11 Ottobre 2024
Ahnenerbe

Una Ahnenerbe casalinga, quarantunesima parte – Fabio Calabrese

Pare una cosa alquanto singolare, ma sembra che negli ultimi tempi sul web si parli molto della lontana preistoria e delle tematiche delle origini. Io non vorrei essere così immodesto da pensare che questo possa essere dovuto a un’influenza dei miei articoli fuori dai nostri ambienti (anche perché sappiamo bene di confrontarci con un potere accademico e mediatico schiacciante nel decidere “cosa è scienza” e “cosa non lo è”), ma mi pare che i miei scritti, assieme all’ottimo lavoro che sta conducendo il gruppo facebook MANvantara del nostro Michele Ruzzai, abbiano avuto e stiano avendo un certo potere di stimolare da parte dei “nostri” una ricerca su queste tematiche nel mare magnum delle cose che circolano sul web.

Da tutto questo emerge un quadro sorprendente: l’idea che fin qui abbiamo avuto delle nostre origini deve essere radicalmente mutata. In particolare “la teoria” dell’Out of Africa, dell’origine africana della nostra specie è giunta al capolinea, non è più sostenibile, deve essere abbandonata, o almeno dovrebbe esserlo se la ricerca fosse condotta con un minimo di obiettività invece di essere distorta per finalità ideologiche intese a imporre sull’argomento IL DOGMA democratico.

Sarà bene ricordare in premessa che questa “teoria” sulle nostre origini non è nata da dati scientifici, ma sulla base di esigenze ideologiche, di propaganda “antirazzista”, e che a proposito di essa lo storico australiano Greg Jefferys ha scritto:

“Tutto il mito ‘dell’Out of Africa’ ha le sue radici nella campagna accademica ufficiale negli anni 90 [per] rimuovere il concetto della razza. Quando mi sono laureato tutti loro passavano un sacco di tempo sui fatti ‘dell’Out of Africa’ ma sono stati totalmente smentiti dalla genetica. (Le pubblicazioni) a larga diffusione la mantengono ancora.”

Questa citazione, lo ricorderete, si trova in un articolo da me più volte citato, pubblicato sulla rivista “Atlantean Garden”, dove affianca la confutazione dell’Out of Africa sulla base di un’analisi genetica sviluppata dai ricercatori russi Anatole A. Klyosov e Igor L. Rozhanski.

In pratica, questa “teoria” costruita non sulla base di dati scientifici ma unicamente di un’esigenza ideologica, ci vorrebbe persuadere dell’inesistenza delle razze umane: gli antenati di tutti noi sarebbero venuti dall’Africa qualche decina di migliaia di anni fa, noi caucasici non saremmo che dei “neri sbiancati” dal cambiamento climatico, così come i mongolici sarebbero dei “neri ingialliti”, e nonostante l’ampia confutazione che la genetica offre di questo vaneggiamento, i media e le istituzioni accademiche e scolastiche, cioè L’ORTODOSSIA DI REGIME, continuano a ripeterlo come una verità ovvia e scontata.

Io vi invito a tenere presente quello che ho scritto in un articolo recentemente pubblicato da “Ereticamente”, Scienza e democrazia. Sarebbe bello se nella ricerca scientifica si facessero semplicemente parlare i fatti, se le teorie nascessero da essi, e non fossero invece i fatti accertati a dover essere ingabbiati per forza nelle maglie di teorie precostituite. Sotto l’influsso del dogmatismo democratico, i ricercatori sono costretti a una singolare schizofrenia: da un lato devono proclamare le teorie ortodosse, conformi al dogma democratico, dall’altro sono costretti a prendere atto dei risultati delle loro ricerche che le smentiscono continuamente.

I risultati di ciò sono alquanto grotteschi, e se ricordate, ve ne avevo dato un esempio molto chiaro nella trentaduesima parte della nostra rubrica. In questo caso non si trattava dell’Out of Africa, ma di un’altra di quelle “teorie” (perché esse costituiscono un fascio più o meno collegato) tendenti a sminuire la visione che l’uomo europeo ha di se stesso, quella che sostiene l’origine mediorientale della civiltà. In Medio Oriente sarebbe avvenuta la rivoluzione agricola, e a partire da essa tutto il resto. L’articolo che citavo, apparso su “Ethnopedia” riportava la solita tesi dell’agricoltura e dell’allevamento di animali, che si suppone strettamente abbinato a essa, comparsi per la prima volta nella Mezzaluna Fertile mediorientale, ma la cartina che illustrava il pezzo riportava le percentuali di tolleranza al lattosio nelle diverse aree del pianeta (la tolleranza al lattosio è una conseguenza diretta del consumo di latte vaccino in età adulta, una risorsa alimentare cui si è avuto accesso a partire dall’allevamento, ed è presumibile che sia tanto maggiore quanto più è antica questa risorsa alimentare), e faceva vedere che essa è massima nell’Europa centro-settentrionale, minore in quella mediterranea, a livelli ancora inferiori in Medio Oriente, minima nell’Africa sub-sahariana e in Estremo Oriente, cioè smentiva il contenuto dell’articolo stesso, mostrando l’Europa tra la Scandinavia e l’arco alpino come area di origine dell’allevamento vaccino e presumibilmente dell’agricoltura.

Ora, è chiaro che quando andiamo a esaminare la questione delle origini della nostra specie, ci imbattiamo di continuo in situazioni dello stesso genere, cioè ammissioni a mezza bocca, elementi che non si riesce a far rientrare nel quadro precostituito, tasselli di un puzzle che occorre mettere assieme, che però una volta riuniti ci danno un quadro molto diverso da quello che ci saremmo aspettato, e che smentiscono in maniera bruciante e senza appello I DOGMI dell’ideologia democratica e antirazzista.

Prima di entrare nel vivo della nostra trattazione, vorrei rispondere a una questione sollevata da un lettore che ha commentato la trentanovesima parte di questa rubrica. In essa, parlavo della struttura architettonica formata da un doppio cerchio di stalagmiti recentemente ritrovata in Francia nella grotta di Bruniquel. Questa struttura risalente a quasi duecentomila anni fa, è attribuibile all’uomo di neanderthal. Io mi ponevo il quesito se questa precoce creatività non sia da mettere in relazione con la percentuale di geni neanderthaliani posseduta dagli uomini caucasici (e in misura minore dagli asiatici), e che è invece del tutto assente nei neri sub-sahariani. Io avevo indicato una percentuale dell’1-2%, e il lettore mi faceva notare che secondo altre stime essa è più alta (fino al 3%). Bene, io mi sono attenuto alla valutazione più prudenziale, ma in ogni caso il discorso non cambia.

Cominciamo dunque a vedere gli elementi che ci permettono di costruire il nostro puzzle e demolire l’Out of Africa consegnandolo definitivamente al limbo delle sciocchezze pseudoscientifiche.

 Cominciamo con un articolo che il nostro Michele Ruzzai ha di recente, in data 11 gennaio, postato su MANvantara, si tratta della recensione del libro Neandertal , le origini dell’umanità (senza la “h” nel titolo dell’edizione italiana, “h” che però è invece presente nell’originale in lingua inglese) di Paul Jordan, pubblicato da Newton Compton nel 2001. Ebbene, il nostro amico ha “beccato” qualcosa di molto importante passato inosservato in questo testo ormai edito da sedici anni:

Pag. 208: Sembra inoltre che vi siano altri possibili alberi filogenetici basati sulle variazioni del DNA mitocondriale e coerenti con i dati accolti, che non necessariamente collocano in Africa il più remoto punto di origine di tutte le popolazioni mondiali.

Pag. 231: Nel quadro attuale non si può dire che esistano prove veramente decisive, di tipo genetico, fossile o archeologico che dimostrino con certezza l’origine africana di Homo Sapiens”.

In poche parole, l’origine africana di homo sapiens non è per nulla provata. Nell’oppressivo regime democratico nel quale viviamo, si è costretti a bisbigliare quel che invece andrebbe urlato.

Giusto il giorno prima, il 10 gennaio, un altro nostro amico che ormai si è guadagnato il titolo di “collaboratore indiretto” di “Ereticamente”, il nostro Mamer, aveva postato un articolo, riprendendolo dal sito ecologista “Greenreport” (www.greenreport.it) un articolo che riporta una notizia di cui vi ho già parlato in precedenza, tratta da “Science” del gennaio 2016: un team di ricercatori russi guidato da Vladimir Pitulko ha ritrovato nella Siberia artica a 72 gradi nord i resti di un mammut e di un lupo risalenti a 45.000 anni fa che presentano i segni inequivocabili di lesioni provocate da lance e armi umane.

Io vi avevo già fatto notare a suo tempo che questa scoperta indebolisce grandemente la “teoria” dell’Out of Africa a causa della sua antichità, perché a questi uomini di presunta origine africana sarebbe mancato il tempo per spingersi così a settentrione, ma ora il nostro amico Mamer nel suo commento aggiunge qualcosa di più.

“Gli uomini potevano sopravvivere cacciando il mammut”, osserva, “Ma il mammut l’erba dove (…) la trovava se era tutto ghiaccio e neve?”

Mamer non è, per quel che io sappia, un uomo di scienza, ma qui fa un’osservazione basilare che pure sembra stranamente sfuggire a molti cosiddetti scienziati (cecità voluta per non urtare il dogmatismo sulle nostre origini?).

In altre parole, i mammut, come dimostra il vello lanoso di cui erano ricoperti, erano certamente adattati a un clima meno caldo di quello in cui vivono gli attuali elefanti africani e indiani, ma si trattava in ogni caso di pachidermi di grossa mole che dovevano necessitare di grandi quantità di vegetali per il loro sostentamento, e i radi licheni che si trovano oggi nella tundra artica sarebbero stati del tutto insufficienti; la loro presenza è la prova inoppugnabile che decine di migliaia di anni fa le regioni artiche dovevano godere di un clima molto più mite di quello attuale. Guarda caso, proprio quel che sostengono essere avvenuto nel nostro passato le dottrine tradizionali richiamate da Tilak sulla scorta dei Veda e da Iulius Evola.

Non ci fermiamo qui. “Greenreport” ci dà altre importanti notizie sulle ultime novità emerse dallo studio della nostra eredità ancestrale, e il fatto che si tratti di un sito ecologista e non “di Area” non toglie minimamente valore alla cosa, anzi, allontana il sospetto che le cose che emergono possano essere in qualche modo il frutto di un’ottica “prevenuta”.

Un altro articolo ci parla di una ricerca genetica condotta da un team del Max Planck Institute guidato da Martin Kuhlwim, anch’essa ripresa da “Nature”, condotta sui resti di neanderthaliani dell’Altai risalenti a oltre 100.000 anni fa, che ha dato risultati, che definire sorprendenti è davvero il minimo che si possa dire: essa ha evidenziato un flusso di geni sapiens in questa antica popolazione. Per capirci, laddove noi presentiamo nei nostri geni tracce di un incrocio dei nostri antenati sapiens con l’uomo di neanderthal, in questo caso è avvenuto l’inverso, ed erano questi neanderthaliani a presentare tracce dell’incrocio con sapiens.

Vi è chiara la portata di tutto ciò? Per prima cosa, deve essere ormai chiaro che homo sapiens e uomo di neanderthal non possono essere considerati specie umane diverse, ma semmai razze differenti di una medesima specie. L’appartenenza a una stessa specie è definita dalla possibilità di accoppiarsi dando luogo a una discendenza feconda, e questo è precisamente quel che è avvenuto tra sapiens e neanderthal non una ma più volte; noi stessi siamo un remoto frutto di queste ibridazioni.

Il secondo punto è che questa scoperta scardina completamente “la teoria” (la favola) dell’Out of Africa. Essa infatti ci testimonia la presenza di una popolazione sapiens  nell’Eurasia di oltre 100.000 anni fa, laddove secondo l’OOA, essi non avrebbero lasciato il continente africano prima di 65.000 anni or sono.

Ora, occorre sottolineare il fatto che per salvare l’Out of Africa rendendola compatibile con questi nuovi dati, non basta retrodatare la supposta migrazione dall’Africa (di oltre 40.000 anni, il che non è poco), infatti, secondo quest’ultima la presunta migrazione dall’Africa si sarebbe verificata dopo la supposta catastrofe planetaria determinata dall’esplosione del vulcano indonesiano Toba avvenuta tra 50.000 e 70.000 anni fa, quindi se i due eventi vanno separati (e con uno iato di quattrocento secoli, che non è una cosa da poco) bisogna considerare il ruolo che possono aver avuto nell’origine dell’umanità attuale le popolazioni pre-sapiens o sapiens arcaiche esistenti nell’area eurasiatica 100.000 anni fa, proprio ciò che l’Out Of Africa vorrebbe escludere per esaltare la “pura” linea africana. Se l’Out Of Africa fosse una teoria basata sui fatti anziché sull’esigenza ideologica di imporre a tutti i costi il dogma antirazzista (e ricordiamo sempre che nell’orwelliano linguaggio contemporaneo “razzismo” non significa più proclamare la superiorità di una razza sulle altre, ma la semplice constatazione che le razze umane esistono), essa dovrebbe essere formalmente abbandonata.

Non ci fermiamo qui, perché le sorprese non sono finite. Noi abbiamo già visto che gli esseri umani moderni sono una specie politipica, al cui patrimonio genetico hanno concorso oltre ai sapiens di supposta origine africana (ma che oggi sappiamo essere stati presenti in Eurasia molto prima di quel che si pensasse), gli uomini di neanderthal e un altro gruppo umano, i cosiddetti denisoviani i cui resti sono stati individuati nella grotta di Denisova nella regione dell’Altai. Bene, pare che non ci si debba fermare qui. Possiamo per prima cosa menzionare il ritrovamento di un cranio umano dalle caratteristiche sorprendentemente moderne e risalente a 250.000 anni fa avvenuto in Cina a Dali, ne ha parlato “Le scienze” in un articolo pubblicato nel luglio 2016, ma questo non è tutto. Sempre “Greenreport” ci parla di uno studio compiuto da un team di ricercatori catalani dell’Istituto di Biologia Evolutiva (IBE) di Barcellona sul genoma degli indigeni delle isole Andamane e di altre popolazioni asiatiche, che ha evidenziato la presenza di geni che non risalirebbero né al sapiens di presunta origine africana, né all’uomo di neanderthal, né a quello di Denisova, ma richiedono di ipotizzare un quarto e per ora sconosciuto antenato dell’umanità attuale.

Gli astronomi del cinque-seicento sapevano di lavorare sotto il tallone di un’autorità tirannica per cui il geocentrismo tolemaico era la verità indiscutibile, e accampavano una serie di scuse, spacciando l’eliocentrismo copernicano come un semplice espediente per semplificare i calcoli. Oggi i paleoantropologi, consapevoli del pari di lavorare sotto il tallone di un’autorità tirannica che si chiama democrazia, operano nello stesso modo, evitando di correlare i dati emersi dalle diverse ricerche e affermando a ogni piè sospinto che essi non contraddicono l’Out of Africa quando a chi consideri le cose con obiettività, è chiaramente evidente il contrario. Noi però possiamo ora vedere di ricostruire adeguatamente il puzzle delle nostre origini, anche se è tutt’altro che escluso che nuovi tasselli saltino fuori in futuro.

Per prima cosa, abbiamo visto che decine o centinaia di migliaia di anni fa il clima delle regioni artiche doveva essere molto diverso da quello attuale, doveva disporre di una vegetazione lussureggiante, tale da consentire la sopravvivenza di erbivori di grossa taglia come i mammut, poi abbiamo visto che fuori di ogni dubbio l’Out of Africa è una “teoria” smentita dai fatti, è incompatibile con la presenza in Eurasia di uomini sapiens moderni già più di 100.000 anni fa. Terzo punto, altrettanto fondamentale: se vale il principio ecologico-genetico per il quale man mano che gruppi di popolazioni si separano dal nucleo ancestrale avviene il fenomeno della deriva genetica, cioè della perdita di varietà a livello ereditario, allora il luogo della maggiore varietà genetica è quello che ha le maggiori probabilità di essere il luogo delle origini. Bene, teniamo presente questo concetto: in Eurasia troviamo l’homo sapiens “moderno” molto prima di quanto avremmo potuto ipotizzare in base alla sua presunta origine africana, l’uomo di neanderthal, l’uomo di Denisova, il misterioso “quarto antenato” (forse l’uomo di Dali). Ve n’è più che abbastanza per ipotizzare che, ammesso che vi sia un luogo da considerare la culla ancestrale dell’umanità, esso non è l’Africa ma l’Eurasia.

Una breve nota riguardante le illustrazioni che corredano questo articolo. La scena di caccia ai mammut è tratta da “Greenreport”, e gli autori dell’illustrazione e gli estensori dell’articolo, come del resto molti altri, non devono essersi resi conto di quanto sia assurdo supporre che branchi di pachidermi di grandi dimensioni abbiano potuto sopravvivere in un ambiente simile all’artico attuale che, oltre al freddo, presenta una disponibilità molto ridotta di vegetazione. Abbiamo poi la copertina del libro di Paul Jordan recensito da Michele Ruzzai su MANvantara, e, sempre tratta da “Greenreport”, la ricostruzione di un bambino ibrido neanderthal-sapiens che sarebbe vissuto nell’Altai 100.000 anni fa. Un’immagine che ancor più di quella presente nella trentanovesima parte della nostra rubrica, fa giustizia delle presunte caratteristiche scimmiesche così spesso attribuite a questi nostri antenati.

10 Comments

  • Daniele Bettini 6 Febbraio 2017

    Articoli e siti interessanti trovati nel web da far circolare.
    Invito chi puo’ a inviare nostri materiali e articoli presenti su ereticamente ai siti citati.

    1-Il pronipote di James Churchward, meglio conosciuto come l’autore del libro “The Lost Continent di Mu” ha creato questo sito web per documentare la sua ricerca sulle sue teoriesu MU e altre antiche civiltà avanzate, con tanto di bookstore.

    Who Lived in America 50,000 Years Ago?
    http://blog.my-mu.com/?p=320

    2-La ricerca del DNA Supporta la Storia Atlantide e Mu di Cayce
    http://atlanteangardens.blogspot.it/2014/04/dna-research-supports-cayces-atlantean.html

    Analisi del DNA che confermano colonizzazioni Muane ed atlantidee nelle Americhe sostenute da E.Cayce ma anche dal nostro Lorenzoni.
    Riporto un estratto dell’articolo.
    “Le Americhe sono stati colonizzate presto e molti gruppi razziali diversi sono venuti. Diverse ondate migratorie, probabilmente si sono verificate. L’onda iniziale sembra essersi verificato intorno al 35.000 aC, intorno allo stesso tempo che i tipi Magnon Cro appaiono in Europa occidentale.
    Il tipo X nell’antica America sembra essere legato al Iroquois. Questa tribù, naturalmente, era, secondo Cayce, in parte il resto dei sopravvissuti di Atlantide dalla sua distruzione finale nel 10.000 aC
    Il ritrovamento del gruppo X Nel nord del Gobi-dimora Altasians è salutato come la prova che tutte le migrazioni americani provenivano dalla Siberia via lo stretto di Bering, eppure sembra improbabile.
    Con il tipo X essere presenti in Medio Oriente, l’Europa, gli antichi baschi, e in America, una migrazione del Gobi a tutte queste aree è dubbia.
    L’aplogruppo B, che si trova solo in gruppi aborigeni nel sud est asiatico, Cina, Giappone, Melanesia e Polinesia, può rappresentare il popolo di Mu. Entrambi gli archeologi cinesi e giapponesi prendono l’idea di Mu seriamente, ei risultati haplogroup B da vicino la storia corrispondono Cayce ha parlato del continente. La maggior parte della gente di Mu scampati alla distruzione di 50.000 aC sfuggito a Cina, India e Giappone.
    Qualche tempo dopo, i discendenti di questi popoli potrebbero hanno viaggiato in America. Mentre Cayce ha detto che alcune persone provenienti da Mu sono entrati nelle Americhe, non ha indicato il periodo di tempo in cui la maggior parte di loro è venuto. Sappiamo solo che è stato dopo 50.000 aC e prima di 28.000 aC….(continua)

    3-Come ho trovato la perduta Atlantide, la fonte di ogni civiltà
    dal Dr. Paul Schliemann
    New York American,, 20 Ottobre 1912
    http://atlanteangardens.blogspot.it/2014/04/how-i-found-lost-atlantis-source-of-all.html
    Un articolo sugli stessi temi addirittura del Nipote di Dr. Heinrich Schliemann,
    Questo articolo e le illustrazioni di accompagnamento, prodotta da una fotocopia fornita dalla New York Public Library, vengono ripubblicati per la prima volta in oltre 90 anni.
    

  • Daniele Bettini 6 Febbraio 2017

    Articoli e siti interessanti trovati nel web da far circolare.
    Invito chi puo’ a inviare nostri materiali e articoli presenti su ereticamente ai siti citati.

    1-Il pronipote di James Churchward, meglio conosciuto come l’autore del libro “The Lost Continent di Mu” ha creato questo sito web per documentare la sua ricerca sulle sue teoriesu MU e altre antiche civiltà avanzate, con tanto di bookstore.

    Who Lived in America 50,000 Years Ago?
    http://blog.my-mu.com/?p=320

    2-La ricerca del DNA Supporta la Storia Atlantide e Mu di Cayce
    http://atlanteangardens.blogspot.it/2014/04/dna-research-supports-cayces-atlantean.html

    Analisi del DNA che confermano colonizzazioni Muane ed atlantidee nelle Americhe sostenute da E.Cayce ma anche dal nostro Lorenzoni.
    Riporto un estratto dell’articolo.
    “Le Americhe sono stati colonizzate presto e molti gruppi razziali diversi sono venuti. Diverse ondate migratorie, probabilmente si sono verificate. L’onda iniziale sembra essersi verificato intorno al 35.000 aC, intorno allo stesso tempo che i tipi Magnon Cro appaiono in Europa occidentale.
    Il tipo X nell’antica America sembra essere legato al Iroquois. Questa tribù, naturalmente, era, secondo Cayce, in parte il resto dei sopravvissuti di Atlantide dalla sua distruzione finale nel 10.000 aC
    Il ritrovamento del gruppo X Nel nord del Gobi-dimora Altasians è salutato come la prova che tutte le migrazioni americani provenivano dalla Siberia via lo stretto di Bering, eppure sembra improbabile.
    Con il tipo X essere presenti in Medio Oriente, l’Europa, gli antichi baschi, e in America, una migrazione del Gobi a tutte queste aree è dubbia.
    L’aplogruppo B, che si trova solo in gruppi aborigeni nel sud est asiatico, Cina, Giappone, Melanesia e Polinesia, può rappresentare il popolo di Mu. Entrambi gli archeologi cinesi e giapponesi prendono l’idea di Mu seriamente, ei risultati haplogroup B da vicino la storia corrispondono Cayce ha parlato del continente. La maggior parte della gente di Mu scampati alla distruzione di 50.000 aC sfuggito a Cina, India e Giappone.
    Qualche tempo dopo, i discendenti di questi popoli potrebbero hanno viaggiato in America. Mentre Cayce ha detto che alcune persone provenienti da Mu sono entrati nelle Americhe, non ha indicato il periodo di tempo in cui la maggior parte di loro è venuto. Sappiamo solo che è stato dopo 50.000 aC e prima di 28.000 aC….(continua)

    3-Come ho trovato la perduta Atlantide, la fonte di ogni civiltà
    dal Dr. Paul Schliemann
    New York American,, 20 Ottobre 1912
    http://atlanteangardens.blogspot.it/2014/04/how-i-found-lost-atlantis-source-of-all.html
    Un articolo sugli stessi temi addirittura del Nipote di Dr. Heinrich Schliemann,
    Questo articolo e le illustrazioni di accompagnamento, prodotta da una fotocopia fornita dalla New York Public Library, vengono ripubblicati per la prima volta in oltre 90 anni.
    

  • Fabio Calabrese 7 Febbraio 2017

    Caro Bettini, la ringrazio per le informazioni e gli spunti interessanti che vedrò di utilizzare. Riguardo alla storia delle Americhe, molto più complessa di quanto ammesso dagli storici ufficiali, non so se le è capitato di leggere il mio “La storia perduta delle Americhe”, pubblicato sul n. 7 gennaio/febbraio 2012 della rivista “La runa bianca”. Al caso, se mi fa avere la sua e.mail attraverso la redazione di “Ereticamente”, posso fargliene avere una copia in PDF.

  • Fabio Calabrese 7 Febbraio 2017

    Caro Bettini, la ringrazio per le informazioni e gli spunti interessanti che vedrò di utilizzare. Riguardo alla storia delle Americhe, molto più complessa di quanto ammesso dagli storici ufficiali, non so se le è capitato di leggere il mio “La storia perduta delle Americhe”, pubblicato sul n. 7 gennaio/febbraio 2012 della rivista “La runa bianca”. Al caso, se mi fa avere la sua e.mail attraverso la redazione di “Ereticamente”, posso fargliene avere una copia in PDF.

  • Daniele Bettini 7 Febbraio 2017

    Basta mettere qui il link all’articolo.
    oppure la mail è sempre quella nell’avatar :
    jenainsubrica@libero.it

  • Daniele Bettini 7 Febbraio 2017

    Basta mettere qui il link all’articolo.
    oppure la mail è sempre quella nell’avatar :
    jenainsubrica@libero.it

  • Daniele Bettini 22 Febbraio 2017

    An old Irish legend about an ancient Egyptian princess

    http://atlanteangardens.blogspot.it/2017/02/scota-daughter-of-pharaoh-mother-of.html

    Walter Bower ha scritto il suo compendio di storia scozzese, Scotichronicon, nel 1440. Egli fa riferimento la sua cronaca da testi antichi e la storia orale, e quello che ha registrato era stupefacente. Secondo Bower, il popolo scozzese non erano un amalgama di Pitti, scozzesi e altri popoli europei, ma erano in realtà gli egiziani, che potrebbe risalire la loro discendenza direttamente alla figlia di un faraone e suo marito, il nome di una regina greca king.The era Scota – da cui deriva il nome Scozia. Il re greco era Gaythelos – da qui il gaelico, e il loro figlio era conosciuto come Hiber – che ci dà Hibernia.

  • Daniele Bettini 22 Febbraio 2017

    An old Irish legend about an ancient Egyptian princess

    http://atlanteangardens.blogspot.it/2017/02/scota-daughter-of-pharaoh-mother-of.html

    Walter Bower ha scritto il suo compendio di storia scozzese, Scotichronicon, nel 1440. Egli fa riferimento la sua cronaca da testi antichi e la storia orale, e quello che ha registrato era stupefacente. Secondo Bower, il popolo scozzese non erano un amalgama di Pitti, scozzesi e altri popoli europei, ma erano in realtà gli egiziani, che potrebbe risalire la loro discendenza direttamente alla figlia di un faraone e suo marito, il nome di una regina greca king.The era Scota – da cui deriva il nome Scozia. Il re greco era Gaythelos – da qui il gaelico, e il loro figlio era conosciuto come Hiber – che ci dà Hibernia.

  • Ricardo Accurso 2 Marzo 2017

    Buenas noches. Respecto del clima en la zona ártica o próxima a la misma y sus variaciones a lo largo de los últimos 200.000 años, les remito el enlace a un artículo de “La Nación” de Buenos Aires aparecido hoy. Allí se confirma lo expresado en esta entrega de A. C. Habría que seguir de cerca los descubrimientos en el cráter de Batagaika.

    http://www.lanacion.com.ar/1988904-una-puerta-al-infierno-el-gigantesco-crater-de-siberia-que-sigue-creciendo-y-revela-como-era-la-tierra-hace-200000-anos

  • Ricardo Accurso 2 Marzo 2017

    Buenas noches. Respecto del clima en la zona ártica o próxima a la misma y sus variaciones a lo largo de los últimos 200.000 años, les remito el enlace a un artículo de “La Nación” de Buenos Aires aparecido hoy. Allí se confirma lo expresado en esta entrega de A. C. Habría que seguir de cerca los descubrimientos en el cráter de Batagaika.

    http://www.lanacion.com.ar/1988904-una-puerta-al-infierno-el-gigantesco-crater-de-siberia-que-sigue-creciendo-y-revela-como-era-la-tierra-hace-200000-anos

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