12 Ottobre 2024
Ahnenerbe

Una Ahnenerbe casalinga, quinta parte

Dimensione del cranio in Europa secondo Coon
Di Fabio Calabrese
Della questione delle origini nei suoi diversi livelli (origini della civiltà, dei popoli indoeuropei, della stessa specie umana), mi sono occupato con ampiezza nei miei precedenti articoli, e onestamente pensavo di lasciare l’argomento in sospeso per un po’. “Ereticamente” non è una pubblicazione di archeologia né di paleoantropologia, ma di politica e di metapolitica (Weltanschauung), tuttavia comprendere quali siano le nostre origini, è fondamentale per capire chi davvero siamo e qual’è il nostro posto nel mondo, il che a sua volta è una premessa necessaria di un agire politico non cieco.

Noi abbiamo visto, e non è certamente un caso, che riguardo a queste tematiche esiste una “ortodossia scientifica” che in realtà, in termini di elementi concreti, di prove, di testimonianze archeologiche e fossili, è fondata sul nulla. Si pretende che la nostra specie si sia originata in Africa e che noi stessi saremmo degli africani “sbiancati”, che non si possa parlare nemmeno di genti ma solo di lingue indoeuropee (senza nessun contenuto razziale, ovviamente, perché le razze non esistono) portate in Europa da agricoltori mediorientali, che la civiltà sarebbe nata in Medio Oriente fra l’Egitto e la Mezzaluna Fertile. Tutto questo complesso IDEOLOGICO E NON SCIENTIFICO sostenuto dal peso dell’autorità accademica è conforme ai dettami dell’ideologia democratica imposta all’Europa con le armi a seguito della sconfitta nella seconda guerra mondiale, e ha precisamente lo scopo di cancellare negli Europei il senso di superiorità rispetto agli altri popoli e alle genti “colorate” e di far accettare loro che le stesse etnie europee possano o meglio ancora debbano scomparire in seguito all’immigrazione e al meticciato.

Tutto ciò l’abbiamo visto con ampiezza, ed era mia intenzione, come vi ho detto, lasciare l’argomento in sospeso per un po’, ma dopo il recente intervento di Michele Ruzzai sull’ipotesi dell’origine africana, mi sembra opportuno riprendere in mano la questione con alcune osservazioni non in contraddittorio, ma in appoggio alle tesi del nostro amico.

Il nostro Michele parte da un’osservazione che io trovo molto acuta. In assenza di un qualsiasi sostegno all’ipotesi dell’origine africana dai dati archeologici o paleoantropologici (strumenti litici o fossili umani) la prova principale dell’origine africana consisterebbe IN UNA CERTA INTERPRETAZIONE dei dati genetici: le popolazioni dell’Africa subsahariana sarebbero quelle che presentano un tasso di variabilità genetica maggiore di tutto il resto dell’umanità. Il “modello evolutivo” che questa concezione presuppone, è quello di un “centro” magmatico e caotico da cui si irradiano delle diramazioni che diventano più stabili man mano che si allontanano da esso. E’ un albero genealogico valido della nostra specie o di qualsiasi cosa, o non esprime piuttosto l’amore democratico per il caos, l’informe, l’assenza di strutture e di regole?

Ora, fa giustamente notare Michele, l’alto tasso di variabilità genetica, più che essere ancestrale, potrebbe essere il risultato di incroci recenti (recenti magari nel senso della paleoantropologia: per i paleoantropologi, decine di migliaia o migliaia di anni sono un tempo recente, dato che di solito si ragiona sull’arco temporale dei milioni di anni). In fin dei conti, se noi andassimo a studiare il genoma degli abitanti di New York, sicuramente troveremmo una variabilità genetica enormemente maggiore di quella che possiamo riscontrare ad esempio nelle valli bergamasche, eppure sappiamo benissimo che con l’eccezione, forse, dei nativi americani (volgarmente detti “pellirosse”) che ormai sono quasi estinti, nessun genoma “americano” si trova lì e nel Nuovo Mondo da più di cinque secoli.

In realtà, sappiamo bene che l’ipotesi dell’origine africana non ha alcun valore scientifico, ma è stata inventata unicamente per scopi di propaganda antirazzista. Lo ha ammesso perfino Uriel Fanelli in quel suo pezzo citato in precedenza, un autore di sinistra che avverte “i compagni” che la falsificazione africana non funziona più. Nuove voci di dissenso sempre maggiore a questa “teoria imposta” si sono recentemente levate dagli ambienti scientifici.

In particolare, secondo quanto riferisce una pubblicazione in lingua inglese, “Atlantean Gardens” nel numero di sabato 3 maggio 2014, l’ipotesi dell’origine africana è stata clamorosamente smentita dalle ricerche degli scienziati russi. Che questa confutazione venga proprio dalla Russia oggi non più sovietica e i cui ricercatori non sono più costretti a ripudiare la genetica, non è cosa che stupisca, dato che oggi costoro sono ancora liberi dalla dittatura mascherata della “political correctnes” che imperversa in Occidente e impone il silenzio su tutto ciò che potrebbe intaccare i dogmi democratici e antirazzisti.

Dunque, secondo quanto riferisce “I giardini di Atlantide”, nel 2012 i ricercatori russi Anatole A. Klysov e Igor L. Rozhansky hanno esaminato la bellezza di 7.556 cromosomi Y di europei (caucasoidi), allo scopo di verificare se l’albero genealogico degli aplogruppi che era possibile tracciare sulle base delle rispettive parentele, puntasse verso un’origine africana. La risposta è stata chiaramente negativa.

L’articolo riporta anche l’opinione dello storico australiano Greg Jefferys che ribadisce che la “teoria” (favola sarebbe in realtà un termine più appropriato) dell’origine africana non ha alcun elemento scientifico a suo sostegno, ma è stata introdotta “per eliminare il concetto di razza”.

Secondo i ricercatori russi, almeno il 20% del DNA delle popolazioni umane moderne non discenderebbe dagli uomini di Cro Magnon di presunta origine africana, ma deriverebbe da neanderthaliani, denisoviani, da un homo arcaico con cui le popolazioni africane si sarebbero re-incrociate, forse anche dagli hobbit dell’isola di Flores.

E’ la conferma eclatante della teoria multiregionale, ma è anche qualcosa di più. La specie umana sarebbe una specie ibrida, e la prova migliore di ciò è data dal fatto che alcune parti del nostro genoma non sono reciprocamente compatibili. Lo si vede bene ad esempio considerando il fattore sanguigno RH. Se una donna RH negativa rimane incinta di un uomo RH positivo e quest’ultimo ha trasmesso la RH positività al nascituro, in questo caso il corpo della madre produrrà anticorpi contro il feto che possono produrre gravi danni al bambino, reagisce proprio come se quest’ultimo fosse un “estraneo” di altra specie.

Queste scoperte e considerazioni vengono a sfasciare non solo il dogma democratico dell’inesistenza delle razze, ma anche quello cristiano del monogenismo, cioè dell’origine unica di tutta l’umanità, ma cosa ci volete fare? I fatti sono fatti.

Bisogna però dire che, proprio perché dubito fortemente che il pubblico di “Ereticamente” sia composto in prevalenza da esperti in paleoantropologia, sarà bene fare una precisazione importante per non dare luogo ad equivoci che potrebbero facilmente ritorcersi contro di noi, che la questione della supposta origine africana recente di homo sapiens, è una questione completamente diversa da quella dell’origine africana degli ominidi primitivi, la famosa Lucy e tutti gli altri che sono stati esumati dal suolo del Continente Nero e la cui africanità nessuno contesta (anche se il continente nero, come vedremo, non è l’unico ad aver restituito fossili ominidi).

Per capire un po’ meglio le cose, sarà meglio fissare alcuni paletti temporali. Gli ominidi, i precursori, sembrerebbe, degli esseri umani, sembrano essersi distaccati da un lignaggio antropomorfo in un orizzonte temporale che andrebbe dai 5 ai 7 milioni di anni fa.

Il primo essere che possiamo identificare come certamente unano, l’homo erectus, compare all’incirca un milione di anni fa. Esiste certamente l’erectusafricano, il cui rappresentante più noto è uno scheletro giovanile quasi completo, il “Ragazzo del lago Turkana”, ma esistono anche due varietà asiatiche, l’uomo di Pechino e l’uomo si Giava, e una varietà europea, l’uomo di Heidelberg, testimoniato oltre che dalla famosa mandibola ritrovata in questa località, da diversi altri reperti fra cui alcuni italiani di cui parleremo fra poco. Proprio l’uomo di Giava ha dato il nome alla specie. Esso fu scoperto nel XIX secolo dal medico olandese Eugene Dubois che lo chiamò “Pitecanthropus erectus”, cioè “uomo-scimmia eretto”. Ci volle del tempo perché si capisse che non si trattava di un uomo scimmia, ma di un autentico uomo sia pure primitivo.

Interessantissimo fra gli erectus europei, un esemplare italiano, l’uomo di Ceprano detto anche Argill, che sembrerebbe avere proprio le caratteristiche giuste per essere l’antenato comune dell’uomo di Neanderthal e di quello di Cro Magnon, mentre l’uomo di Denisova sembrerebbe da collegarsi piuttosto all’erectus di Heidelberg. In ogni caso, non vi è proprio nulla che rimandi a un’origine africana.

La comparsa dell’homo sapiens si dovrebbe collocare attorno ai 70-50.000 anni fa se parliamo dell’uomo di Cro Magnon anatomicamente moderno, ma se includiamo le forme cosiddette pre-sapiens o sapiens arcaiche, questo tempo andrebbe verosimilmente raddoppiato. La nostra specie appare distinta nelle tre varietà di Cro Magnon, di Neanderthal e di Denisova, perché è chiaro che se neanderthaliani e denisoviani hanno potuto incrociarsi con l’uomo moderno, e generare una discendenza fertile in modo che i loro geni
sono giunti almeno in parte fino a noi, vanno considerati varietà della nostra specie, non specie umane distinte.

A titolo puramente indicativo, 100.000 anni sono un compromesso ragionevole. Quel che importa rimarcare, però, è che l’origine africana degli ominidi primitivi e quella di homo sapiens sono due questioni affatto differenti, e che i ritrovamenti africani di Lucy e degli altri ominidi non ci dicono nulla riguardo alla seconda, l’origine della nostra specie.

Paradossalmente essi, anzi, potrebbero rappresentare una forte indicazione in senso contrario. Dai tempi di Darwin si presenta ai biologi un problema di difficile soluzione. Se noi affianchiamo le une alle altre le diverse specie di un gruppo animale o vegetale rispettando i rapporti cronologici, si ha l’impressione di un’evoluzione, di una transizione dall’una all’altra forma, ma se consideriamo una singola specie, anche lungo un arco di tempo lunghissimo, essa è perlopiù stabile e non mostra alcun segno di transizione verso la forma successiva. Come spiegare il mistero dell’evoluzione a scatti o, come ha detto qualcun altro, dell’evoluzione punteggiata?

Una spiegazione è stata vista da alcuni in quella che è stata chiamata teoria della speciazione allopatrica. Una specie diffusa e affermata colonizzerà una serie di habitat e di regioni con caratteristiche diverse. Forme che rappresentano delle innovazioni evolutive si presenteranno come adattamenti ad habitat marginali, e perché si affermino sarà necessario che un cambiamento delle condizioni ambientali le favorisca a scapito della popolazioni originale, e solo allora potranno re-invadere l’area “centrale” di origine della stessa, e solo a questo punto, non quando i loro antenati erano colonizzatori marginali di un’area periferica, compariranno nella documentazione fossile perché – ricordiamolo – quelli i cui resti ci sono giunti fossilizzati, sono solo una piccolissima parte di tutti gli esseri vissuti. Quindi l’evoluzione ci apparirà “a scatti”. Speciazione allopatrica significa letteralmente che una nuova specie avrà origine in una “patria” diversa da quella in cui si è generata la specie originale. Se questa teoria è vera, e se partiamo dal presupposto che le leggi che regolano il divenire dell’umanità sono le stesse che condizionano la storia di tutte le forme viventi, il fatto che gli ominidi primitivi si siano generati in Africa, potrebbe essere una forte indicazione del fatto il percorso successivo non si è sviluppato lì, ma altrove.

I conti però ancora non tornano. Siamo sicuri, del tutto sicuri che gli ominidi primitivi abbiano una storia esclusivamente africana?

Questo è un capitolo sconcertante. Nel 1983, un ricercatore siciliano, Gerlando Bianchini, ritrovò proprio in Sicilia i resti di un ominide, un australopiteco dello stesso genere della famosa Lucy e dei reperti sudafricani come il “bambino di Taung”, che battezzò australopithecus siculus. Da allora sono passati oltre trent’anni e non se n’è più parlato, nemmeno per contestare l’autenticità del ritrovamento, è semplicemente sparito dalla documentazione. Non è ancora tutto: noi potremmo chiamare pre-ominidi quelle creature che, vicinissime alla linea di demarcazione fra antropomorfe e ominidi, rappresentano il primissimo, incerto passo in direzione dell’umanità. Resti di simili creature, che sono stati raggruppati nei due generi ramapithecus e sivapithecus dal nome di due figure della mitologia indiana, furono ritrovati appunto in India, e anche su di essi è calato uno strano silenzio. Ma forse la cosa più singolare, e certamente la meno conosciuta, è che anche l’Italia ha il suo pre-ominide, i cui resti emersero molti anni fa da un blocco di lignite nella cava di monte Bamboli in Toscana, che fu chiamato oreopithecus bambolensis, e che sorprende per la faccia piatta e le caratteristiche stranamente umane della dentatura.

Il sospetto che viene, è che tutti questi ritrovamenti siano stati censurati perché potrebbero dare ombra ai reperti africani ai quali la ricerca sedicente scientifica ortodossa e “politicamente corretta” tiene tantissimo, perché pretende di basare su di essi la leggenda dell’origine africana della nostra specie e il teorema dell’inesistenza delle razze.

La nostra Penisola sembra avere un ruolo singolare nella storia dello sviluppo dell’umanità, pare presentare una documentazione completa di esso: dallo stadio pre-ominide (oreopiteco di monte Bamboli), all’ominide australopiteco (australopithecus siculus), all’homo erectus classico (rappresentato non molto bene, ma non è la quantità dei reperti che conta, da un dente ritrovato nella grotta nota come abisso di San Cassiano sul carso triestino e attualmente conservato al museo di storia naturale della città giuliana), all’erectus evoluto e in via di transizione verso il sapiens (l’uomo di Ceprano, “Argill” che è forse il candidato migliore che conosciamo a ricoprire il ruolo di antenato comune fra l’uomo di neanderthal e il sapiens di Cro Magnon), il pre-neanderthal (Saccopastore), il neanderthaliano classico (Monte Circeo), il pre-sapiens (uomo di Altamura), e infine, proprio per non farci mancare nulla, i ritrovamenti nella grotta di Uluzzo, i resti di una popolazione non di ceppo neanderthaliano come si era pensato, ma di Cro Magnon fra i più antichi ritrovati in Europa.

Dubito che altrove sul territorio di una nazione di estensione non grandissima, si trovi una documentazione altrettanto completa della nostra storia biologica, e questo ci fa sospettare che proprio essa abbia giocato un ruolo cruciale nel divenire dell’umanità su questo pianeta, che la nostra Penisola sia davvero quell’ “antiqua mater” che Virgilio invitava a cercare.

Questa nostra povera Italia è oggi, come forse più non si potrebbe, sminuita e bistrattata, non solo all’estero ma, il che è infinitamente peggio, all’interno, da parte di una fetta considerevole de propri cittadini, che non sembrano minimamente provare quel senso di appartenenza, di orgoglio, di fierezza per la nazione cui si appartiene, che a qualsiasi altra latitudine sarebbe del tutto normale.

Se veramente l’Italia ha avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione della nostra specie e la cosa può essere provata, provate a immaginare che smacco per costoro.

A pensarci, ci godo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *