Una cosa che dovrebbe essere chiara a coloro che seguono con regolarità questa serie di articoli che ormai possiamo considerare una rubrica sulle pagine di “Ereticamente”, è che a mio parere la cosiddetta Out of Africa che costituisce la vulgata ufficiale, la “teoria” ufficialmente imposta sulle origini della nostra specie, la presunta “verità scientifica” al riguardo, non solo non è una teoria scientifica valida, ma è una vera e propria truffa.
Per meglio dire, essa è presente in due varianti diverse, la prima è dotata di una certa plausibilità scientifica, la seconda invece contrasta con una serie di fatti ben conosciuti, ma è quella a cui sono legate le implicazioni ideologiche che se ne sono volute trarre e per così dire, si nasconde dietro la prima per far passare queste ultime di contrabbando, approfittando del fatto che il grosso pubblico non distingue certo fra le due cose, è una classica operazione di escamotage o, se vogliamo, di gioco delle tre carte.
La differenza fra l’Out of Africa I e l’Out of Africa II sembrerebbe di poco conto, invece è sostanziale, ed è proprio questo che la somiglianza terminologica serve a nascondere. Entrambe sostengono che poiché gli ominidi (soprattutto il genere Australopithecus) considerati intermedi fra la scimmia antropomorfa e l’uomo si ritroverebbero soprattutto in Africa, appunto nel Continente Nero si sarebbe formato il genere homo prima di espandersi in tutto il pianeta. Ora, che questo assunto sia discutibile l’abbiamo visto più volte. Recentemente è stato ritrovato nei Balcani il fossile ominide noto come “El Greco”, ma già prima di allora, si potevano segnalare, ritrovati in Toscana, i resti di una “scimmia antropomorfa”, l’Oreopithecus Bambolensis, che presenta proprio quelle stesse caratteristiche che hanno permesso di indicare negli australopitechi i precursori dell’umanità: canini piccoli, arcata dentaria arrotondata, stazione eretta.
Ora, che io sappia, l’Italia non è Africa, anche se i democratici immigrazionisti stanno facendo di tutto per farla diventare tale.
Ma prescindiamo. La differenza fra le due teorie è che secondo la prima, l’uscita dall’Africa sarebbe avvenuta a livello di Homo erectus centinaia di migliaia di anni fa, mentre per la seconda questa uscita dal Continente Nero si sarebbe verificata qualche decina di migliaia di anni fa da parte di un Homo già sapiens.
Sembrerebbe una differenza di poco conto, e invece è essenziale, perché, mentre la prima non ci dice nulla sulle differenze razziali, dal momento che riguarda il predecessore della nostra specie, la seconda serve a negare l’esistenza delle razze umane, fa parte dell’armamentario ideologico del dogmatismo dell’ortodossia democratica a questo riguardo, e la mancata distinzione delle due serve precisamente a nascondere i “buchi” e le contraddizioni della seconda dietro la plausibilità della prima.
Come se non bastasse, c’è un ulteriore assunto sottinteso a questo discorso, raramente esplicitato, e tuttavia essenziale perché l’Out of Africa II raggiunga il suo scopo, non scientifico ma ideologico, che non ci sia distinzione fra “africano” in senso geografico e “nero” in senso antropologico, un trucco dentro un trucco, potremmo dire, per dare a intendere un’immagine completamente falsa delle nostre origini.
In realtà l’abbiamo visto, la pretesa che il nero subsahariano possa essere “il modello” archetipico della nostra specie, non può essere in alcun modo sostenuta. Il Sapiens “moderno” più antico che conosciamo, l’uomo di Cro Magnon è senz’altro più simile al tipo umano caucasico e non presenta caratteristiche negroidi di sorta, non solo, ma le ricerche genetiche hanno messo in luce il fatto che le popolazioni umane moderne recano nel loro DNA la traccia di ibridazioni con varie popolazioni di quelli che sono stati chiamati pre-sapiens o sapiens arcaici: l’uomo di Neanderthal per le popolazioni caucasiche, l’uomo di Denisova per le popolazioni asiatiche (mongoliche) e australoidi.
Bene, anche il nero subsahariano è tutt’altro che un sapiens “puro”, l’aveva scoperto la genetista Sarah Tishkoff, che in un’intervista riportata da “Le scienze” nel 2012 aveva rivelato:
“Abbiamo visto molti dati che testimoniano incroci [dei neri subsahariani] con un ominide che si è separato da un antenato comune circa 1,2 milioni di anni fa”.
Questa scoperta cruciale non ha destato molta attenzione, ma nel luglio 2017 due ricercatori dell’Università di Buffalo, Omer Gokcumen e Stefan Ruhl, hanno pubblicato una ricerca su una proteina della saliva, la MUC7, che nei neri subsahariani si presenta in una variante che non compare in nessun’altra popolazione umana vivente o estinta. Secondo i due ricercatori, quest’ultima sarebbe la traccia genetica lasciata dall’ominide con cui i Sapiens che hanno colonizzato l’Africa provenendo dall’Eurasia si sarebbero incrociati, dando luogo al nero subsahariano, che i due hanno chiamato “specie fantasma” perché al momento non ne abbiamo evidenze fossili.
Gockcumen e Ruhl vanno più in là della Tishkoff e fanno notare che il movimento di colonizzazione deve essere avvenuto dall’Eurasia verso l’Africa e non in senso contrario, perché altrimenti la variante africana della MUC7 si troverebbe, magari minoritaria anche presso altre popolazioni umane.
A questo punto, occorre fare un discorso molto franco. Quella con cui ci confrontiamo non è una ricerca spassionata e obiettiva della verità, ma un’attività fortemente condizionata da motivi propagandistici a supporto di un’ortodossia ideologica. Noi abbiamo visto, parlando di un problema molto più recente e temporalmente più vicino a noi, l’origine della civiltà, che le prove della sua origine europea sono sistematicamente ignorate: Si ignorano i grandi complessi megalitici europei, quelli delle Isole Britanniche, Stonehenge, Newgrange, Avebury, ma anche quelli dell’Europa continentale: Carnac (Francia), Gosek (Germania), i nuraghi sardi, i templi dell’isola di Malta, complessi che sono di un buon millennio più antichi delle piramidi egizie e delle ziggurat babilonesi. Si ignora deliberatamente che europea e non mediorientale è la scoperta dei metalli (l’ascia dell’uomo del Similaun), si ignora deliberatamente che europea e non mediorientale è l’invenzione della scrittura (le tavolette di Tartaria), che europeo e non mediorientale è l’addomesticamento dei bovini (la tolleranza al lattosio in età adulta), e via dicendo. Tutto ciò, l’ignoranza voluta, risponde a un disegno politico: non si sa mai che gli Europei ritrovino l’orgoglio delle loro origini e decidano di ribellarsi al disegno di morte per sostituzione etnica deciso per loro dal Nuovo Ordine Mondiale.
Riguardo all’Out of Africa, possiamo aspettarci che avvenga la stessa cosa: anche se smentita dai fatti e dalle ricerche scientifiche serie non meno della tesi dell’origine mediorientale della civiltà, continuerà a essere spacciata come “la verità” scientifica, perché il dogma “antirazzista” in essa implicito è troppo utile per chi tende a imporre l’universale meticciato.
Nella nostra epoca informatica, la censura non riesce a essere assoluta, ma finché le informazioni pericolose che corrono per il web sono sparse e sommerse da un coro di voci contrarie, il pericolo per il sistema non è grande.
Per un uomo solo, pescare nello sterminato mare del web è estremamente difficile, per questo, un lavoro come quello compiuto dal gruppo facebook “MANvantara” dell’amico Michele Ruzzai che mette insieme la sinergia di vari collaboratori, si rivela estremamente prezioso.
Abbiamo visto una delle scorse volte (la cinquantaseiesima parte della nostra rubrica) che un collaboratore di questo gruppo ha “ripescato” un articolo apparso su “Le scienze” nel 2007 e passato pressoché ignorato, che già allora metteva seriamente in dubbio l’Out of Africa sulla base di una ricerca condotta da una paleobiologa spagnola, Maria Matinòn-Torres, del Centro Nazionale di Ricerca sull’Evoluzione Umana di Burgos. Costei aveva esaminato le corone dentarie umane di 5000 denti moderni e preistorici, considerando che la conformazione delle corone dentarie non risente dell’ambiente, ma è un riflesso diretto del patrimonio genetico, ed era giunta a ricostruire un albero genealogico della nostra specie che ne poneva l’origine non in Africa ma in Eurasia.
Recentemente (fine settembre 2017), sempre su “Manvantara” è apparso un nuovo tassello di questa ricerca che evidenzia l’origine eurasiatica della nostra specie e pone l’Out of Africa sempre più nel dominio delle fiabe, o ve la porrebbe se non avessimo a che fare con un potere che detta l’ortodossia “scientifica” e mediatica sulla base di motivi che di scientifico non hanno nulla.
Si tratta in questo caso di un’ipotesi formulata nel 2016 da Úlfur Árnason, neuroscienziato presso l’Università di Lund in Svezia, e questo ricercatore fa un’osservazione sconcertante nella sua semplicità e ovvietà, un bellissimo uovo di Colombo di quelli che spingono a chiedersi come nessuno ci sia mai arrivato prima: delle tre sottospecie umane che hanno preceduto l’umanità moderna: Cro Magnon, Neanderthal e Denisova, in Africa non si trova alcuna traccia né di neanderthaliani né di denisoviani, né allo stato fossile né nel DNA delle popolazioni “nere”. La tripartizione-Cro Magnon-Neanderthal-Denisova deve quindi essere avvenuta in Eurasia, e con questa tripartizione l’origine della nostra specie che Árnason pone attorno ai 500.000 anni or sono.
Ottimo, verrebbe da dire, goal e palla al centro.
L’illustrazione che correda il presente articolo, è appunto tratta dallo scritto di Árnason e illustra le prime migrazioni umane secondo la sua ipotesi che definisce esplicitamente Out of Eurasia.
Il nostro discorso, ovviamente, non finisce qui, perché “MANvantara” che tratta di uno spettro molto ampio di tematiche (vi si possono, ad esempio trovare articoli di grande interesse sulla spiritualità indoeuropea e sulle organizzazioni politiche e culturali tradizionali che esulano dalla presente trattazione, ma in ogni caso rendono la frequentazione del gruppo senz’altro consigliabile), sembra aver dedicato negli ultimi tempi molto spazio alla tematica delle origini. Io vorrei ricordare che questa, nel senso in cui ho usato quest’espressione nella sessantina di articoli che ho stilato finora, non riguarda solo il remoto problema delle origini della nostra specie, ma anche questioni molto più vicine a noi, come le origini della civiltà e dei popoli indoeuropei.
In questo senso, può essere utile vedere ad esempio un articolo di Ricardo Duchesne ripreso da “Eurocanadian” e pubblicato nel gruppo in data 28 settembre (è in inglese, e vi do il titolo in traduzione): Gli Europei, i più grandi di tutti. Il succo dell’articolo è questo: Nel 2016 negli Stati Uniti il deputato repubblicano Steve King è stato oggetto di attacchi isterici e accusato di razzismo per aver sostenuto che nessun altro gruppo umano ha dato altrettanti contributi alla civiltà quanto gli Europei di ceppo caucasico. Un breve excursus storico consente di verificare che questa affermazione non è altro che la pura e semplice verità: se questo è razzismo, allora è la realtà a essere razzista.
Un altro articolo, pubblicato il 30 settembre, ripreso da “Linkiesta”, parla di Eugene Dubois, L’uomo che scoprì “l’anello mancante”, che sarebbe stato il pitecantropo (o presunta tale), che questo ricercatore “fuori dalle righe” e sbagliando tutto, scoprì a Giava (in realtà si trattava di un fossile umano, il primo homo erectus di cui siano stati ritrovati i resti, ma questo si capì solo molto più tardi. L’articolo parla diffusamente anche di Ernst Haeckel, lo scienziato e filosofo positivista di cui si ricorda l’affermazione che “l’ontogenesi (lo sviluppo dell’individuo) ricapitola la filogenesi (la storia della specie)”. Di passata, si può ricordare che Haeckel era un assertore dell’esistenza delle razze e della superiorità dell’uomo bianco, arrivando a dire che se invece che esseri umani, il bianco e il nero fossero due chiocciole, nessun naturalista, viste le differenze fra l’uno e l’altro, esiterebbe a classificarli in due specie differenti. Naturalmente, Haeckel scriveva queste cose nel XIX secolo. Oggi siamo in democrazia, e di conseguenza c’è molta meno libertà di fare simili affermazioni.
Sempre in data 30 settembre, il nostro Michele Ruzzai ha postato nel gruppo un articolo ripreso da “Le scienze” del giugno 2009, La comparsa dei comportamenti “moderni”.
E’ un fatto singolare eppure innegabile, molti comportamenti che consideriamo tipicamente “moderni”, dalla costruzione di edifici e ripari artificiali dalle inclemenze atmosferiche, all’uso di ornamenti, a un’arte spesso raffinata e dettata da motivazioni non funzionali ma puramente estetiche, compaiono già in epoca paleolitica, attorno ai 45.000 anni or sono.
Sempre il 30 settembre (evidentemente una giornata clou per il dibattito sulle origini), su “MANvantara” l’infaticabile Raffaele Giordano (ha arricchito di contributi “MANvantara”, “Frammenti di Atlantide-Iperborea” e anche la mia “Pagina celtica”, è una persona che merita ampie lodi per il suo attivismo), ha postato un articolo ripreso da “Il timone”, L’australopiteco Lucy era una scimmia e non c’entra nulla con l’uomo. A quanto pare alcuni anatomisti fra cui lo studioso di fama mondiale lord Solly Zuckerman, hanno riesaminato le ossa di questa creatura, e sono giunti alla conclusione che non si trattava altro che di una scimmia antropomorfa. Nel caso che avessero ragione, tutta la storia della nostra specie sarebbe da riscrivere.
Io su ciò preferisco per ora sospendere il giudizio, ma questo ci fa capire quanto la nostra conoscenza del passato sia per ora congetturale. Troppo, quanto meno per giocarci il futuro spalancando incoscientemente le porte ai “fratelli africani” che, dando retta ai sostenitori dell’Out of Africa non sarebbero separati da noi nemmeno da una differenza razziale, che pure ci è sotto gli occhi.
2 Comments