte di quel gruppo etnico-religioso che pur costituendo a malapena lo 0,2-0,3% dell’umanità, è di fatto l’autore praticamente del cento per cento di quell’insieme di “idee” (di aberrazioni e mistificazioni) che conosciamo come modernità, dal marxismo alla psicanalisi, all’antropologia culturale. Ora, questo gruppo, mentre predica per tutti gli altri la bontà del meticciato, al suo interno pratica l’endogamia più rigorosa ed esclusiva e mostra di considerare coloro che non appartengono a questo gruppo etnico-religioso, i “goym” allo stesso livello delle bestie.
Pur trattandosi di tre grossolane bufale, la truffa di Venter, la fallacia di Lewontin e l’Out of Africa, nel loro insieme costituiscono “la verità scientifica” che l’ortodossia democratica vuole imporre a livello planetario.
TRE MENZOGNE NON FANNO UNA VERITA’ tranne che nell’universo orwelliano della democrazia dove appunto “la menzogna è verità” e “la schiavitù è libertà”.
Menzogne che attraverso la ripetizione ipnotica da parte del sistema mediatico hanno il preciso scopo di intontire le nostre coscienze e di non farci vedere o non farci dare importanza alla tragedia oggi in atto della sostituzione della popolazione europea con masse allogene di immigrati, l’eliminazione definitiva dei popoli d’Europa percepiti dal quel famoso 0,2-0,3% come una minaccia.
Sarà forse il caso di ricordare che proprio qui da noi a Trieste, alla Casa del Combattente, organizzata dal Circolo Identità e Tradizione e dall’Associazione Humanitas, sabato 8 aprile abbiamo avuto un incontro con Fabrizio Fiorini, direttore responsabile de “L’uomo libero” una delle più importanti e battagliere pubblicazioni della nostra Area, e che io ho avuto il piacere e l’onore di introdurre. Non a caso, l’ultimo numero della rivista è una monografia che s’intitola “La battaglia dei popoli per continuare a esistere”, perché dovrebbe essere ben chiaro a tutti che ormai non è più tempo di indugi e che la lotta definitiva per la sopravvivenza dei popoli europei è cominciata.