Come certamente avrete notato, è passato diverso tempo dal precedente articolo dedicato a questa tematica delle origini e dell’eredità degli antenati. Sinceramente, avevo pensato, nonostante l’interesse da parte vostra, di lasciar cadere il discorso, un po’ perché mi pareva di aver esaurito gli argomenti a tal proposito, un po’ perché l’eccellente lavoro che sta compiendo Michele Ruzzai con il gruppo facebook da lui creato, “MANvantara”, mi ha un po’ spiazzato da questo punto di vista, dandomi la preoccupazione di non creare doppioni. In realtà, le nostre impostazioni sono abbastanza diverse per evitare il rischio che questo succeda, e vi consiglio di tenere sempre d’occhio il lavoro che sta facendo il nostro ottimo amico (al quale non ho mancato e non mancherò neppure io di apportare qualche contributo).
La ragione principale per cui mi sono deciso a riprendere in mano il discorso sulle nostre origini è che, se è vero che mi sembra di aver tracciato negli scritti precedenti con il ricorso a un ampio ventaglio di fonti, un quadro preciso e ben consolidato, tuttavia esso non cessa di arricchirsi di dettagli e particolari frutto di sempre nuove scoperte anche alla luce del fatto che in questo campo si intersecano gli apporti di numerose discipline.
Sarà tuttavia opportuno, anche in ragione del tempo intercorso, premettere un breve riepilogo prima di andare ad esaminare le ultime novità.
Per prima cosa, sarà utile sottolineare una volta di più che l’approccio a queste tematiche non è di tipo accademico: l’idea che ci facciamo circa le nostre origini è una parte importante dell’idea che ci facciamo di noi stessi, e dalla nostra auto-rappresentazione dipendono molte cose a cominciare dall’agire politico, e non si può non considerare il contrasto tra questa Weltanschauung che sentiamo istintivamente nostra e la “visione” democratico-sinistrorsa tendente a negare l’importanza del dato etnico-biologico e alla riduzione di ciò che l’essere umano è ai soli fattori ambientali-sociali-educativi con tutti i corollari utopistici che ne discendono.
La questione delle origini si suddivide in più livelli, a seconda di quanto risaliamo indietro nel tempo, e praticamente a ogni livello ci siamo imbattuti in una versione delle cose che l’ideologia democratica oggi dominante cerca di imporre come “l’ortodossia scientifica” e alla prova dei fatti non si dimostra altro che una mistificazione.
A livello più generale, la “verità ufficiale” assolutamente mistificatoria da respingere nel mondo delle favole, è rappresentata dal cosiddetto “Out of Africa”, la “teoria” inventata per sostenere l’origine africana di tutti noi, spiegandoci che gli europei bianchi non sarebbero altro che neri sbiancati, farneticazione inventata allo scopo non solo di negare l’esistenza delle razze, ma di indurci ad accettare l’immigrazione africana che oggi ci piomba addosso ed è una vera e propria invasione che si vorrebbe accogliessimo con animo quanto meno rassegnato.
Abbiamo visto invece che le prove sia paleoantropologiche sia genetiche vanno piuttosto a favore dell’ipotesi multiregionale, non solo, ma che il nord iperboreo potrebbe avere un ruolo molto maggiore di quanto finora ipotizzato. L’antenato più diretto dell’homo sapiens moderno sembrerebbe essere l’uomo di Heidelberg. Ora, come tutti sanno, Heidelberg, appunto, si trova in Africa.
Una questione più recente e più vicina a noi, anche se sempre oltre l’orizzonte della storia documentata, è rappresentata dall’origine dei popoli indoeuropei. Si vuole che questi nostri antenati non fossero, così come si è sempre ritenuto, cavalieri e conquistatori provenienti dalle steppe eurasiatiche, ma pacifici agricoltori di origine mediorientale. Questa tesi è smentita prima di tutto dalla genetica che ha rilevato negli Europei una presenza di geni di origine mediorientale non superiore al 14%, poi è sospetta l’insistenza sui “pacifici agricoltori” (manca solo che ci dicano che i nostri antenati erano hippy e figli dei fiori), si ha veramente l’impressione che vogliano metterci in mano a tutti i costi la zappa del contadino per sottrarci l’ascia da combattimento (la cultura dell’ascia da combattimento è una delle culture europee precorritrici la diffusione degli indoeuropei, e verosimilmente proto-indoeuropea).
Questa tesi si presenta come corollario di quella che sostiene l’origine mediorientale dell’agricoltura, e anche riguardo a quest’ultima si possano avanzare fortissimi dubbi, dato che in Europa e non in Medio Oriente sono stati introdotti l’allevamento bovino (lo dimostra il fatto che la capacità di assimilare il latte in età adulta è maggiore tra i popoli centro-nord europei e decresce man mano che ci si allontana da quelle regioni) e la metallurgia (l’attrezzo metallico conosciuto più antico in assoluto è l’ascia di rame dell’uomo del Similaun).
Terza tesi, terza ortodossia “scientifica” ufficiale da respingere nel limbo delle favole, quella che attribuisce l’origine della civiltà europea a influssi orientali e mediorientali, che si basa su di una rappresentazione della storia antica del tutto falsa, anche se è quella che perlopiù si trova nei testi scolastici, fondata sulla deliberata ignoranza di nozioni fondamentali, come il fatto che il complesso megalitico di Stonehenge o la splendida tomba neolitica irlandese di Newgrange sono di un millennio più antichi delle piramidi egizie o delle ziggurat mesopotamiche. A questo aspetto della questione delle origini ho dedicato anche la serie di articoli riuniti sotto il titolo Ex Oriente lux, ma sarà poi vero?.
Una quarta questione che in quanto italiani ci interessa molto da vicino: sembra proprio che se qualche asino in cattedra inventa una fesseria di qualunque tipo, ha tante maggiori probabilità di diventare “l’ortodossia scientifica” quanto più è “politicamente corretta” e lontana dalla realtà, fra queste la “teoria” cara non solo ai sinistrorsi, ma ai separatisti di ogni specie e natura, che la repubblica democratica e antifascista ha fatto pullulare in settant’anni, ingenerando la nausea di essere italiani, è che gli Italiani non avrebbero nessuna coerenza dal punto di vista genetico. Anche qui lo scopo è da un lato di dare esca ai separatismi, dall’altro coltivare l’illusione che l’immigrazione e la sostituzione etnica non ci stiano procurando un danno irrimediabile.
Anche in questo caso, non si tratta che dell’ennesima falsità smentita dagli studi seri di genetica delle popolazioni, che dimostrano che il popolo italiano esiste ed ha una sua precisa coerenza genetica. Certamente esistono delle differenze fra nord e sud, nel nord si riscontra un’impronta genetica celtica, e nel sud una greca, ma esse non sono tali da impedire di poter parlare del popolo italiano come di una realtà sostanzialmente unitaria.
Secondo i dati dell’UNESCO, l’Italia ospita oltre la metà del patrimonio artistico mondiale, e questo senza contare le opere realizzate dagli Italiani all’estero (l’intero impianto architettonico di Vienna e San Pietroburgo, per dirne una) o quelle che ci sono state trafugate nel corso dei secoli. Oggi questo popolo dall’immensa creatività è uno dei più minacciati dalla sostituzione etnica, la politica immigrazionista voluta dalla sinistra e dal nostro nemico di sempre, la Chiesa cattolica, è come versare acqua di fogna in un vino pregiato.
Gli aggiornamenti che ora possiamo registrare riguardano questo spettro di tematiche ai vari livelli. Come ho già scritto altre volte, spesso a sostegno dell’Out of Africa si è fatto riferimento all’origine africana degli ominidi, come Lucy e gli altri i cui resti sono stati presentati con un enorme battage mediatico-propagandistico al grosso pubblico, mentre in realtà si tratta di due questioni del tutto estranee: basta pensare al fatto che queste creature si sono estinte 3-4 milioni di anni prima della comparsa di un essere riconoscibile come homo sapiens, ma si sa, si gioca sul fatto che il grosso pubblico percepisce male i numeri, le quantità e le distanze temporali, magari se aiutato a ingannarsi da opportune deformazioni fantasiose che per un quarto dicono il falso e per gli altri tre quarti lo suggeriscono; si veda il modo in cui è stato costruito il personaggio mediatico di Lucy: quanti tra il grosso pubblico dei non addetti ai lavori si rendono conto che questa “prima donna”, questa “Eva in versione scientifica” era in realtà una creatura scimmiesca con un cervello di dimensioni inferiori a quello di uno scimpanzé?
La questione degli ominidi, dunque, dicevo ha poco a che fare con quella dell’origine della nostra specie homo sapiens, molto più recente e collocabile in un arco temporale tra cinquanta e centomila anni fa, ma se possiamo trovare le tracce di questi lontani precursori della nostra specie anche fuori dall’Africa, ecco allora che la tesi dell’origine africana ne sarà ulteriormente indebolita. Ebbene, questo è proprio quel che succede. Resti di creature ominidi sono stati trovati ad esempio in India, Ramapithecus e Sivapithecus, che sono stati battezzati con i nomi di eroi-divinità del pantheon indiano, Rama e Siva, ma i resti di un ominide, che è stato chiamato Oreopithecus sono emersi anche da una miniera di carbone di Monte Bamboli in Toscana, per non parlare del fatto che in Sicilia nel 1983 sarebbero stati ritrovati resti di Australopithecus (lo stesso genere di Lucy) di cui si fece all’epoca un gran parlare e poi sono come svaniti nel nulla.
Ultimamente, le edizioni Hoepli hanno pubblicato in lingua italiana un testo, Il vero pianeta delle scimmie, di David R. Begun docente di antropologia presso l’università di Toronto, che rimette in causa precisamente la questione dell’origine africana degli ominidi. Prima di raggiungere l’Africa, questi lontani precursori della nostra specie si sarebbero sviluppati – indovinate un po’ – in Europa e in Eurasia. Se la loro presenza in Africa è stata vista come qualcosa che rafforza la presunta origine africana della nostra specie, rovesciando quest’ottica avremmo ora tutti i motivi per pensare invece a un’origine europea o eurasiatica, e magari perché non nel nord iperboreo durante un remoto optimum climatico come sostengono innumerevoli tradizioni di ogni parte del globo?
Spostiamoci su di un orizzonte temporale sempre preistorico ma molto più vicino a noi. “Le Scienze” on line dell11 ottobre riporta la notizia di una ricerca condotta dal CNR nell’ambito del progetto ARCA (Arctic Presents Climatic Change and Past Extreme Events) dalla quale risulta che 14.000 anni fa a seguito della deglaciazione si ebbe un brusco incremento del livello dei mari che arrivò fino a 20 metri.
Perché il risultato di questa ricerca è importante per noi? L’abbiamo visto in uno dei precedenti articoli: lo studio del DNA delle popolazioni europee mostra che 14.000 anni fa il DNA degli Europei fu modificato dall’arrivo di una nuova popolazione di origine misteriosa (anche se i soliti “strabici mediorientali” ipotizzano ovviamente il Medio Oriente, e non potrebbero essere più prevedibili e monotoni). Io avevo prospettato l’ipotesi che appunto, essendo questa l’epoca della fine del periodo glaciale, che portò a un innalzamento del livello dei mari, questo DNA “sconosciuto” potesse provenire da genti che fin allora erano insediate in terre andate sommerse; nel Mare del Nord, ad esempio, c’è una vasta area di bassi fondali che un tempo erano terre emerse, nota come Dogger Bank, e certamente non è inutile rilevare che temporalmente non siamo troppo lontani dall’epoca in cui Platone colloca la storia di Atlantide. La nostra storia più remota è tutta da riscrivere e, guarda caso, i miti e idee che i nostri antenati hanno nutrito su loro stessi prima che arrivasse “la scienza moderna” oggi sembrano assai più vicini alla realtà di quel che “la scienza moderna” ci ha fornito e a forza di plagio mediatico e censure pretende che prendiamo ancora sul serio.
La maggior parte del pool genetico delle popolazioni europee ha comunque un’origine eurasiatica, risalendo al tipo antropologico paleolitico noto come eurasiatico settentrionale. Guarda caso, proprio in data 10 ottobre è comparso su una rivista scientifica prestigiosa come “Nature” un articolo firmato da una trentina di specialisti (non tradotto in italiano) che mette in relazione l’origine delle popolazioni e delle lingue indoeuropee con una massiccia migrazione dalle steppe eurasiatiche, che è se non altro, sulla base di un confronto fra i dati forniti dalla genetica con quelli della linguistica, una chiara smentita della tesi dell’origine mediorientale di queste popolazioni.
Altre due notizie completano il quadro di questo periodo, una che si riferisce all’orizzonte protostorico, l’altra invece a quello decisamente storico.
In data 6 ottobre Azione Identitaria Emilia Romagna ha pubblicato sul proprio sito un articolo dedicato alla cultura delle Terramare, che dovrebbe essere il primo capitolo di una storia della “piccola patria” emiliana. Cinque secoli prima di Roma i Terramaricoli costruivano città quadrate suddivise da un cardo e un decumanus orientati secondo i punti cardinali, e costituirono la più antica cultura italica. In realtà, non si tratta di cose che ci vengono nuove, ma è importante ricordarle perché a quanto pare, stando alle più recenti ricerche archeologiche e genetiche, i Terramaricoli, attraverso la fase intermedia della cultura villanoviana, avrebbero poi dato vita alla civiltà etrusca. Le ricerche sul DNA hanno permesso di smentire che gli Etruschi abbiano avuto origine dalla Lidia, cioè dall’Asia Minore come raccontato da Erodoto, ma sono stati una civiltà autoctona dell’Italia, e questa è un’ennesima confutazione della leggenda della “luce da oriente”.
Focus.it del 13 ottobre riporta una notizia francamente curiosa. Secondo l’ipotesi di un ricercatore cinese, Li Xiuzhen, il famoso esercito di terracotta, i circa 8000 guerrieri che da 2200 anni sorvegliano il mausoleo dell’imperatore Qin Shi Huang sarebbero stati realizzati sotto l’influenza, sotto la direzione, o addirittura da artisti greci che si sarebbero spinti fino alla Cina in un’epoca in cui esistevano già contatti, legati al commercio della seta, tra le popolazioni mediterranee e quelle dell’Estremo Oriente, questo a motivo del fatto che queste statue per il loro realismo ricordano fortemente la statuaria classica. Io non so quanto una simile ipotesi possa essere fondata, ma comunque piacere che qualcuno comincia finalmente a considerare l’Oriente discepolo e l’Europa maestra, al contrario di quel che è sempre avvenuto finora.
Tutte le concezioni che formano “l’ortodossia scientifica” imposta dal pensiero democratico (l’origine africana della nostra specie e la non esistenza delle razze, la riduzione dei nostri antenati indoeuropei a pacifici agricoltori originari da quello stesso ceppo che ha generato i semiti, la non creatività della civiltà europea vista come dipendente per le sue realizzazioni in tutto dall’oriente remoto o prossimo, e anche per quanto riguarda più strettamente noi Italiani, la nostra non esistenza come popolo dal punto di vista genetico), mirano palesemente allo scopo di sminuirci, di ispirarci rassegnazione, di farci accettare psicologicamente disarmati la scomparsa della nostra gente per sostituzione etnica, il destino che il potere mondialista ha decretato per noi.
Noi sappiamo invece che la nostra eredità indoeuropea, europea, e certamente italica, è un tesoro prezioso da difendere con tutte le forze e con ogni mezzo.
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