9 Ottobre 2024
Ahnenerbe

Una Ahnenerbe casalinga, settantottesima parte – Fabio Calabrese

Un’estate dedicata interamente all’esplorazione delle tematiche delle origini non era forse l’idea peggiore che potessi avere, sia perché in questo periodo che climaticamente ci ha dato dei momenti veramente torridi, un po’ di frescura da età glaciale ci sta appena bene, sia soprattutto perché la politica vera e propria oggi è in una fase interlocutoria di stallo, e sarà necessario far passare del tempo prima di esprimere un giudizio netto sulla situazione, infatti per quanto riguarda il governo attualmente in carica, se l’iniziativa del ministro Salvini tesa a fermare l’invasione allogena, non può trovare che la nostra piena, totale, incondizionata approvazione e solidarietà, soprattutto considerando i guasti prodotti dai governi pidioti che hanno preceduto quello attuale, non si possono mancare di notare le crepe evidenti in questa maggioranza formata dall’innaturale alleanza fra leghisti e pentastellati, anche se ci possiamo solo augurare che essa, a dispetto di tutto, tenga il più possibile, e non si permetta al PD di rimettere le mani sulla cosa pubblica.
In attesa di vedere come si evolveranno gli eventi, torniamo a concentrarci sulla tematica delle origini.
Vorrei cominciare con il dire che i tre articoli Ma veniamo veramente dall’Africa?, che costituiscono il testo di una conferenza tenuta da me qui a Trieste a gennaio, hanno sollevato più interesse e commenti di quanto mi aspettassi, trattandosi di argomenti che vi avevo già esposto su “Ereticamente”, ma forse un’esposizione sistematica punto per punto, ha maggiore impatto. Soprattutto è chiaro che l’interesse per certe tematiche è più che mai vivo, e non c’è motivo di stupirsene. Sapere da dove veniamo è essenziale per capire chi siamo e dove andiamo.
Tutto ciò è chiaramente testimoniato anche dal moltiplicarsi dei gruppi FB che di esse si occupano, che già a elencarli ne sono un esempio notevole: “MANvantara”, “Frammenti di Atlantide-Iperborea”, “L’immagine perduta”, “Tradizione primordiale e forme tradizionali”, “Cuib della tradizione”, “Axis Mundi”, “La ricerca delle origini della nostra civiltà”, e certamente anche altro che al momento mi sfugge. A essi si è recentemente aggiunto il mio “L’eredità degli antenati” che ho creato allo scopo di raccogliere gli scritti che compaiono in questa rubrica, ma che – ho visto – sta ricevendo contributi a pioggia.
Proprio il discorso di tenere il passo con l’attività di questi gruppi FB che in pratica contengono una miriade di informazioni sulle scoperte che avvengono a livello scientifico sulla tematica delle origini, e da questo punto di vista si dimostrano un collettore utilissimo, mi sta mettendo in difficoltà. Per mantenere aggiornato il nostro discorso, ho inserito la precedente Ahnenerbe, la settantasettesima, tra la prima e la seconda parte del testo della conferenza “Africana”, e nonostante questo, col nostro aggiornamento non mi è stato possibile andare oltre la fine di giugno.
Riprendiamo dunque il nostro discorso da dove l’abbiamo lasciato, e sempre tenendo presente che è necessario fare una scelta, cioè concentrarsi sulle tematiche delle origini, tralasciando tutto il resto, i vari aspetti di cultura tradizionale che questi gruppi presentano, quindi sia ben chiaro che la lettura di questi articoli non vi esenta da un esame diretto.
Ai primi di luglio MANvantara ha ripubblicato un articolo apparso su “Preistoria on line” due anni fa (giugno 2016), L’origine siberiana dei popoli indoeuropei di Giorgio Giordano. Gli indoeuropei deriverebbero da popolazioni di allevatori-conquistatori di origine siberiana che circa 20.000 anni fa, a causa dell’irrigidirsi delle condizioni climatiche, si sarebbero spostati nelle terre immediatamente a nord del Mar Nero e del Caspio. Questa ipotesi combina la teoria di Marija Gimbutas con altre più recenti che individuano l’origine delle popolazioni indoeuropee nella cultura siberiana denominata Jamna.
E’ di grande interesse anche un esame della cartina che accompagna l’articolo, sebbene non si tratti di nulla di originale ma provenga da Wikipedia, in essa è rappresentata la diffusione delle lingue indoeuropee in epoca protostorica. Esse sono divise nei due rami occidentale (“centum”) raffigurato in azzurro, comprendente le lingue latino-osco-umbre, celtiche, germaniche ed elleniche, e orientale (“satem”) comprendente quelle slave e indo-iraniche. Da essa risulterebbe chiara la derivazione del ramo occidentale da quello orientale, che si trova ad avere in posizione centrale rispetto alla propria area di diffusione, proprio quella che si ritiene essere la zona di origine delle lingue indoeuroepee, a settentrione del Mar Nero e del Caspio. Qui è molto ben evidenziato anche l’enigma rappresentato dalla lingua e dalla popolazione dei Tocari, chiaramente “centum” pur trovandosi in Asia centrale, a est dell’area di diffusione delle lingue “satem”. Oggi, come sappiamo, i ricercatori sono estremamente riluttanti a stabilire correlazioni tra le lingue e le caratteristiche fisiche delle popolazioni (come se gli imponenti fenomeni di meticciato che rendono impossibile stabilire una simile correlazione, cui assistiamo oggi, fossero qualcosa di normale e sempre avvenuto, ed è precisamente questo l’assunto fraudolento che vogliono darci a intendere). Nonostante ciò, è evidente la connessione fra la diffusione della lingua tocaria e le mummie “celtiche” di Cherchen. Un’antica migrazione dal centro dell’Europa al cuore dell’Asia lungo quella che poi è diventata la Via della Seta? Sembra l’ipotesi più probabile.
Devo poi ringraziare Michele Ruzzai per aver riportato sempre su MANvantara l’annuncio relativo alla mia conferenza di domenica 1 luglio al festival celtico triestino Triskell, che ha avuto per tema Il fenomeno megalitico nell’Europa continentale. Non so quando, perché è una lotta per trovare la collocazione delle varie tematiche e degli argomenti sulle nostre pagine, e a volte tutito quello che ci sarebbe da dire sembra infinito, ma vi prometto che collocherò su “Ereticamente” anche il testo di questa conferenza.
Il 2 luglio Alessio Longhetti ha linkato un articolo in inglese apparso su “The independent”, in realtà non molto recente, risalente al 2006, Celts descendend from spanish fishermen, Study finds di Guy Adams, che presenta una tesi di cui abbiamo già parlato: secondo alcune recenti ricerche genetiche, almeno una parte delle popolazioni celtiche britanniche deriverebbe da pescatori iberici immigrati nell’Isola, probabilmente connessi a quella che conosciamo come cultura del bicchiere campaniforme.
Michele Ruzzai ha poi postato un link a un articolo non recentissimo ma molto importante apparso su “Le Scienze” nel settembre 2016, dove si commenta la “mappa genetica globale della biodiversità”. Da essa risulta evidente che questa è – per tutte le specie animali e vegetali – maggiore nelle regioni tropicali rispetto a quelle dal clima temperato o freddo, con una differenza che è stata mediamente valutata attorno al 27%. Questo è connesso con i meccanismi immunitari e la resistenza alle infezioni, poiché i climi caldi favoriscono la proliferazione dei microorganismi patogeni.
Ora, fa notare il nostro Michele Ruzzai, è strano, veramente strano che questo fenomeno biologico ben conosciuto non stato considerato dagli antropologi come l’ovvia spiegazione del fatto che le popolazioni africane presentano una maggiore variabilità genetica rispetto a quelle eurasiatiche, ma si sia voluta vedere in quest’ultimo fatto una prova della nostra supposta origine africana. Le leggi biologiche che valgono per la totalità del mondo vivente, dovrebbero valere anche per la nostra specie oppure no? In ogni caso, si vede bene che la parcellizzazione del “sapere” fra gruppi di specialisti, ottiene risultati ancora migliori di una censura aperta e dichiarata.
Il 3 luglio, una nuova collaboratrice di MANvantara, Elisabetta Pugliaro, ha postato le immagini di un nuovo importante ritrovamento: un grande pettorale d’oro che è stato rinvenuto in un tumulo nella località chiamata Bryn yr Ellyllon, nel Galles settentrionale e che risalirebbe al 2.000 avanti Cristo. Si tratta di un lavoro di oreficeria raffinata, che viene a confermare la tesi, che io stesso ho più volte sostenuto su queste pagine, che in epoca preistorica e protostorica, le Isole Britanniche e in genere l’intero contnente europeo, erano di gran lunga più civili di quanto ordinariamente si presume.
Michele Ruzzai ha poi postato la copertina e un paio di brevi stralci del libro Antichi popoli europei, dall’unità alla diversificazione, a cura di Onorato Bucci. A pagina 46 si legge: “I progenitori degli Arii prima di fuggire dalla loro sede originaria “consideravano come un giorno quello che è invece un anno” (Avesta)”. L’Avesta zoroastriana “stranamente” ci dice la stessa cosa che secondo Tilak ci raccontano i Veda. Questa citazione, infatti, può riferirsi soltanto al fatto che questi nostri remoti antenati vivessero un tempo nelle regioni oltre il Circolo Polare, o almeno in prossimità dello stesso in un’epoca in cui queste regioni dovevano avere un clima assai diverso da quello attuale, poiché solo lì si alternano sei mesi ininterrotti di luce e di oscurità.
Ora fermiamoci un momento a riflettere: Come è facile da capire, questo testo non è recentissimo, è del 1993. Non è strano che prima dell’imposizione dogmatica dell’Out of Africa come ortodossia scientifica, praticamente tutte le ricerche e gli indizi sulle origini dell’umanità o perlomeno delle genti caucasiche e indoeuropee, puntassero nella direzione opposta, verso l’Alto Nord?
Un post di Alessio Longhetti del 6 luglio mette a confronto le fisionomie di due soldati persiani da un gruppo scultoreo con la foto di un uomo di razza nordica di Hallstatt (Austria). La somiglianza è notevole, e anche questo è un discorso che abbiamo visto altre volte: all’epoca in cui il Medio Oriente ha ospitato importanti culture come quelle egizia, babilonese, assira, persiana, era riscontrabile in quelle popolazioni o almeno nelle élite, una componente europide o addirittura nordica, molto più forte di quel che è possibile verificare oggi.
Il 6 luglio Mike Mayers ha linkato un post di bigthink.com che riferisce di un interessante problema genetico: nel 2015 si è scoperto che a partire da circa 7.000 anni fa, c’è stato un crollo vertiginoso della variabilità genetica del cromosoma Y, quello che determina il sesso maschile e ogni uomo eredita dal proprio padre. La spiegazione sembra essere altrettanto semplice: a partire da allora, c’è stata una brusca diminuzione degli antenati maschi da cui discendiamo, perché gli uomini delle varie comunità hanno cominciato ad affrontarsi e morire sui campi di battaglia. La guerra, si può dire, nasce col neolitico perché prima di allora le comunità di cacciatori-raccoglitori nomadi erano troppo rade, e nessuna di esse aveva quasi nulla di cui altre potessero essere gelose. Una lezione sul nostro passato e su noi stessi, da tenere ben presente e sventolare in faccia a cristiani, sinistri, illuministi, seguaci di Rousseau, e quanti altri sono portati a credere all’innata bontà umana.
Il 10 luglio Luigi Leonini, un nostro vecchio amico di cui si vorrebbe tornare a vedere più spesso contributi, ha ri-postato un vecchio articolo di repubblica.it del marzo 2005. (“La Repubblica”, pensate che pubblicazione di estrema, estremissima destra!). La gente comune, l’uomo della strada senza nessuna prevenzione ideologica, vede che le razze umane esistono, che un bianco è differente da un nero o da un asiatico, tuttavia gli scienziati negano che le razze umane e le differenze razziali esistano. Ora però l’esistenza di queste ultime trova conferma nella genetica. Una considerazione viene spontanea: in teoria la scienza non dovrebbe basarsi su altro che sui fatti accertati, e in questo campo la genetica è i fatti accertati, e allora perché in contrasto con essa, la maggioranza dei ricercatori, dei sedicenti scienziati si ostina in questa negazione? Ma è chiaro il perché: l’inesistenza delle razze umane è un dogma imposto, chi lo contraddice sa benissimo di rimetterci la carriera, l’accesso a pubblicazioni prestigiose, il posto di lavoro, perfino, come è accaduto ad Arthur Jensen, di rischiare di rimetterci la pelle.
Michele Ruzzai ha riproposto poi una sua interessante sintesi-recensione, già pubblicata nel novembre 2016 al libro Le radici prime dell’Europa a cura di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti. Si tratta di un testo che raccoglie contributi di diversi studiosi, alcuni dei quali molto interessanti, in particolare quello di Mario Alinei che espone la sua teoria della continuità. In particolare, a livello linguistico collega l’etrusco all’indo-ittita: esso non sarebbe una lingua pre-indoeuropea, ma peri-indoeuropea. Se questa ipotesi è valida, la presenza nel nostro continente delle lingue e quindi anche delle popolazioni di quella che possiamo chiamare in senso lato la famiglia indoeuropea, è molto più antica di quanto generalmente non si pensi.
Un altro ripescaggio: un articolo già comparso l’8 ottobre 2016, commenta un “pezzo” a sua volta pubblicato sul sito acam.it (ACAM sta per Archeologia e Misteri), che parla della presenza in nord Africa e nell’Egitto predinastico di misteriosi gromagnoidi dolicocefali, alti e biondi. In realtà anche questa non è una novità assoluta, noi sapevamo già della presenza di individui chiaramente europidi, di mummie dai capelli biondi o rossicci nell’Egitto dinastico faraonico, che ad esempio Tutankhamon e Ramesse II avevano un DNA prettamente europide.
Il 12 luglio è una data importante per MANvantara, il gruppo compie due anni. Congratulazioni al suo amministratore, l’amico Michele Ruzzai. In questi due anni il gruppo è cresciuto, raggiungendo quasi 1500 membri, il che ne fa una presenza di tutto rispetto. Una sola lamentela: perché Michele non scrive di più per “Ereticamente”?
Il 14 luglio ho collocato io un post, tanto su “MANvantara” quanto su “L’eredità degli antenati”, si tratta del link a un articolo di identità.com: Popolazioni africane non del tutto umane. Anche questa è una tematica che abbiamo già visto.. Ricordiamo che secondo i ricercatori dell’Università di Buffalo, non solo l’Out of Africa è falsa, ma i sapiens migrati in Africa 40.000 anni fa, si sarebbero incrociati con un ominide o un uomo più primitivo, e da questo incrocio avrebbero avuto origine gli africani. A questa ipotesi si può aggiungere quella dell’archeologa italiana Margherita Mussi. L’ominide con cui i sapiens migrati in Africa si sarebbero incrociati, è stata chiamata dai ricercatori di Buffalo “specie fantasma”, ma la Mussi l’avrebbe identificata, non si tratterebbe altro che del vecchio homo erectus, rimasto immutato in Africa, mentre in Eurasia si evolveva in heidelbergensis e poi in sapiens.
Mediagold.it del 13 luglio ci da una notizia sorprendente, il ritrovamento in una grotta vicino a Erli in provincia di Savona, della sepoltura di un neonato risalente a 11.000 anni fa. L’esame dei suoi resti potrebbe fornire informazioni preziose sull’epoca in cui si concluse la sua breve vita.
Abbiamo poi la ri-proposizione di un vecchio post del 2016, una mini-recensione di Lezioni di indoeuropeistica di Franco Cavazza. L’autore si ispira alle tesi continuiste di Mario Alinei. La presenza degli Indoeuropei nel nostro continente sarebbe da retrodatare fino a coincidere con la prima colonizzazione umana di esso.
Il 17 luglio Ansa.it riporta una notizia sorprendente: il pane sarebbe più antico dell’agricoltura. Stando a quanto avrebbe scoperto un team di archeologi studiando i siti natufiani nella Giordania settentrionale, già 14.000 anni fa si produceva una sorta di pane macinando e impastando i semi di vari cereali selvatici.
Sarà il periodo estivo, ma subito dopo abbiamo un altro ripescaggio da parte di MANvantara: un post dell’ottobre 2016 proveniente da “Preistoria on line”, L’occupazione del Vecchio Continente. Come fa notare Michele Ruzzai nel suo commento, sappiamo che l’homo sapiens era presente nel settentrione eurasiatico già decine di migliaia di anni fa (ritrovamenti di Sopochnaia Karga, sulle sponde del mar di Kara alla foce dello Yenisei, risalenti a 45.000 anni fa), e questo è difficilmente compatibile con un’origine africana di qualche migliaio di anni prima.
Il 20 luglio abbiamo una notizia che proviene da Repubblica.it (sempre queste pubblicazioni di destra super-estrema!): grazie alla siccità di questo periodo e a un drone, sarebbero state individuate in Irlanda le tracce di un finora sconosciuto circolo di età neolitica risalente a 4.500 anni fa, che è stato subito chiamato “una nuova Stonehenge”.


Per adesso ci fermiamo qui. Possiamo dire che il clima torrido di questa estate, palesemente non ha rallentato l’attività dei gruppi FB. L’interesse attorno alle tematiche delle nostre origini è più vivo che mai, e questo nei tempi bui che incombono, è un sintomo estremamente positivo, perché soltanto chi non dimentica il proprio passato può sperare di avere un futuro.

NOTA: Nell’illustrazione: a sinistra la ricostruzione del volto di una mummia di Cherchen (Asia centrale, oggi politicamente parte del Xinjiang cinese), appartenente con ogni probabilità all’antico popolo dei Tocari. Si riconoscono chiaramente i caratteri europidi e “celtici” di questa antica popolazione. Al centro, il pettorale di Bryn yr Ellyllon, a sinistra la copertina del libro Le radici prime dell’Europa a cura di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti.

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